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Istat – Rapporto annuale 2015 – La situazione del Paese

La fiducia di famiglie e imprese, i consumi, le esportazioni, l’occupazione, gli investimenti, il leggero miglioramento delle situazioni di “grave deprivazione materiale”. Quello 0,3 per cento in più di Pil registrato nel primo trimestre di quest’anno non è casuale e non spunta fuori dal nulla: il Rapporto Istat 2015 mostra un Paese che già dagli ultimi mesi dell’anno scorso sta emergendo faticosamente dalla crisi. Certo i segnali sono deboli, e non uniformi: gli occupati già ne 2014 sono cresciuti dello 0,4 per cento, 88.000 in più, ma i livelli precrisi sono ancora molto lontani. Inoltre la crescita si concentra nel Centro e nel Nord, mentre il Mezzogiorno sprofonda, con una perdita di mezzo milione di occupati dall’inizio della crisi.

Le famiglie. Per la prima volta dal 2008 il potere di acquisto delle famiglie nel 2014 si è stabilizzato, e i consumi sono cresciuti dello 0,3 per cento. Migliora la situazione di chi vive in condizioni particolarmente difficili: infatti l’indicatore di grave deprivazione materiale, che tra il 2010 e il 2012 era passato dal 6,9 al 14,5 per cento, è arretrato all’1,4 per cento, a vantaggio soprattutto delle coppie senza figli o con un figlio, e tra gli anziani; lo stato di sofferenza permane per le famiglie con almeno tre figli minori o le famigli dove ci sono disoccupati.

Le imprese. Rimangono molto piccole, con una dimensione media di 3,9 addetti che ci fa rimanere agli ultimi posti in Europa, però il 2014 è stato caratterizzato comunque da segnali di ripresa: un’impresa con almeno 20 addetti su due del settore manifatturiero ha aumentato il fatturato totale di almeno lo 0,8 per cento. In particolare il fatturato interno è aumentato per la prima volta da oltre tre anni. Con riflessi positivi sull’occupazione: infatti tre imprese manifatturiere su quattro e oltre il 70 per cento di quelle dei servizi dichiarano di aver assunto nel 2014 personale dipendente, in oltre otto casi su 10 con contratti a tempo determinato o indeterminato.

Le condizioni per assumere. L’Istat ha chiesto a un campione rappresentativo di imprese quali provvedimenti potrebbero favorire l’occupazione. La stragrande maggioranza segnala la riduzione del cuneo fiscale (77 per cento nella manifattura e 80,4 per cento nei servizi) , la riduzione degli oneri burocratico-amministrativo (73,6 e 72,4 per cento) e la riduzione dei vincoli al licenziamento (71,9 e 72,3 per cento). Tra le principali ragioni che spingono al licenziamento segnalano invece la riduzione degli ordini, i progetti di sviluppo aziendale, l’eccessivo costo del lavoro, le variazioni dei profitti e il ricambio delle competenze.

L’occupazione. E’ tornata a cresce già nel 2014, ma solo per alcune specifiche categorie: i lavoratori ultracinquantenni, gli stranieri e le donne. Per i lavoratori più anziani pesano le riforme previdenziali, che hanno allontanato l’età della pensione: il tasso di occupazione degli ultracinquantenni, pari al 54,8 per cento, è aumentato del 7,7 per cento negli ultimi sei anni. Il recupero di posti di lavoro si è concentrato soprattutto nell’industria, 61.000, l’1,4 per cento in più, a fronte di un’ulteriore erosione nelle costruzioni e, in misura minore, in agricoltura.

La mappa delle professioni. Il calo consistente prima e la modesta ripresa dopo hanno un po’ modificato la mappa delle professioni in Italia. Tra i gruppi professionali sono diminuiti soprattutto operai e artigiani, e tra le professioni qualificate sono scesi dirigenti, imprenditori e tecnici, mentre sono aumentate le professioni intellettuali e di elevata specializzazione. Nei servizi sono aumentate le attività non qualificate: la crescita dei servizi alle famiglie spiega in buona parte anche l’aumento dell’occupazione femminile.
Il boom del part-time involontario. La crisi ha accentuato l’uso, se non probabilmente l’abuso, del part-time, non come forma di flessibilità, ma come forma di sottoccupazione. Tra il 2008 e il 2014 l’incremento complessivo del part-time è di 784.000 unità, pari al 23,7 per cento in più. Si stima che il 63,3 per cento sia part-time involontario. Nel 2014 i lavoratori a tempo parziale hanno superato i quattro milioni.

I disoccupati. L’inizio di ripresa certo migliora solo leggermente una situazione che rimane ancora negativa. Continua a crescere la disoccupazione di lunga durata, la cui incidenza sul totale supera il 60 per cento: nel 2014 chi è alla ricerca di occupazione lo è in media da 24,6 mesi, da 34 se è alla ricerca del primo impiego. Nel 2014 gli inattivi arrivano a 1,6 milioni, 627.000 in più rispetto al 2008.

L’istruzione paga. I dati mostrano una situazione decisamente migliore per chi ha un livello d’istruzione più alto: infatti tra i laureati il tasso di occupazione si attesta al 75,5 per cento nel 2014, mentre tra i diplomati arriva al 62,6 per cento e per i meno istruiti si ferma al 42 per cento, anche perché la crisi ha falcidiato soprattutto gli appartenenti a quest’ultima categoria. L’istruzione superiore paga anche in termini di retribuzione: nella ripartizione del Centro le donne laureate sono remunerate in media fino al 28,9 per cento in più rispetto a chi ha il diploma di scuola media superiore, per gli uomini il vantaggio arriva al 67,9 per cento.

Il Sud rimane indietro. I segnali positivi percepiti tra la fine dell’anno scorso e questa prima parte del 2015 si fermano al Centro-Nord. “Le aree del Mezzogiorno – scrive l’Istat – si caratterizzano per una consolidata condizione di svantaggio legata alle condizioni di salute, alla carenza di servizi , al disagio economico, alle significative disuguaglianze sociali e alla scarsa integrazione degli stranieri residenti”. Qualche dato: nel Mezzogiorno il reddito è più basso del 18 per cento rispetto alla media nazionale, nelle aree interne più povere la differenza sale al 30 per cento. Il che si riflette naturalmente nei consumi: le famiglie residenti al Sud spendono poco più del 70 per cento della media nel resto del Paese. La spesa nel Mezzogiorno è in buona parte alimentare: si arriva a quote del 28 per cento contro quote che nel Centro-Nord si fermano al 13 per cento per i livelli più alti. Infine la quota delle persone in cattive condizioni di salute è dle 20 per cento al Sud e del 17,7 per cento nel Centro-Nord.

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