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Valori e interessi per una nuova politica estera del Partito Democratico

Executive summary

Il nuovo (dis)ordine mondiale che è emerso negli ultimi 20 anni, e che da ultimo si è manifestato con l’aggressione russa all’Ucraina, impone ad un partito progressista con vocazione di governo come il PD una riflessione attenta sugli indirizzi di base della sua politica estera. Al Partito serve un pensiero coerente che abbracci tutti gli ambiti di azione di politica interna ed estera, oggi indissolubilmente interconnesse. Soprattutto, è fondamentale poter contare su una strategia, una bussola che definisca quale assetto internazionale vogliamo impegnarci a costruire, e quale ruolo vogliamo che l’Italia svolga in esso.

Da tutto ciò deriva la necessità di identificare dei principi guida che permettano di contemperare al meglio i nostri valori e i nostri interessi. A partire da essi diventa possibile articolare un discorso politico progressista sugli interessi nazionali che sia più convincente delle contro-narrazioni sovraniste e populiste in senso anti-europeo e isolazionista e che al tempo stesso rifugga da tendenze tecnocratiche, che nascondono il seme dell’anti-politica.

Questo documento rappresenta un primo tentativo del Comitato di esperti sulla politica estera del PD di intavolare una riflessione strutturata su questo tema. Esso contiene 5 linee guida fondamentali emerse dal dibattito e apre a futuri spazi di elaborazione e proposte politiche.

 

Sovranità europea condivisa

Il Partito Democratico ha sempre sostenuto con coerenza che il proprio futuro è in Europa.

La prospettiva europea è un obiettivo politico il cui perseguimento può implicare anche scelte difficili, come il trasferimento di autorità decisionale a livello sovranazionale. Questo però consente l’elaborazione di politiche che possano tutelare gli interessi nazionali su una scala adeguata. Bisogna quindi massimizzare i vantaggi dell’integrazione a favore dei nostri interessi prioritari, in modo che la prospettiva europea sia sempre più condivisa tra la cittadinanza.

A tal fine, è in primo luogo necessario individuare le battaglie politiche che vogliamo condurre prioritariamente a livello europeo, partendo da un’azione comune in materia economica e fiscale, di migrazione e asilo, di approvvigionamento energetico e di sostenibilità, di difesa.

Per realizzarla serve un approccio coordinato a 27 quando possibile, ma dobbiamo essere pronti anche a fare di più con chi è disponibile e ha le capacità per farlo. Da qui la rilevanza di alleanze consolidate con i principali partner europei, a partire da Francia e Germania, per fare passi in avanti anche attraverso forme di integrazione differenziata, che rafforzi la cooperazione tra chi ci sta ma lasci la porta aperta a chi vorrà unirsi successivamente.

Il rafforzamento del progetto europeo passa anche per una politica estera coerente ed attrattiva per i vicini e i partner dell’Unione. La rivitalizzazione del processo di allargamento deve essere accompagnata da un progetto politico di “confederazione”, che sappia offrire all’Unione e ai paesi europei interessati un foro di discussione e coordinamento sulle principali questioni di politica estera e di sicurezza e possa rappresentare la spina dorsale di una futura architettura di sicurezza europea.

Allo stesso tempo, bisogna lavorare per riformare il processo decisionale dell’Unione e liberarla dalla paralisi dei veti incrociati collegata alla regola del consenso attraverso l’estensione del voto a maggioranza qualificata anche a settori finora esclusi della politica estera e di sicurezza comune, a partire dalle sanzioni.

Affinché sia efficace e sostenibile, è fondamentale che questo percorso di riforma sia il più possibile partecipativo, valorizzando il contributo dei cittadini, della società civile e delle comunità locali. Questo significa lavorare per la creazione di uno spazio pubblico europeo, in particolare attraverso il rafforzamento dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici e l’introduzione di liste transnazionali per le elezioni del Parlamento europeo.

 

Autonomia strategica aperta

Passata l’epoca della globalizzazione senza limiti, il conflitto potenziale tra apertura e chiusura è riemerso con forza ed ha alimentato un dibattito sulla necessità di riappropriarci di una certa capacità di gestire le nostre frontiere politiche, economiche, culturali – in sostanza, di acquisire autonomia strategica.

Questo non significa però accettare la logica dell’autarchia o del protezionismo. Il punto centrale è costituire una capacità di gestione dell’interdipendenza che sappia offrire risposte nazionali ed europee alle attese dei cittadini, tutelarne la sicurezza (intesa in senso ampio) ed assicurare l’integrità dei processi democratici da eventuali intrusioni esterne.

Il principio dovrebbe essere apertura dove possibile, e controllo dove necessario, sulla base di scelte ampiamente condivise a livello nazionale, evitando decisioni occasionali o arbitrarie.

Questo implica, in termini concreti, individuare delle linee rosse e limitare un’apertura incontrollata attraverso interventi di tipo regolamentare quali le politiche di difesa commerciale in materia di dumping o sussidi, la capacità di adottarestrumenti di contrasto alla coercizione economica da parte di paesi terzi, la tutela di settori strategici rispetto ad investimenti che compromettano la sovranità nazionale, un approccio condiviso alle soluzioni nazionali in materia di reti di telecomunicazione cellulare (5G), e la creazione di spazi europei di gestione dei dati, con un focus in materia di cybersecurity e lotta alla disinformazione.

 

Multilateralismo pragmatico ed inclusivo

Il Partito Democratico difende il sistema multilaterale basato su norme e istituzioni condivise. Tuttavia, tale sistema vive una profonda crisi che ha portato a uno stallo e una crescente sfiducia da parte dei governi e dei cittadini. Per essere efficace la sua azione non può limitarsi alla difesa dell’esistente, ma deve arricchirsi di uno slancio riformatore.

In primo luogo, è necessario portare avanti proposte concrete di riforma delle istituzioni multilaterali globali che le rendano maggiormente rappresentative e democratiche. Nel caso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, questo significa innanzitutto trovare un consenso europeo per una limitazione del diritto di veto e per un ampliamento dei membri non permanenti che renda giustizia alle regioni meno rappresentate, in particolare l’Africa.

