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Ascani: “Il PD ha ridotto gli sbarchi senza lasciare nessuno in mare”

«Salvini sta isolando l’Italia ed è molto rischioso». A lanciare l’allarme è Anna Ascani, giovane deputata Pd, che partendo dalla vicenda Aquarius e dalle scelte del ministro dell’Interno Matteo Salvini analizza il rischio di una strategia della forza che non entra nel merito delle questioni. Una strategia che, però, ha portato ad un risultato sul piano interno: l’egemonizzazione del M5s da parte di chi alle politiche ha preso la metà dei suoi voti, ovvero la Lega. Mentre il Pd assicura al Il Dubbio è ancora vivo «e deve ricominciare a dialogare con l’elettorato».
 

Il no di Salvini all’Aquarius ha creato una spaccatura con l’Europa. Come si colloca il Pd in questo spazio?

 
«Credo ci sia una differenza sostanziale tra gli slogan e le politiche. Quella di Salvini è stata la scelta di un capro espiatorio, fatto di 629 esseri umani che sono in mare da giorni e che dovranno restarci altri giorni, per dimostrare che terrà il pugno duro. Anche contro donne e bambini, perché vuole far vedere i muscoli, mentre nel frattempo altre navi sbarcheranno nelle prossime ore. Questo vuol dire che nulla è cambiato dal punto di vista formale e sostanziale. Noi, al governo, non abbiamo lasciato mai nessuno in mare. Ma in un anno abbiamo ridotto gli sbarchi del 78 per cento. Credo che i cittadini vogliano i fatti e non gli slogan e spero chi li prende in giro con dimostrazioni di forza fatte sulla pelle dei disperati almeno, in coscienza, si vergogni un pochino».
 

Salvini parla di vittoria, ma adesso da più parti veniamo rimproverati.

 
«Non credo che i nostri partner europei possano permettersi di dire niente, perché l’Europa ha fatto molto poco. Dopodiché, isolare l’Italia è sicuramente la strada sbagliata. Abbiamo bisogno della solidarietà degli altri paesi. Se Salvini pensa di costruire un’alleanza in Europa con Orbàn e con i nemici della ricollocazione dei migranti e della solidarietà, è chiaro che condannerà l’Italia a dover gestire da sola un fenomeno enorme senza averne la forza. Se invece vuole davvero costringere i paesi europei a prendersi le proprie responsabilità deve, prima di tutto, abbandonare l’alleanza con il primo ministro ungherese, perché è il primo a non volersele assumere, e con i populisti che fanno opposizione a Macron e alla Merkel, imponendo loro, in qualche modo, una linea dura. Dovrebbe dire che ha ragione il premier socialista Sanchez a dire che il suo paese si assume delle responsabilità. Salvini sta isolando l’Italia ed è molto rischioso. Quando abbiamo ottenuto che ci fosse la ricollocazione obbligatoria, cosa che Salvini dovrebbe far applicare anche ad Orbàn, e abbiamo ottenuto il codice delle ong, anche molto contestato, lo abbiamo fatto ai tavoli europei. Per ora Salvini all’unico tavolo europeo che c’è stato non si è presentato. Non possiamo avere la posizione dei Paesi di Visegrad, perché gli interessi sono completamente differenti e dall’altra parte stiamo litigando con tutti i paesi del Mediterraneo che dovrebbero darci una mano e sostenere la linea della modifica del trattato di Dublino. I trattati si firmano insieme, mostrare i muscoli può essere una strategia i primi cinque minuti, dopodiché si deve sapere dove si vuole andare. Mi pare che Salvini non abbia la più pallida idea del punto di caduta di questa sua dimostrazione di forza. Saremo costretti non solo a tornare sui nostri passi, ma anche un po’ più acciaccati di prima».
 

Parliamo del risultato alle comunali: come ne esce il Pd?

 
«Il risultato ci dice che il Pd è tutt’altro che scomparso. Lo dimostrano Brescia e il fatto che nella maggior parte dei Comuni sia al ballottaggio e quindi se la giochi per lo più con il centrodestra. Abbiamo perso alcune città importanti, brucia ovviamente la sconfitta di Vicenza, dove peraltro il M5s non si era presentato, probabilmente per dare una mano ai suoi nuovi alleati e dove comunque sono coalizioni farlocche quelle che vincono. È un centrodestra che nei fatti non esiste più, perché tiene insieme quelli che stanno al governo con quelli che stanno all’opposizione, quindi chissà quanto potrà effettivamente durare. Per il Pd però è il segno che abbiamo tanti bravi amministratori che sono riconosciuti a livello locale. Probabilmente dobbiamo fare un po’ più leva su di loro per ricostruire un consenso a livello nazionale».
 

Cosa deve fare per crescere? Prendere la strada prospettata da Calenda con il “Fronte Repubblicano”?

 
«Non credo sia una questione di nomi, ma di capacità di allargare il consenso. Se Fronte Repubblicano è semplicemente un modo per dire che il Pd deve allargarsi e dialogare di più con le forze che ci stanno attorno sono d’accordo, se invece è semplicemente un’operazione di remaquillage no, la penso diversamente. Però immagino che Carlo intenda la prima e non la seconda via».
 

Di quali forze parla?

 
«Non di partiti costituiti, parlo di elettorato. Noi perdiamo il 20 per cento del nostro consenso a favore dell’astensionismo. Paradossalmente il numero di italiani che vanno a votare cresce, ma parte di quelli che avevano votato Pd sta a casa. E quello, secondo me, è un pezzo di popolo a cui dobbiamo tornare a parlare. Dobbiamo capire perché è successo, in cosa non li abbiamo convinti. Abbiamo al governo la destra populista più nera della nostra storia recente, attenuata con nient’altro. E se l’Italia ha ancora una frangia moderata, prima o poi, tornerà a farsi sentire e quella dovrà essere per noi un interlocutore».
 

La forza del M5s è cambiata?

 
«Il M5s è riuscito nell’impresa di farsi egemonizzare, in due settimane, da un partito che ha preso la metà dei suoi voti e questo dimostra tutta la pochezza della sua classe dirigente. Credo che gli elettori li abbiano già puniti con le elezioni, ad esempio nei municipi di Roma, dove alla Raggi è arrivata una lezione pesantissima: ha perso due municipi dove governava, diventando terza forza, e il Pd è tornato primo partito. Sono municipi che contano 300mila abitanti, non realtà periferiche. Il M5s ha fatto un errore molto grave che però è figlio della sua strategia. Noi lo abbiamo sempre detto: in Italia c’è un mostro populista a due teste, fatto di M5s e Lega. In realtà le loro politiche vanno esattamente nella stessa direzione ma i Cinque stelle, in termini di consenso, la pagheranno, perché tra la copia e l’originale gli elettori tendono a scegliere l’originale. E in questo caso l’originale è la Lega di Salvini».

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