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Delrio: “Sui migranti non ci accontentiamo di modifiche soft, serve una nuova legge”

Presidente Graziano Delrio, ci sono decine di migliaia di persone che saranno sbattute fuori dai circuiti di accoglienza quest’anno a causa del primo decreto sicurezza. Siete al governo da mesi e gli effetti del secondo, con le multe per le Ong che salvano vite, sono ancora lì. È arrivato il momento di cambiare?

«Dopo la legge di bilancio è arrivato il momento di intervenire sui decreti Salvini. Partendo dalle cose che sicuramente condividiamo e che abbiamo già scritto: accogliere i rilievi fatti dal presidente della Repubblica e scrivere una nuova legge sull’immigrazione che superi l’emergenza e affronti il problema dal punto di vista strutturale. Con decreti flussi, persone che arrivano con nome e cognome, viaggi regolati dalle ambasciate e non affidati a scafisti senza scrupoli».

 

L’impressione è che stiate di nuovo subendo le scelte dei 5 stelle. I rilievi del presidente riguardano il secondo decreto, la questione della chiusura degli Sprar il primo. Il Pd avrà il coraggio di affrontarli entrambi, nonostante Di Maio dica che loro non ci stanno? Di togliere le multe a chi salva vite in mare, invece che limitarsi ad abbassarle come se a essere inaccettabile non fosse lo stesso principio di sanzioni per i soccorritori?

«Per noi la parte immigrazione di quei decreti è totalmente sbagliata, il giudizio politico del Pd su questo è netto e chiaro. Sulla necessità di ripristinare il sistema degli Sprar c’è grande condivisione anche nel gruppo parlamentare M5S. Dovremo fare anche quello».

Ma Dario Franceschini ha proposto di accontentarsi delle modifiche soft studiate dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, per poi ottenere di più in Parlamento. Come al solito, dopo.

«Non credo nessuno si voglia accontentare . Il dovere di chi governa è valutare gli effetti delle cose che sono state fatte: l’aumento della clandestinità, l’assenza di percorsi legali, sono storture da correggere».

 

Siete uniti su questo?

«Non è in discussione il nostro no ai decreti sicurezza, è in discussione da dove partire per cambiarli».

Si potrebbe partire cancellandoli. Avete accettato dai 5 stelle quota 100, reddito di cittadinanza, taglio dei parlamentari, blocco della prescrizione. Non è ora di far sentire il peso del Pd in quest’alleanza?

«Nella verifica di maggioranza che andiamo a fare…».

 

Dopo le regionali.

«Tra due settimane. In quella sede porremo diverse questioni con chiarezza: il lavoro con la parità salariale uomo-donna, l’equo compenso per i giovani professionisti, l’assegno unico per i figli. Prima del nostro ingresso nel governo l’Italia aveva un posizionamento internazionale discutibile. Grazie alla discesa dello spread abbiamo guadagnato miliardi impiegati per abbattere le tasse sul lavoro dipendente. Quando siamo arrivati si parlava di condoni, adesso si parla di lotta all’evasione. Quando c’era la Lega il discorso pubblico era occupato da un’inesistente “invasione”, adesso siamo concentrati a creare posti di lavoro sostenibili. E lotteremo per una giustizia giusta, interverremo per equilibrare la riforma della prescrizione in modo che nessuno debba subire processi infiniti».

 

Arriverà mai il tempo dello Ius culturae?

«Il fatto che il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, un 5 stelle, abbia incardinato la legge, è un primo passo. Bisogna trovare dentro il Parlamento la forza di approvare una riforma giusta. Il Paese che vogliamo costruire è meno impaurito, più forte e più giusto. E dà a tutti uguali diritti e doveri».

Zingaretti apre al Movimento 5 stelle, apertamente e orgogliosamente populista, e alle Sardine, nate contro il populismo. Non è una contraddizione?

«Se vuoi essere un grande partito riformatore dentro una società complessa devi essere in grado di tener dentro tante istanze. Sono affezionato alle Sardine, perché mi ricordano quel che diceva Hannah Arendt sulle rivoluzioni. La manifestazione fisica dell’essere cittadino, nelle piazze, fa parte della ricchezza di un Paese. I partiti devono sapersi mettere in ascolto di questo civismo e trasformare l’ascolto in proposta. D’altro canto, il centrosinistra ha davanti a sé un centrodestra forte, nuovo, organizzato: per combatterlo è necessario che forze che non si conoscono provino a dialogare».

 

Rischiando di perdere se stessi?

«No. Io vengo dall’Emilia-Romagna, il modello è quello: se ci stai a portare avanti un progetto in un certo modo, bene. Altrimenti non importa. Non dobbiamo essere arroganti, ma non dobbiamo neanche corteggiare nessuno».

 

Per potersi aprire il Pd deve cambiare nome e forma? Non è un rischio?

«Sono affezionato alla sfida del Pd. I nomi possono cambiare, ma quello che mi interessa è l’unione di culture popolari, comunitarie, che si sono unite per portare libertà, eguaglianza, fraternità. Credo che quella intuizione profonda abbia ancora tanto da dire».

 

Conte è un punto di riferimento importante per il campo riformista?

«Conte è il punto di equilibrio di questa alleanza. Esprime una sensibilità di centrosinistra. Può diventare una delle persone che aiuta il percorso».

 

Come si resiste all’avanzata della destra, perfino in luoghi simbolo di buon governo come in Emilia-Romagna?

«La sinistra deve trovare il suo modo di rispondere a paura e solitudine. Che non sono solo frutto delle diseguaglianze, sono qualcosa di ancora più profondo. L’economista indiano Rajan ha spiegato come non si possano prendere in considerazione solo Stato e mercato. Un indicatore importante è il senso di comunità, la protezione e la creazione di reti, di un tessuto sociale. È da lì, dal riformismo comunitario che è dentro la nostra cultura, che dobbiamo ripartire».

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