In secondo luogo, bisogna favorire un multilateralismo pragmatico, che si basi su alleanze flessibili e riguardi alcuni settori strategici. E’ necessario dunque selezionare le priorità che vogliamo perseguire e gli alleati che vogliamo coinvolgere. Si potrebbepartire da quelle aree in cui noi europei possiamo contribuire a definire degli standard globali, e in particolare gli aspetti climatici, digitali, di tassazione, di standard lavorativi e di welfare.

Tuttavia, affinché questo sistema di alleanze flessibili sia anche sostenibile, occorre individuare delle linee rosse. L’autorità del Consiglio di Sicurezza deve essere salvaguardata e l’impiego delle forze militari all’estero deve seguire i dettami costituzionali – in primis, discussioni e valutazioni parlamentari più approfondite – e inserirsi nel quadro di missioni multilaterali nelle organizzazioni deputate, in particolare Unione europea e NATO.

Infine, bisogna optare per un multilateralismo più inclusivo, che integri le dinamiche locali e transnazionali che si sono affermate nei diversi settori negli ultimi anni: città, ONG, grandi multinazionali, fondazioni, comunità scientifiche e culturali, movimenti come i Fridays for future.

 

Democrazia basata sui diritti

La democrazia si può e si deve sostenere e difendere.

Se assumiamo che essa è al centro della nostra azione di politica estera, dobbiamo dedurre che va sostenuta con ogni mezzo: attraverso strumenti di cooperazione con la società civile e in particolare con gruppi di donne e giovani come elementi essenziali di cambiamento; attraverso il monitoraggio elettorale e la formazione del personale locale per il funzionamento delle elezioni; ma anche attraverso azioni coercitive, nel perimetro di quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite.

Un secondo aspetto riguarda il consolidamento delle nostre democrazie, a livello europeo e più in generale nel mondo occidentale. Rafforzare le nostre democrazie richiede maggiori garanzie di efficienza, capacità di inclusione e difesa dalle interferenze esterne attraverso un’adeguata politica di istruzione, informazione solida e cybersecurity.

Un terzo aspetto riguarda il rapporto con i regimi autoritari. L’aggressione russa dell’Ucraina può essere il catalizzatore per l’elaborazione di strategie più efficienti di contenimento, di collaborazione settoriale e di diplomazia del cambiamento. Una strategia di contenimento deve basarsi su capacità credibili di deterrenza attraverso strumenti economici, finanziari e militari. La necessità della collaborazione settoriale deve essere accompagnata dalla nettezza e coerenza delle critiche rispetto a situazioni di mancato rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Infine, la diplomazia del cambiamento dovrebbe passare attraverso un potenziamento degli strumenti di soft power come quello culturale, e allo stesso tempo attraverso aiuti, investimenti, costruzione delle istituzioni e di classi dirigenti delle società in transizione.

 

Globalizzazione sostenibile

La presa d’atto dei limiti e delle storture della globalizzazione deve indurci a riflettere su come essa sia funzionale ai nostri interessi e valori di riferimento, e su quali siano le condizioni che permettono davvero una ripartizione più equa e sostenibile dei suoi benefici.

Un primo tassello ha a che fare con la consapevolezza che il mercato non si auto-regola e che la democrazia non è un prodotto naturale del mercato: in particolare, la funzione regolatrice degli Stati e delle organizzazioni internazionali assume un ruolo centrale nella mediazione di interessi tra istanze locali e contesto globale.

Ma l’azione pubblica non può essere efficace se non accompagnata da un coinvolgimento attivo del settore privato attraverso un nuovo patto di responsabilità, pubblica e privata, che permetta una nuova organizzazione socio-economica a livello nazionale, regionale e globale.

Per essere sostenibile, questa nuova organizzazione deve fondarsi sul trinomio transizione ecologica – welfare – innovazione, nella consapevolezza che benessere e prosperità vanno oltre il PIL.

La transizione ecologica è la più grande opportunità del nostro tempo per affrontare le marginalizzazioni esistenti e il divario intergenerazionale attraverso la costruzione di una nuova economia e delle sue fondamenta sociali.

Essa va però inquadrata in un’azione sistemica che includa anche il welfare per chi è maggiormente esposto al cambiamento climatico e alla transizione ecologica: politiche attive del lavoro, modernizzazione dell’economia a zero emissioni attraverso incentivi per nuovi processi e produzioni, investimenti nelle località più colpite, condizionalità per le imprese, diplomazia e solidarietà internazionale per mettere tutti i paesi nelle condizioni di agire e proteggersi ma anche per legittimare l’azione domestica.

Infine, occorre puntare sull’innovazione per evitare il rischio di dipendenza, coinvolgendo anche i paesi in via di sviluppo in un quadro normativo condiviso per catturare gli aspetti espansivi della globalizzazione e non rischiare di lasciare indietro una parte di mondo.

 

Introduzione: per una politica estera progressista

Il nuovo (dis)ordine mondiale che è emerso negli ultimi 20 anni, e che da ultimo si è manifestato con l’aggressione russa all’Ucraina, impone ad un partito progressista con vocazione di governo come il PD una riflessione attenta sugli indirizzi di base della sua politica estera.

Occorre un pensiero rinnovato che sia in sintonia con il contesto internazionale contemporaneo, caratterizzato dall’incrinatura delle norme e istituzioni che hanno retto la comunità internazionale dal secondo dopoguerra, da una differente declinazione della globalizzazione rispetto ai primi anni 2000 dal punto di vista politico, sociale ed economico, da una diversa distribuzione del peso politico tra gli attori della comunità internazionale e da nuove, e a volte rivoluzionarie, dinamiche tecnologiche ed ecologiche.

Al Partito serve un pensiero coerente che abbracci tutti gli ambiti di azione di politica interna ed estera, che sono oggi indissolubilmente interconnesse e che richiedono coerenza nel pensiero e nell’azione. Per garantire questa coerenza, è ancor più necessaria la conciliazione tra valori ed interessi in politica estera.

