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Pinotti: Contro il terrorismo un ponte tra Nato e Mosca e un’Europa più integrata

«Chiunque vinca le elezioni americane, gli Stati Uniti chiederanno comunque all’Europa di fare la sua parte, richiesta peraltro già emersa durante l’Amministrazione Obama. Dobbiamo capire che la nostra sicurezza, penso soprattutto al Mediterraneo, dovremo gestirla in quanto europei. E qui bisogna prendere atto della Brexit, che nessuno voleva, per avanzare nell’integrazione della difesa europea, visto che la Gran Bretagna ha sempre privilegiato il canale atlantico. Se ne parla da anni, ora possiamo andare avanti, ma non in contrapposizione con la Nato: un’Europa più capace e integrata militarmente è un asset in più per l’Alleanza. Su questo dovremmo avere il coraggio di agire, usando l’articolo 44 del Trattato di Lisbona, quello sulle cooperazioni rafforzate. Se Italia, Germania e Francia, ma anche la Spagna, provassero a lanciare un progetto in questo senso per capire cosa si possa fare insieme, come evitare duplicazioni, faremmo una cosa molto utile».

Alla vigila del vertice Nato di Varsavia, il ministro della Difesa Roberta Pinotti parla delle sfide e dei rischi globali, «di tipo e qualità del tutto inedite» cui l’Alleanza atlantica e soprattutto i suoi membri europei sono chiamati a riflettere e dare risposte.

«La Nato ha grandi capacità militari, ma finora ha ragionato molto sulla deterrenza o il contenimento del conflitto. Oggi siamo di fronte a un terrorismo che in parte si è fatto Stato, ma che ora si espande con attacchi kamikaze in tutto il mondo. Ecco perché occorre un salto di qualità, per esempio sulla cyber security o sulla condivisione dell’intelligence».

 

A Varsavia però il tema dominante saranno le tensioni sul confine orientale e le misure di sicurezza per proteggere la Polonia e i baltici dalla nuova aggressività russa.

«È vero solo in parte. Arriviamo a Varsavia dopo due anni, nei quali le posizioni assunte all’inizio dall’Italia hanno trovato via via conferma m una serie di decisioni. Prima del vertice di Cardiff, nel 2014, l’Alleanza ragionava unicamente sul fronte Est. È vero che in Polonia verrà dato il via definitivo ai battle group, stanziati a rotazione nei Paesi dell’Est, come segnale tangibile di rassicurazione dei nostri alleati. Ma l’Italia ha insistito che non venisse meno l’accordo Nato-Russia, per tenere aperto un dialogo, che dovremo necessariamente intensificare. L’altro elemento è il fronte Sud: oggi che si parla di una strategia Nato a 360°, abbiamo probabilmente la declinazione più giusta di quella esigenza. Il tema che avevamo lanciato, a partire dalla Libia e da Daesh in Iraq e Siria, era legato non tanto a una situazione geografica, quanto alla prospettiva di un rischio globale, che noi potevamo vedere prima di altri anche per la nostra posizione. Purtroppo gli attacchi nelle capitali del Nord e in luoghi inediti come il Bangladesh confermano che il terrorismo jihadista possa innestarsi in fondamentalismi locali e minacciarci da ogni latitudine».

 

Di recente il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, riferendosi alle manovre militari Nato al confine polacco, ha criticato «l’eccessivo e inutile rumor di sciabole», dicendo che non è il modo migliore per abbassare la tensione sul fronte orientale ne il giusto segnale per riprendere il filo del dialogo con Mosca. È la conferma che la percezione del pericolo da Sud sia solo accessoria rispetto a quella da Est?

«Noi condividiamo le cose dette da Steinmeier: il rumor di sciabole non deve diventare escalation e per averlo detto l’Italia è stata accusata di essere incline a parlare solo del dialogo. In realtà, ci siamo assunti le nostre responsabilità, ma è un errore pensare che la frontiera orientale sia solo quella dei rischi e delle minacce. In realtà è una frontiera dove ricostruire ponti. Quanto all’accessorietà della percezione della sfida globale, credo che oggi non sia connessa a ima sottovalutazione ma alla difficoltà di trovare strumenti adeguati. Io penso che la Nato abbia un grande spazio da occupare in questa risposta, accanto al rafforzamento della prevenzione. Parlo della capacity building, il sostegno agli Stati che vogliono ricostruirsi, per evitare di ricadere nel caos o perché hanno bisogno di mettersi alle spalle le crisi. Abbiamo fatto esperienze positive in Afghanistan e nei Balcani».

 

Riusciremo a evitare che da Varsavia esca un messaggio eccessivamente ostile verso la Russia, senza rinunciare a dare le giuste garanzie di sicurezza agli alleati orientali?

«Credo di sì. Di fronte al rischio del terrorismo che abbia mo ogni giorno di fronte, a casa nostra come in tutto il mondo, reinventarci una guerra del passato sarebbe insensato».

 

Quando lei parla delle responsabilità dell’Europa entrano in ballo i bilanci per la sicurezza e la Difesa. E qui l’Italia, ma non solo l’Italia, non è messa bene. Le risorse del suo ministero negli anni scorsi sono diminuite.

«Per troppo tempo si è pensato che le spese per la difesa si potevano tagliare a dismisura. E invece sono necessarie e indispensabili alla luce delle sode odierne. E dobbiamo spiegarlo al Paese. Se non rimettiamo a posto la parte di esercizio, potenziando addestramento e manutenzione, potremmo avere delle difficoltà in futuro. Quest’anno per la prima volta dopo otto anni di tagli, il bilancio della Difesa si è stabilizzato. Abbiamo fatto un’operazione verità, informando la Nato anche delle risorse destinate all’investimento nel campo della Difesa, ma che non sono comprese nel bilancio del Ministero. Quest’anno l’Italia si attesta su una spesa per la difesa pari all’1,2% del Pil, certo ancora lontana dal 2% dei parametri Nato, ma significativa».

 

Intervista di Paolo Valentino per il Corriere della Sera

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