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Smeriglio: “Con Sanchez, per un futuro comune dell’Europa.”

Sarà un giorno importante per l’Europa. Bisogna ricordare come, sin qui, le istituzioni europee abbiano fatto il loro lavoro e lo hanno fatto senza rinunciare alla democrazia, tenendo aperto il Parlamento, al lavoro per contrastare la crisi sanitaria e quella economica. Quello che nel 2008 è stato fatto in quattro anni, oggi è stato fatto in quattro settimane. Certo si potrebbe fare di più ma non vedere quanto si è mosso, anche a causa della potenza devastatrice della pandemia, sarebbe un errore.

La Commissione ha agito celermente permettendo l’allentamento del Patto di stabilità (cosa che ha permesso al nostro governo di fare due manovre di 25 e 30 miliardi), la massima flessibilizzazione dei fondi strutturali europei (niente cofinanziamento e aiuti alle imprese fino a 800mila euro), la normativa sugli aiuti di Stato e il programma Sure. Così come la Bce con l’immissione di 750 miliardi (a tutela dei Paesi più colpiti, come appunto il nostro), la Bei con 200miliardi e il Parlamento che sta rivedendo tutto il suo bilancio in relazione alla emergenza e al piano per la ricostruzione, che in ogni caso dovrà mantenere la barra sulla sostenibilità ambientale. Anche le modifiche al Mes relativa alla linea sanitaria vanno, a mio parere, considerare positive: zero condizionalità e un finanziamento complessivo di 250 miliardi per rafforzare i presidi sanitari territoriali e assumere medici infermieri ausiliari.

Ora la palla passa al Consiglio, cioè ai governi nazionali degli Stati membri. Oggi i premier dovranno essere all’altezza del passaggio storico che stiamo vivendo. Bisogna uscire dal Consiglio con una proposta forte, avanzata, capace di immettere liquidità in tutta la zona euro per contrastare una crisi che porterà il continente a meno dieci punti di Pil. Per questo la proposta dei Coronabond assunta dal Parlamento europeo con una maggioranza allargata ai Verdi va nella giusta direzione. Servono strumenti capaci di mettere in comune i rischi, finanziando piani specifici di ripresa sulla sanità, le imprese, il lavoro, il ruolo nuovo che spetta alla dimensione pubblica, a partire dal sostegno alla scuola. Fino a dare seguito con determinazione al dibattito sul Reddito di emergenza. In questo senso la proposta di queste ore del governo spagnolo rappresenta una novità positiva, in linea con il Recovery fund immaginato da Macron.

Dobbiamo tenere il punto dell’alleanza dei Paese mediterranei sulle cose da fare con massima efficienza e velocità. Perché la crisi morde, entra nelle case e non aspetta i tempi della burocrazia. Un piano, quello del governo Sanchez, che prevede un montante di oltre 1500 miliardi di emissioni di debito comune, sovvenzioni definite in base a parametri connessi alla crisi (emergenza covid, calo del Pil, disoccupazione), somme che non andrebbero a ingrossare le cifre del debito nazionale perché sulle risorse messe nelle disponibilità degli Stati si pagherebbero i soli interessi. Una proposta politicamente coraggiosa perché non tutto può essere fatto a debito, vale per gli Stati, vale per le imprese e vale per le persone.

Una proposta veloce perché non prevede modifiche giuridiche e dunque nessun eventuale intervento della Corte Costituzionale tedesca. Un piano operativo dal primo giugno, titoli targati Ue dunque con interessi bassi e la tripla A, un piano che rispetterebbe il ruolo della Bce relativo alla stabilità finanziaria e che verrebbe coperto con una tassa di scopo sulle emissioni di CO2 e il Bilancio dell’Unione portandolo dall’1,2% al 2% del Pil. Un «no paper dettagliato», efficace e che soprattutto indica in quel miliardo e mezzo la cifra che serve per affrontare seriamente la peggiore crisi economica dal 1945 ad oggi. In questo senso le polemiche sui 37 miliardi del Mes, peraltro senza condizionalità e in ogni caso utilizzabili solo su richiesta del singolo governo, appaiono fuori fuoco rispetto a ciò che serve al Paese per uscire in piedi dalla crisi economica e sociale in cui siamo entrati.

Il compito dei leader europei domani deve essere quello di mostrarsi coesi, consapevoli della drammaticità del momento, e pronti ad investire su politiche comuni. Una Europa con politiche condivise capace di aprire un ragionamento anche sulla sua governance, che non può rimanere ostaggio dei singoli Stati. Non serve solidarietà verso singoli Paesi, servono strumenti e volumi economici straordinari per contenere la straordinarietà della crisi. E serve celerità, qualsiasi rimando, rimbalzo alla Commissione non ben dettagliato dal punto di vista dell’indicazione politica verrebbe letto come una resa. A quel punto sarebbe chiarissimo che il problema dell’Europa non sono le istituzioni europee ma gli Stati nazionali con i loro egoismi e interessi particolari.

Massimiliano Smeriglio, eurodeputato del Partito Democratico

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