Inoltre, la rinnovata attenzione dei cittadini verso i temi internazionali sollecitata dal ritorno della guerra sul continente europeo e dalle sue conseguenze umanitarie, economiche e sociali, rimette la politica estera al centro del dibattito pubblico, imponendo una chiarezza delle scelte che vanno non solo ponderate ma anche spiegate in maniera efficace, unitaria e non contraddittoria al fine di costruire il consenso della cittadinanza.

Soprattutto, è fondamentale poter contare su una strategia razionale che sappia rispondere alle urgenze del presente ma anche fornire una bussola per il futuro assetto internazionale e per il ruolo dellItalia. Per il Partito Democratico, tale strategia deve fondarsi sui valori progressisti che hanno sempre fatto parte del suo bagaglio politico-culturale: la democrazia, la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, la giustizia sociale ed economica, l’integrazione europea e il multilateralismo. Questi valori devono però essere declinati in modo congruente con gli interessi del paese, per rispondere concretamente alle esigenze dei cittadini in una realtà in evoluzione.

Tenere insieme la dimensione valoriale e quella degli interessi, soprattutto di quelli contingenti, può a volte costituire una sfida: una politica estera basata sui valori democratici implica costi, al contrario di una politica estera prettamente utilitaristica, senza alcuna visione più ampia. Questi costi devono essere previsti, soppesati e compresi: il loro impatto deve essere valutato accuratamente, spiegato con sincerità agli elettori e minimizzato con appositi provvedimenti.

Da tutto ciò deriva la necessità di identificare dei principi guida che permettano di contemperare valori e interessi a volte potenzialmente in conflitto. In questo modo diventa possibile articolare un discorso politico progressista sugli interessi nazionali, che sia più convincente delle contro-narrazioni sovraniste e populiste in senso anti-europeo e isolazionista e che al tempo stesso rifugga da tendenze tecnocratiche, che nascondono il seme dell’anti-politica.

Allo stesso tempo, una riflessione preventiva sul corretto bilanciamento di valori ed interessi permette di evitare due “trappole” ideologiche. La prima consiste nel trasformare talune scelte politiche che derivano direttamente dai nostri valori di riferimento in assiomi inscalfibili e indiscutibili; la seconda, viceversa, consiste nel considerare altre possibili soluzioni come estranee a quei valori e quindi tabù.

Questo documento rappresenta un primo tentativo del Comitato di esperti sulla politica estera del PD di intavolare una riflessione strutturata su questo tema. Siamo consci che si tratta solo di un inizio, ma speriamo possa rappresentare un contributo fruttuoso.

– Nicoletta Pirozzi, Presidente del Comitato di esperti sulla Politica estera del Partito Democratico

Il processo per l’elaborazione del documento

Nel maggio 2021 il PD ha istituito un Comitato di esperti sulla politica estera, con l’obiettivo di condurre un dibattito strutturato, approfondito, trasparente ed inclusivo su alcuni temi ritenuti di preminente interesse per la politica estera italiana.

Del Comitato fanno parte rappresentanti del Partito Democratico, in particolare il Responsabile Europa, Affari internazionali e Cooperazione internazionale, membri della Segreteria nazionale e delle Commissioni Esteri di Camera e Senato, e rappresentanti selezionati della comunità di esperti, accademici e professionisti, sui temi di politica estera ed internazionale. La lista degli esperti è disponibile in Allegato 1.

Il gruppo si è riunito mensilmente da maggio ad ottobre 2021, in incontri a porte chiuse e dedicati alla discussione di una serie di direttrici per affrontare le principali fratture del nostro tempo, con l’obiettivo di definire dei criteri valoriali e strategici sulla base dei quali il Partito potrà elaborare le scelte politiche sui singoli temi. Ciascun incontro è stato dedicato alla discussione di una delle seguenti dicotomie:

Integrazione/sovranità: l’integrazione europea rappresenta un obiettivo cardine del Partito e dell’Italia che implica una cessione di sovranità. Esistono quote di sovranità irrinunciabili anche in uno scenario di integrazione sempre più profonda tra gli Stati europei? Come impostare una narrativa efficace che promuova prospettive concrete e non velleitarie di integrazione per contrastare il discorso populista e sovranista?

Apertura/chiusura: le relazioni internazionali nei diversi settori (culturale, commerciale, migratorio, tecnologico) possono essere caratterizzate da diversi gradi di regolamentazione e controllo da parte degli Stati. Sulla base di quali criteri dovremmo individuare il livello appropriato di apertura e chiusura della politica estera dell’Italia nei diversi settori? Come conciliare un grado maggiore di apertura in un settore con la chiusura in un altro?

Democrazia/autoritarismo: la promozione delle istituzioni e dei processi democratici, in particolare nel vicinato meridionale e orientale dell’Europa, è coerente con i valori del Partito e risponde agli interessi di lungo periodo dell’Italia. Tuttavia, la transizione da governi autoritari nel breve periodo rischia di generare disordine ed instabilità. Come conciliare la spinta alla democratizzazione con la necessità di dialogare con regimi autoritari? Quali sono le linee rosse da non superare? Come contrastare la crescente attrattiva di modelli di democrazie illiberali o di governi autoritari?

Multilateralismo/politica di potenza: l’azione internazionale dell’Italia e dell’Europa è basata sul principio multilaterale e impegnata nella difesa delle sue norme e istituzioni. Tuttavia, queste sono messe in crisi dal ricorso alla politica di potenza e dalla loro stessa incapacità di rispondere efficacemente a determinate sfide. Quale dovrebbe essere il grado di adesione dell’Italia al multilateralismo? Come conciliare l’adesione alle istituzioni multilaterali con la necessità di promuoverne una radicale riforma? Quale grado di iniziativa unilaterale l’Italia deve essere pronta ad assumere in caso di necessità?

