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Migranti, Minniti: la sinistra deve stare vicino a chi ha paura, per liberarlo. Il populismo vuole tutti inchiodati ai propri incubi

«Il 28 giugno scorso è successo qualcosa, qualcuno ricorda? In 36 ore abbiamo accolto 25 barche e 12.500 migranti. Come dimenticare l’aria che si respirava?

 

Ecco, a quel ritmo il rischio era che ci fossero tensioni fortissime nel Paese. Di più: occhio alla paura, sarà il tema cruciale dei prossimi dieci anni, un nodo cruciale per la vita democratica del Paese».

 

Festa dell’Unità di Certaldo, cinquanta minuti in auto da Firenze. Marco Minniti ci arriva di corsa, dopo un giorno speso a inseguire grafici che segnalano un calo degli sbarchi.

 

«Degli ultimi 1.300 migranti soccorsi, soltanto 130 sono stati recuperati dal salvataggio internazionale. E’ la strada giusta. E se ad agosto non siamo alle prese con i numeri che si temevano, forse qualcosa è successo…».

 

E’ successo che il governo ha scelto di tracciare una linea. Di avviare la missione navale in acque libiche. Di stilare il codice di autoregolamentazione delle Ong. E li, proprio in quel punto, si è aperta una crepa. Le regole d’ingaggio le decide Minniti.

 

«Mettiamo in chiaro una cosa: non c’è nessun contrasto dentro il governo». Di più: «Non c’è alcun problema con Delrio». Ieri comunque il Quirinale e Palazzo Chigi hanno esaltato l’azione del titolare del Viminale, non a caso.

«Se arriva il riconoscimento del Colle e del mio governo sul progetto, fa piacere, è chiaro». L’hanno riacciuffato sull’orlo delle dimissioni, è stato scritto.

 

«Nonmi vede? Sono qua, al lavoro. E poi sa qual è la mia filosofia? Vivere la mia vita politica come fosse sempre l’ultimo giorno. Mi muovo così da prima di diventare ministro, le cose possono mutare radicalmente in un momento».

 

Gli applausi dei “compagni” fiorentini sono carezze dopo giorni duri. La mattina trincerato nel suo studio del Viminale. Il pomeriggio a incontrare un delegato dell’Onu. La sera qui, in piazza. A spiegare e rivendicare il suo progetto.

 

«In sette mesi abbiamo disegnato una strategia. Giusta o sbagliata, per carità, ma c’era un disegno. A gennaio andai in Libia, sembrava fuori dal mondo immaginare Tripoli come un interlocutore. E poi a lavorare per rafforzare la loro Guardia Costiera e a discutere con i sindaci della costa di come stronvora, non si fa politica”.

 

Era un modo per esorcizzare il fatto che eravamo intrisi di politica e ideologia. Capito cosa intendo, capito cosa sono?».

 

Intende che la linea è tracciata. E pensa anche che si ricomporrà questa lacerazione profonda, pubblica, quasi sentimentale sulle Ong. Troppo ottimismo?

 

«Altro che criminalizzare le organizzazioni, abbiamo scritto il codice che per loro è un elemento di garanzia e per noi nel solco di un unanime indirizzo parlamentare senza mai farla apparire come una mossa del solo governo italiano. Ho coinvolto tutti. A Tallinn ho incontrato i 28 ministri dell’Interno dell’Unione. Quelli di Germania, Svezia, Olanda, dove le Ong hanno un ruolo strutturato nella società. Dovevo parlare 90 secondi, da prepotente calabrese ho smesso dopo venti minuti: tutti d’accordo».

 

Eppure, adesso si discute della chiusura dei porti: «Chi ha firmato fa parte integrante del sistema di salvataggio nazionale. Chi non ha firmato, no. Naturalmente tutto nel pieno rispetto dei trattati internazionali e della legge del mare. Sabato notte a largo di Lampedusa è avvenuto esattamente questo. E Guardia costiera e Viminale hanno lavorato insieme».

 

E il codice che tanto divide?

«Il codice è come doveva essere e mi pare-che non ci sia alcuna differenza nel governo. Tu fai il salvataggio in mare e io sono il Paese che accoglie chi hai salvato, si è lavorato per trovare un punto d’equilibrio che non si impone per legge, badate tra il principio essenziale di salvare vite umane e quello del rispetto della sicurezza dei cittadini che accolgono».

 

Il tema semmai è un altro: «Se tu sei “Save the Children” e hai firmato il codice, sei da considerare meno nobile di chi non ha firmato? Per me chi firma con la democrazia italiana gode di una fiducia lievemente superiore».

 

Nulla di personale con Medici senza frontiere, comunque: «Massimo rispetto, ci siamo confrontati e continueremo a confrontarci. E poi io lavoro e lavoro, oggi ha firmato un’altra Ong, giovedì vedremo Sos Mediterranee, magari alla fine firmeranno tutti». Pausa, un sorriso: «C’è più festa in cielo per una pecorella smarrita che ritorna..».

Alla fine, comunque, sarà la campagna elettorale a trascinare brutalmente il tema dei migranti nell’arena, giura Minniti. E non chiederà il permesso.

 

«La sinistra deve stare vicino a chi ha paura, per liberarlo dalla paura. Il populismo sta vicino a chi ha paura, per tenerlo inchiodato ai propri incubi».

 

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