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Minniti: “Per fare saltare l’Europa il governo nazional-populista usa i migranti”

«I nazional-populisti vogliono far saltare l’Europa con l’arma dell’immigrazione e il campanello d’allarme viene dalla Libia dove in pochi mesi si è rotto l’equilibrio di collaborazione e competizione tra Italia e Francia». L’ex ministro dell’interno Marco Minniti c’incontra al margine di FestaReggio, la festa provinciale del Pd dov’è atteso per discutere di Mediterraneo con il direttore de La Stampa.
 

Come si legano gli scontri a Tripoli con la crisi dei migranti?

 
«Quanto sta avvenendo ci dice che c’è in corso una ridefinizione dei rapporti di forza a Tripoli. Ma ci dice anche che il processo di stabilizzazione si è arrestato. L’estate scorsa era iniziata male per l’Italia, con l’incontro di Saint-Cloud tra il premier libico Sarraj e il suo avversario Haftar che sembrava escluderci. Poi però Sarraj venne a Roma e chiese un accordo per la cooperazione con la guardia costiera libica, la conferenza del 28 agosto vide Italia, Francia, Spagna e Germania discutere di un’iniziativa comune per l’Africa, si trovò un punto di equilibrio tra il protagonismo francese e quello italiano, cooperare e competere. Sui flussi migratori l’Europa non aveva fatto fino in fondo il suo dovere ma l’Italia era riuscita a trasformare un tema divisivo in una questione di rapporti tra l’Europa e l’Africa superando l’impasse. Adesso è saltato tutto».
 

Si riferisce ai rapporti ai minimi termini con la Francia?

 
«È chiaro che i comportamenti infantili del ministro dell’Interno Salvini, che va in Russia indossando la maglietta della Croazia per tifare contro la Francia, abbiano delle conseguenze».
 

Siamo tornati alla competizione senza cooperazione?

 
«In una situazione non emergenziale, con gli sbarchi che a giugno erano già diminuiti dell’80%, l’Italia ha riportato l’immigrazione nel cuore dell’Europa usandola come una bomba atomica. L’obiettivo dei nazional-populisti è mettere in crisi l’Europa, ma anziché servirsi dell’euro lo perseguono con l’immigrazione, che pur avendo la stessa forza divisiva non si misura con i mercati».
 

Dice che stiamo usando i migranti per far saltare l’Europa?

 
«Esatto. Ma così facendo l’Italia si è isolata, anche in Libia. Se vuoi cambiare il trattato di Dublino non cerchi un’alleanza con i Paesi di Visegrad che sull’immigrazione hanno interessi opposti ai nostri. Per governare la transizione in Libia c’è bisogno della massima convergenza di tutti gli attori, compresi quelli regionali. Che contributo possono dare Paesi come l’Ungheria? Il blocco di Visegrad si è avvantaggiato della chiusura della rotta balcanica attraverso l’accordo con la Turchia, ora che è necessario spostare le risorse sull’Africa non è d’accordo e dal suo punto di vista è comprensibile. Ma cosa c’entra l’Italia? È un mero rapporto ideologico e neppure pagante perché l’internazionale nazional-populista è una contraddizione in termini, non ha ragione d’esistere se non per distruggere un ordine costituito».
 

Si può invertire la rotta?

 
«Sulla Libia c’è bisogno di un’Europa unita, dell’America e della Russia. E dal momento che l’Italia rivendica da sempre una leadership, io l’avevo interpretata come una tessitura di rapporti. Abbiamo la memoria corta ma un anno fa Haftar voleva marciare su Tripoli. Ebbi un incontro lunghissimo con lui a Roma».
 

Ora invece minaccia l’ambasciatore italiano a Tripoli.

 
«In un ragionamento di stabilizzazione sulla Libia bisogna pensare alle elezioni. Haftar le avrebbe volute a marzo. Un conto è dire che bisogna costruire le condizioni di sicurezza per il voto altra cosa è dire che non ci sono. Io sarei stato più prudente».
 

Che futuro vede per il Pd?

 
«Il Pd deve riconquistare la società prima di riconquistare il potere e per questo dobbiamo parlare alla paura e alla rabbia della gente. Gli altri lo fanno. La differenza è che laddove gli altri vogliono ancorare gli italiani alle loro paure noi dobbiamo aiutarli a superarle. Urge un congresso del Pd anche in vista delle elezioni europee che saranno le più importanti di sempre».

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