Globalizzazione/esclusione: i processi di globalizzazione facilitano la spinta alla innovazione che costituisce il prerequisito per promuovere il benessere, la crescita economica e la sostenibilità, ma rischiano di escludere ampie fasce della popolazione e interi Paesi. Quale visione possiamo proporre che sappia coniugare le principali opportunità della globalizzazione con la protezione sociale dei più deboli e la lotta all’esclusione come forma di nuova povertà?

La nostra riflessione è continuata ed è stata aggiornata alla luce dell’aggressione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, tenendo in considerazione la minaccia geopolitica e sistemica per la sicurezza e la democrazia europee, e le sue ricadute economiche e sociali. Questo documento contiene le linee guida fondamentali emerse dal dibattito e apre a futuri spazi di elaborazione e proposte politiche.

1. Sovranità europea condivisa

Il Partito Democratico ha sempre sostenuto con coerenza che il proprio futuro è in Europa e che vuole contribuire al futuro dell’Europa. L’europeismo è uno dei valori fondanti del Partito Democratico poiché rappresenta il viatico più efficace per realizzare gli ideali di pace, solidarietà e democrazia nel continente. L’orizzonte europeo, da sempre nel DNA del PD, deve essere ribadito con ancora maggiore forza oggi alla luce del conflitto in Ucraina. L’obiettivo che ne discende è la costruzione progressiva degli Stati Uniti d’Europa, sulla scia tracciata già 80 anni fa dal Manifesto di Ventotene.

Tuttavia, il PD deve imparare a rifuggire dalla tentazione di affermare una visione federalista del progetto europeo puramente ideologica, presentando la prospettiva europea come un approdo futuro inevitabile: al contrario, esso è un obiettivo politico che richiede un sostegno consapevole e convinto dell’opinione pubblica. Dobbiamo anche evitare di minimizzare, in maniera acritica, le problematiche e le difficoltà che inevitabilmente emergono nel corso del processo e che possono colpire specifici segmenti della società italiana. L’approccio dovrebbe essere invece pragmatico, teso ad ascoltare e a rispondere alle aspettative e alle paure dei cittadini.

Sappiamo infatti che il perfezionamento dell’Unione europea richiede un cammino progressivo di cessione di sovranità in settori che sono qualificanti dell’identità nazionale, non soltanto in ambito economico ma anche politico e di sicurezza. L’attribuzione di nuove competenze all’Unione implica una parziale perdita di autonomia di Parlamento e Governo, che si trovano a dover coordinare le loro decisioni con le istituzioni di altri 26 (o più in prospettiva) Stati membri, con la conseguente esigenza di elaborare difficili compromessi tra interessi nazionali a volte confliggenti.

Queste criticità non vanno sottostimate né negate, ma anzi vanno considerate nella loro portata storica. Per farlo, occorre partire da un nuovo concetto di sovranità che non si identifichi con l’indipendenza decisionale a livello nazionale, ma con la capacità di definire ed attuare efficacemente le politiche pubbliche e raggiungere gli obiettivi prefissati.

Nell’attuale contesto globale, è ingenuo pensare che un’azione limitata ai confini nazionali possa far fronte alle sfide transnazionali che abbiamo di fronte e guidarci in un sistema di elevata interconnessione. In questa situazione, un controllo efficace sui risultati non è garantito tanto dalla possibilità di agire in maniera autonoma a livello nazionale ma dalla capacità di partecipare ed influenzare decisioni a livello europeo.

L’integrazione europea rappresenta dunque un processo genuinamente politico – né puramente ideale, né meramente burocratico – in cui il trasferimento di autorità decisionale a livello sovranazionale è strumentale per l’elaborazione di politiche che possano tutelare gli interessi nazionali su una scala adeguata ed è funzionale alla nostra capacità di controllarne gli effetti. È necessario massimizzare i vantaggi di questa integrazione a favore dei nostri interessi prioritari, in modo che non sia di ostacolo ma che al contrario contribuisca all’aumento della sicurezza e del benessere dei nostri cittadini. Si tratta quindi di individuare le battaglie politiche che vogliamo condurre prioritariamente a livello europeo, e di costruire poi le alleanze, all’interno dell’UE, che ci permettano di raggiungere i nostri obiettivi in maniera cooperativa.

Le crisi che abbiamo vissuto negli ultimi due decenni – da quella economica e finanziaria a quella migratoria, dalla pandemia da Covid 19 all’aggressione russa dell’Ucraina – ci hanno mostrato quanto sia urgente trovare delle soluzioni sostenibili e non emergenziali per un’azione comune in materia economica e fiscale, di migrazione e asilo, di approvvigionamento energetico e di sostenibilità, di difesa.

Per realizzarla serve un approccio coordinato a 27 quando possibile, ma dobbiamo essere pronti anche a fare di più con chi è disponibile e ha le capacità per farlo. Da qui la rilevanza di alleanze consolidate con i principali partner europei, a partire da Francia e Germania, per fare passi in avanti anche attraverso forme di integrazione differenziata, che rafforzi la cooperazione tra chi ci sta ma lasci la porta aperta a chi vorrà unirsi successivamente.

Ma il rafforzamento del progetto europeo passa anche per una politica estera coerente ed attrattiva per i vicini e i partner dell’Unione. La rivitalizzazione del processo di allargamento deve essere accompagnata da un progetto politico di “confederazione”, che sappia offrire all’Unione e ai paesi europei interessati un foro di discussione e coordinamento sulle principali questioni di politica estera e di sicurezza e possa rappresentare la spina dorsale di una futura architettura di sicurezza europea.

Allo stesso tempo, bisogna lavorare per riformare il processo decisionale dell’Unione e liberarla dalla paralisi dei veti incrociati collegata alla regola del consenso attraverso l’estensione del voto a maggioranza qualificata anche a settori finora esclusi della politica estera e di sicurezza comune, a partire dalle sanzioni.

Questo spiana la strada per un europeismo esigente per quanto riguarda il rispetto dei principi e pragmatico per quanto attiene alle scelte politiche, che si contrappone sia alla narrativa del federalismo europeo come destino inevitabile (non più realistico come obiettivo concreto né efficace come strumento di mobilitazione dell’elettorato) sia ad un approccio puramente tecnocratico-normativo agli affari europei.

Affinché sia efficace e sostenibile, è fondamentale che questo percorso sia il più possibile partecipativo, valorizzando il contributo dei cittadini, della società civile e delle comunità locali. Solo così la sovranità europea condivisa potrà dare una risposta anche al bisogno di appartenenza che arriva dalle nostre società.

Questo significa lavorare per la creazione di uno spazio pubblico europeo di cui le forze progressiste possono essere animatrici e garanti. Questo passa per la promozione della dimensione europea dei partiti politici e dei processi elettorali, in particolare attraverso il rafforzamento dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici e l’introduzione di liste transnazionali per le elezioni del Parlamento europeo. Ma anche per il sostegno a forme di democrazia partecipativa come quella sperimentata con la Conferenza sul futuro dell’Europa, alla quale bisogna dare seguito con proposte concrete di riforma che non escludano l’opzione di una revisione dei Trattati fondativi dell’Unione.

 

2. Autonomia strategica aperta

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’approfondimento simultaneo dell’interdipendenza e della competizione internazionale sul piano politico, economico e di sicurezza. Le crescenti tensioni geopolitiche, che in alcuni casi sfociano in conflitti aperti come in Ucraina, ed i rischi connessi ad eventi che possono destabilizzare gli scambi internazionali, come una pandemia, modificano la definizione dell’equilibrio tra apertura e protezione delle risorse strategiche che potrebbero essere minacciate.

Il Partito Democratico deve interrogarsi su come continuare a favorire sistemi aperti garantendone tuttavia l’integrità, alla luce dei valori democratici che animano il mondo progressista. I vantaggi derivanti dall’approfondimento dell’interdipendenza in termini, per esempio, di crescita economica, progresso scientifico e sviluppo individuale e sociale vanno infatti soppesati rispetto alle vulnerabilità, che si tratti di concorrenza sleale, sicurezza delle catene di fornitura e distribuzione di beni essenziali, sicurezza delle infrastrutture critiche e dei dati.

Abbiamo imparato che l’interdipendenza può essere strumentalizzata per fini politico-strategici ed esporre i nostri governi e le nostre società a ricatti geopolitici che vanno contro i nostri interessi e sfidano i nostri valori. L’utilizzo dei flussi energetici e di altre materie prime da parte della Russia per indebolire il fronte comune europeo ed aggravare la scarsità di risorse a livello internazionale nell’ambito del conflitto in Ucraina costituisce un esempio particolarmente grave di tale pratica. Il problema è tuttavia più ampio, come dimostrato dagli sviluppi degli ultimi anni, quali il nazionalismo economico dell’amministrazione Trump, l’atteggiamento assertivo della Cina in vari ambiti, la rivalità polarizzante tra Cina e USA, e la politicizzazione dell’impatto della pandemia. Queste vicende hanno stimolato una riflessione a livello nazionale ed europeo su un nuovo approccio teso a ridurre le vulnerabilità e le dipendenze.

Il conflitto potenziale tra apertura e chiusura, che gran parte delle forze progressiste avevano largamente ignorato per sposare approcci fideistici alla globalizzazione, è emerso con forza e ha alimentato un dibattito sulla necessità di riappropriarci di un certo grado di autonomia strategica. Questo non significa però accettare la logica dell’autarchia o del protezionismo.

Per superare questa dicotomia, il tema dell’autonomia strategica non deve essere posto solo come contemperamento delle sfide e delle opportunità dell’interdipendenza in termini di costi/benefici, ma anche come risposta all’esigenza di creare uno spazio di scelta e di decisione da parte di una comunità politica sul proprio futuro.

La proposta politica che ne deriva è quella di un’apertura controllata sulla base di regole d’ingaggio di natura politica, rispettose del diritto internazionale, che ci permettano di definire settori e modalità di collaborazione sulla base delle priorità di una certa comunità e di un modello socioeconomico di sviluppo. Il punto centrale è quindi costituire una capacità di gestione dell’interdipendenza che sappia offrire risposte nazionali ed europee alle attese dei cittadini, tutelarne la sicurezza (intesa in senso ampio) ed assicurare l’integrità dei processi democratici da eventuali intrusioni esterne.Questo implica una riflessione aggiuntiva su quali sono gli obiettivi dell’autonomia strategica – autonomia strategica per fare cosa? – e quali sono i campi in cui possiamo agire in maniera autonoma – autonomia strategica in quali settori?

In altre parole, il principio dovrebbe essere apertura dove possibile, e controllo dove necessario, sulla base di scelte ampiamente condivise a livello nazionale, evitando decisioni occasionali o arbitrarie. In quest’ottica, partendo dall’interesse domestico, è possibile individuare le linee rosse da non valicare e che permettono di limitare un’apertura incontrollata attraverso interventi di tipo regolamentare: ne sono esempi le politiche di difesa commerciale in materia di dumping o sussidi, la capacità di adottare strumenti di contrasto alla coercizione economica da parte di paesi terzi, la tutela di settori strategici rispetto ad investimenti che compromettano la sovranità nazionale, un approccio condiviso alle soluzioni nazionali in materia di reti di telecomunicazione cellulare (5G), e la creazione di spazi europei di gestione dei dati, con un focus in materia di cybersecurity e lotta alla disinformazione.

Solo così potremo dare una risposta alle esigenze di protezione che arrivano dai territori e dai cittadini senza abbandonare una narrativa di apertura, rispondendo alle insicurezze di chi è preoccupato dal mondo che cambia.

 

 

3. Multilateralismo pragmatico ed inclusivo

Il Partito Democratico difende il sistema multilaterale basato su norme e istituzioni condivise in quanto esso traspone a livello internazionale i valori di democrazia, uguaglianza, giustizia. Inoltre, esso rappresenta il contesto ideale che permette alle democrazie europee di valorizzare i loro punti di forza – di carattere normativo e regolamentare – e di minimizzare le loro debolezze – che emergono da un confronto internazionale basato prevalentemente sulla politica di potenza.

Tuttavia, il PD ha dovuto prendere atto che il sistema multilaterale vive una duplice crisi, e che per essere efficace la sua azione non può limitarsi alla difesa dell’esistente, ma deve arricchirsi di uno slancio riformatore.

Da una parte, il ritorno della politica di potenza come narrativa dominante rischia di paralizzare le istituzioni internazionali. Questa tendenza si è manifestata nella forma di una continuazione ed intensificazione della rivalità tra Stati Uniti e Cina, di un rinnovato avventurismo di potenze regionali o globali, dalla Russia alla Turchia, dai Paesi del Golfo alla Cina, oppure di una strumentalizzazione del multilateralismo al servizio di obiettivi nazionalisti. La profonda frattura geopolitica determinata dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina indebolisce ulteriormente la capacità di decisione e di intervento a livello multilaterale.

Dall’altra, le istituzioni multilaterali nate all’indomani del secondo conflitto mondiale non hanno saputo superare l’assetto di Yalta basato sulla preminenza delle grandi potenze e del confronto bilaterale. Di fatto, esse hanno fallito nell’applicazione dei valori fondanti di inclusività e rappresentatività e non hanno saputo riformarsi nel senso di un maggior coinvolgimento di nuovi attori, statuali e non. Inoltre, non sempre le organizzazioni nate subito dopo il secondo conflitto mondiale hanno dimostrato di avere la competenza e le risorse per affrontare le sfide complesse di oggi, che naturalmente impattato vari ambiti, dai cambiamenti climatici alle pandemie, fino al nesso tra commercio e sviluppo.

Questo ha portato a uno stallo e una crescente sfiducia da parte dei governi e dei cittadini. Solo negli ultimi anni, ne è stato esempio l’inazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di fronte alla pandemia da Covid 19 e quella del Consiglio di Sicurezza di fronte all’aggressione russa dell’Ucraina.

Soprattutto, constatati i limiti della diplomazia internazionale, l’uso della forza non ha seguito logiche multilaterali e si è affrancato dai principi fondamentali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite: il divieto della minaccia e dell’uso della forza dell’art. 2 para 4; la legittima difesa individuale e collettiva dell’art. 51; il sistema di sicurezza collettiva garantito dal Consiglio di Sicurezza del Capo VII. Se l’accettazione acritica del multilateralismo non è più percorribile, dobbiamo essere consci che le vulnerabilità dell’Italia escludono l’opzione unilaterale, come dimostrato dai risultati deludenti della nostra strategia in Libia.

La strada maestra resta dunque quella di promuovere il multilateralismo riformandolo. In primo luogo, è necessario portare avanti proposte concrete di riforma delle istituzioni multilaterali globali, ciascuna nella sua specificità, che le rendano maggiormente rappresentative e democratiche. Nel caso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, questo significa innanzitutto trovare un consenso europeo per una limitazione del diritto di veto e per un ampliamento dei membri non permanenti che renda giustizia alle regioni meno rappresentate, in particolare l’Africa.

In secondo luogo, bisogna favorire un multilateralismo pragmatico, che si basi su alleanze flessibili e riguardi alcuni settori strategici. Un buon punto di partenza è riconoscere che l’Italia, ma anche l’Europa, non possono fare tutto dappertutto. Nuove opportunità potrebbero aprirsi per l’Italia a livello internazionale attraverso la promozione di processi multilaterali in ambito regionale e tematico. E’necessario dunque selezionare le priorità che vogliamo perseguire e gli alleati che vogliamo coinvolgere. Per decifrare queste priorità, si potrebbe partire da quelle aree in cui noi europei possiamo contribuire a definire degli standard globali, e in particolare gli aspetti climatici, digitali, di tassazione, lavorativi e di welfare.

Tuttavia, affinché questo sistema di alleanze flessibili sia anche sostenibile, occorre individuare delle linee rosse. In questo caso, la flessibilità non può riguardare il rispetto delle disposizioni della Carta dell’ONU in materia di uso della forza. L’autorità del Consiglio di Sicurezza deve essere salvaguardata e l’impiego delle forze militari all’estero deve seguire i dettami costituzionali – in primis, discussioni e valutazioni parlamentari più approfondite – e inserirsi nel quadro di missioni multilaterali nelle organizzazioni deputate, in particolare Unione europea e NATO. Solo così si garantirà la prevalenza del diritto internazionale sul diritto del più forte.

Infine, bisogna optare per un multilateralismo più inclusivo, che integri le dinamiche locali e transnazionali che si sono affermate nei diversi settori negli ultimi anni. Questo approccio multilivello consiste nel portare al tavolo attori internazionali che non hanno trovato un ruolo adeguato nel multilateralismo formalista degli Stati nazionali e che non hanno aspettato per esercitare la loro influenza, che è molto rilevante e sempre crescente: città, ONG, grandi multinazionali, fondazioni, comunità scientifiche e culturali, movimenti come i Fridays for future. L’obiettivo è promuovere la massima connessione ed integrazione tra questi molteplici livelli di attività per assicurane la coerenza, la legittimità e l’efficacia.

 

4. Democrazia basata sui diritti

Il Partito Democratico ha sempre messo al centro della sua azione politica i valori della democrazia, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali. La vicenda ucraina ha rafforzato questa convinzione, mostrandoci quanto sia sbagliato considerare la democrazia come una variabile secondaria o ininfluente in un mondo di realpolitik, e che serve pensare ad approcci alternativi che integrino politica internazionale e diritti umani.

Allo stesso tempo, le esperienze maturate in contesti di instabilità e conflitto, dalla Siria al Nord Africa, dall’Afghanistan all’Ucraina, ci hanno insegnato quante e quali siano le criticità di una strategia di politica estera che mira al rafforzamento della democrazia. Siamo stati assenti da Paesi che costruivano con fatica le loro istituzioni democratiche come la Tunisia, continuiamo ad essere eccessivamente dipendenti da governi che violano sistematicamente i diritti come quelli del Golfo, abbiamo promosso politiche commerciali che spesso contraddicono gli obiettivi di cooperazione allo sviluppo.

Abbiamo anche imparato che la nostra capacità trasformativa è limitata e che la democrazia non può essere semplicemente riproposta attraverso modelli e processi sperimentati nelle democrazie liberali occidentali. Però la democrazia si può e si deve sostenere e difendere. Il dibattito su come e quanto aiutare la democrazia è più acceso che mai. Se assumiamo che essa è al centro della nostra azione di politica estera, dobbiamo dedurre che va sostenuta con ogni mezzo: attraverso strumenti di cooperazione con la società civile e in particolare con gruppi di donne e giovani come elementi essenziali di cambiamento; attraverso il monitoraggio elettorale e la formazione del personale locale per il funzionamento delle elezioni; ma anche attraverso azioni coercitive, nel perimetro di quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite e della dottrina sulla responsabilità di proteggere.

Allo stesso tempo, bisogna tenere in conto che le modalità ed i tempi di sostegno alla democrazia possono variare a seconda delle contingenze, mentre l’obiettivo rimane chiaro e deve essere espresso coerentemente a livello politico. Inoltre, va considerato che, per quanto inevitabilmente la politica estera debba contemperare vari interessi, un principio guida dovrebbe esser quello di non fare nulla che possa contribuire a pratiche autoritarie, di repressione e di mancato rispetto dei diritti.

Un secondo aspetto riguarda il consolidamento delle nostre democrazie, a livello europeo e più in generale nel mondo occidentale. Stiamo assistendo ad una fase di arretramento delle nostre democrazie e ad una percezione diffusa della loro vulnerabilità. Tale vulnerabilità è rintracciabile negli squilibri, anche rilevanti, nella possibilità di accesso al potere tra diversi gruppi sociali ma anche nelle violazioni più o meno esplicite dello Stato di diritto o dei diritti sociali e civili delle minoranze. Inoltre, esiste un problema di permeabilità delle nostre democrazie a ingerenze esterne che si manifestano sotto forma di propaganda, disinformazione o veri e propri attacchi alla sicurezza cibernetica.

Infine, subiamo la competizione di modelli politici alternativi che si presentano come autoritarismi efficienti. In realtà gli autoritarismi non sono quasi mai efficienti, ma economie arretrate. Tendono infatti a creare società economicamente più povere a parità di condizioni e nel lungo periodo dimostrano limitate capacità di adattamento che li rendono meno capaci di assorbire innovazione e di crearne. Anche la presunta eccezionalità cinese ha mostrato le sue debolezze nella gestione della pandemia da Covid-19.

Rafforzare le nostre democrazie richiede maggiori garanzie di efficienza, capacità di inclusione e difesa dalle interferenze esterne attraverso un’adeguata politica di istruzione, informazione solida e cybersecurity.

Un terzo aspetto riguarda il rapporto con i regimi autoritari. L’aggressione russa dell’Ucraina ha riproposto con forza il tema della difficile convivenza tra democrazie e autoritarismi. Eppure non dobbiamo cadere nella trappola dello scontro di civiltà e condannarci all’isolamento rispetto ad una politica aggressivamente espansionista dei regimi non democratici. Al contrario, questa crisi può essere il catalizzatore per l’elaborazione di strategie più efficienti di contenimento, di collaborazione settoriale e di diplomazia del cambiamento.

Una strategia di contenimento deve basarsi su capacità credibili di deterrenza attraverso strumenti economici, finanziari e militari.

Una strategia di collaborazione settoriale deve partire dal riconoscimento che il problema non è se avere rapporti economici o meno con i regimi autoritari, ma la piena consapevolezza di quello che questi rapporti comportano e di come possono diventare strumenti economici e diplomatici di coercizione. Bisogna evitare il rischio della dipendenza o, peggio, sudditanza, avendo ben chiari i vincoli di interdipendenza, e trovare alternative, come sta avvenendo nel caso delle forniture energetiche russe. Tuttavia, la necessità della cooperazione deve essere accompagnata dalla nettezza e coerenza delle critiche rispetto a situazioni di mancato rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Infine, la diplomazia del cambiamento dovrebbe passare attraverso un potenziamento degli strumenti di soft power come quello culturale, e allo stesso tempo attraverso aiuti, investimenti, costruzione delle istituzioni e di classi dirigenti delle società in transizione. Stabilire un dialogo anche con opposizioni e società civile costituirà sempre un vantaggio in caso di transizioni politiche, offrendo più ponti di dialogo e di sostegno per favorire il cambiamento ma evitando la destabilizzazione.

 

5. Globalizzazione sostenibile

La globalizzazione è stata sostenuta dal PD insieme al mondo progressista come processo di apertura dei mercati, di movimento di beni, capitali, persone e servizi e di internazionalizzazione che potesse offrire nuove opportunità di crescita e di sviluppo, e in questo senso i risultati sono stati tangibili. Tuttavia, il fenomeno della globalizzazione ha portato anche alla creazione di nuove povertà connesse alle disuguaglianze e alla marginalizzazione. Questo può attribuirsi in larga parte alla finanziarizzazione e digitalizzazione dell’economia, nonché ad un’organizzazione delle catene del valore più legata all’efficienza che alla resilienza e alla coesione sociale e territoriale.

La presa d’atto di questi limiti e storture deve portare il Partito Democratico ad una nuova proposta politica che, più che interrogarsi se la globalizzazione sia un fenomeno buono, cattivo o neutro in sé, si domandi in che modo essa sia funzionale ai nostri interessi e valori di riferimento e quali sono le condizioni che permettono davvero una ripartizione più equa e sostenibile dei suoi benefici.

Un primo tassello ha a che fare con la consapevolezza che il mercato non si auto-regola e che la democrazia non è un prodotto naturale del mercato: questo restituisce valore alla politica come spazio di decisione che può correggere le esternalità negative del libero mercato. In particolare, la funzione regolatrice degli Stati e delle organizzazioni internazionali assume un ruolo centrale nella mediazione di interessi tra istanze locali e contesto globale.

Questo ruolo deve essere valorizzato in particolare per riformare la globalizzazione in modo da mettere al centro la dignità della persona e gli interessi collettivi: limitando il profitto eccessivo di alcuni attori, come le grandi aziende tecnologiche, combattendo i paradisi fiscali, e coinvolgendo masse marginalizzate e settori dove prevale l’alienazione dal sistema. Il prezzo di una mancata riforma rischia di essere più nazionalismo, più populismo e più xenofobia, che derivano dalla frustrazione e dallo scontento.

Ma l’azione pubblica non può essere efficace se non accompagnata da un coinvolgimento attivo del settore privato, attraverso un nuovo patto di responsabilità, pubblica e privata, che permetta una nuova organizzazione socio-economica a livello nazionale, regionale e globale.

Per essere sostenibile, questa nuova organizzazione deve fondarsi sul trinomio transizione ecologica – welfare – innovazione, nella consapevolezza che benessere e prosperità vanno oltre il PIL. La transizione ecologica è la più grande opportunità del nostro tempo per affrontare le marginalizzazioni esistenti e il divario intergenerazionale attraverso la costruzione di una nuova economia e delle sue fondamenta sociali.

Essa va però inquadrata in un’azione sistemica che includa anche il welfare per chi è maggiormente esposto al cambiamento climatico e alla transizione ecologica: politiche attive del lavoro, modernizzazione dell’economia a zero emissioni attraverso incentivi (per nuovi processi e produzioni), investimenti (nelle località più colpite), condizionalità per le imprese, diplomazia e solidarietà internazionale per mettere tutti i paesi nelle condizioni di agire e proteggersi ma anche per legittimare l’azione domestica.

Infine, occorre puntare sull’innovazione per evitare il rischio di dipendenza. Per quanto l’innovazione non possa e non debba essere guidata dalla politica, è necessario elaborare un ragionamento politico per gestirne i risultati – un dibattito cui non sfuggano settori sui quali si gioca l’autonomia strategica come la materia fiscale e i diritti sociali. L’innovazione deve coinvolgere anche i paesi in via di sviluppo in un quadro normativo condiviso come modo per catturare gli aspetti espansivi della globalizzazione e non rischiare di lasciare indietro una parte di mondo.

Proposte di follow up

Questo documento ambisce a contribuire ad un’agenda rinnovata sulla politica estera del Partito Democratico, che parta dal patrimonio culturale e valoriale della tradizione progressista in Italia rielaborandola alla luce del nuovo contesto globale, per comunicare le risposte alla complessità che gli elettori chiedono. A tal fine, proponiamo di:

 

  • Dare inizio ad una riflessione pubblica e partecipata sui temi affrontanti nel presente documento, diffondendolo con presentazioni e dibattiti:nei circoli PD, al fine di stimolare un processo più inclusivo e fondamentale per riportare le riflessioni sulla politica estera tra gli iscritti e nel Partito;in eventi pubblici di lancio con la partecipazione di figure di rilievo del Partito insieme a membri del Comitato di esperti e rappresentanti di organizzazioni e associazioni della società civile, per ampliare il bacino di comunicazione e ascolto del Partito su questi temi;con un incontro internazionale con partiti fratelli e fondazioni progressiste europee, per potenziare il dialogo nella famiglia progressista europea sugli orientamenti di politica estera.

 

  • Elaborare documenti settoriali, che partano dalle riflessioni espresse in questo documento per definire, in termini più concreti, opzioni politiche che il Partito possa perseguire in materia di politica estera. Questi contributi potrebbero essere elaborati dal Comitato di esperti e costituire la base per ulteriori, più approfondite discussioni all’interno del Partito. Al termine di questo processo il PD potrebbe adottare le proposte come piattaforma politica.

 

  • Rendere permanente, ed accrescere, la comunità di esperti, facendo tesoro della esperienza positiva maturata con il Comitato di esperti e creando modalità e strumenti di dialogo e incontro, al fine di assicurare uno scambio costante e regolare tra il Partito e i centri che elaborano il pensiero e animano il dibattito pubblico in Italia e all’estero.

Lista dei membri del Comitato di esperti sulla Politicaestera

Presidente: NICOLETTA PIROZZI, IAI e MondoDem

CATERINA AVANZA – Parlamento europeo

ROSA BALFOUR – Carnegie Europe

LUCA BERGAMASCHI – ECCO e MondoDem

ERIK BURCKHARDT – Commissione europea e MondoDem

FRANCESCOCERASANI – Direzione nazionale PD e Gruppo S&D Parlamento Europeo

DARIOD’URSO – Ufficio Rappresentante Speciale UE per la Bosnia-Erzegovina

EUGENIO DACREMA – MondoDem

CAROLINA DE STEFANO – Università LUISS e MondoDem

MARTA FORESTI – Overseas Development Institute

SERENA GIUSTI – Scuola Superiore Sant’Anna e ISPI

GIOVANNI GREVI – Brussels School of Governance of College of Europe

MARTA MARTINELLI – Open Society Foundation

ROBERTO MENOTTI – Analista di politica internazionale

NONAMIKHELIDZE – IAI

UGO PAPI – Consulente e giornalista

ANNALISA PERTEGHELLA – ECCO e MondoDem

LUCA RAINERI – Scuola Superiore Sant’Anna

ANDREA RENDA – CEPS e EUI School of Transnational Governance

ANDREA RUGGERI – Università di Oxford

PIERO TORTOLA – Università di Groeningen

ARTURO VARVELLI – EuropeanCouncil on Foreign Relations

BERNARDO VENTURI – Agency for Peacebuilding

ANNA ZAFESOVA – Giornalista ed esperta di politica postsovietica

 

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