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Minniti: “Negare gli approdi è un attentato alla democrazia”

Marco Minniti, secondo Beppe Grillo lei da ministro dell’Interno bloccò gli sbarchi come sta facendo Salvini, ma in silenzio. Riconosce questa continuità?
«No, assolutamente. Per il centrosinistra è sempre stato evidente che non si potevano cancellare i flussi migratori e che l’unica cosa che una democrazia come quella italiana doveva fare, insieme con l’Europa, era lavorare per governarli. Le nostre bussole sono state: combattere l’illegalità, costruire canali legali e farlo tenendo insieme sicurezza e umanità. Mai è stata negata accoglienza, neppure nelle situazioni più difficili. Con l’Onu abbiamo varato il primo corridoio umanitario dalla Libia verso l’Italia. Mai siamo venuti meno al principio di ricerca e salvataggio in mare che funzionava attraverso un sistema coordinato dalla Guardia costiera italiana e che teneva insieme Ong, Guardia costiera libica e le missioni internazionali Sophia e Themis».

 

Un sistema che ora non c’è più?

«Il governo gialloverde l’ha smontato. La Guardia costiera italiana è stata ritirata. Tutto è scaricato sulla Guardia costiera libica che da sola non è in grado di affrontare la situazione. Quando il telefono squillava e scattava l’allarme per un salvataggio, rispondeva la Guardia costiera italiana. Oggi non risponde nessuno».

 

È vero che con lei gli sbarchi sono calati in Italia del 78% ma si sono riempiti i campi profughi-lager libici. E anche lei ha minacciato di chiudere i porti.
«Purtroppo in Libia i campi profughi in condizioni inaccettabili esistono da almeno 15 armi. L’Onu non ci metteva piede. Abbiamo lavorato perché l’Onu oggi possa operare a Tripoli. Abbiamo costruito l’embrione di un modello con rimpatri volontari assistiti insieme con l’Organizzazionemondiale per le migrazioni e l’Unione africana. Di tutto questo non si ha più alcuna notizia. E i porti non li abbiamo mai chiusi. Non è che presumessimo di avere risolto i problemi. Ma il futuro dell’Europa e quello dell’Africa sono strettamente connessi. Anzi il futuro dell’Europa si gioca in Africa».

 

Lei ripete: rischiamo di perdere la Libia. Cosa significa?

«Rischiamo di perdere la Libia nel senso che si sta allontanando la stabilizzazione e si sta arretrando rispetto ai risultati ottenuti. Il governo italiano con un cinico calcolo politico sta utilizzando la questione migrazione per creare un conflitto dentro l’Europa. L’italia è sempre più isolata. Purtroppo la Libia è una delle realtà in cui immediatamente si riflette ogni tensione internazionale ed è per l’Italia un quadrante strategico per il governo dei flussi migratori e per il contrasto al terrorismo internazionale».

 

È stato negato di nuovo l’approdo a una nave Ong, questa volta è la Sea Watch 3 con 47 migranti.

«Non è comprensibile il diniego di sbarco di 47 persone tra cui minori. Per una questione di principio e perché non c’è una emergenza che giustifichi posizioni di questo tipo, né oggi né per la nave Diciotti. Si continua a trasmettere il messaggio che ci sia una situazione fuori controllo, così si tiene viva una strategia della tensione comunicativa, che prescinde dalle questioni concrete. Non si può tenere una democrazia sull’orlo di una crisi di nervi. Sulla Sea Watch, l’Italia si assuma le sue responsabilità. Cancellare l’umanità significa perdere un pezzo della nostra democrazia. Ma anche l’Europa deve dimostrare il coraggio di rompere ima sorta di ipnosi davanti alla sfida nazionalpopulista che la sta paralizzando».

 

Lei ritiene che Salvini abbia violato le norme per il caso Diciotti e quindi vada processato?
«Non commento mai le vicende giudiziarie. Ma politicamente dico che quella della Diciotti è una pagina tristissima della storia italiana. Aggiungo anche che nessuno è al di sopra della legge e che a nessuno è consentito alimentare un conflitto istituzionale. Viminale e magistratura, pur nella divisione dei poteri, sono chiamati a una quotidiana cooperazione».

 

Contro le politiche sull’immigrazione del governo, la stretta sui migranti, i porti vietati, la chiusura di centri di accoglienza ci sono mobilitazioni via social con parola d’ordine “non in mio nome”. Vale anche per lei?
«Non in mio nome, certo. Non si può intervenire in un centro d’accoglienza legalmente riconosciuto dallo Stato con una operazione di polizia. Le immagini di Castelnuovo di Porto, quelle storie di vita spezzate sono state un colpo durissimo alla coscienza del nostro paese. Lo stesso accordo fatto adesso con il sindaco è l’ammissione dell’errore dei giorni scorsi. Sono orgoglioso di avere fatto parte di un governo che dell’accoglienza diffusa ha fatto il principale strumento e veicolo di una politica di integrazione.

 

La sua candidatura a segretario del Pd era stata appoggiata da 500 amministratori e da parte dell’area renziana, proprio perché era considerato il più adatto a sfidare Salvini. Lei ha rinunciato: se n’è pentito?
«No non ho cambiato idea. Sono grato ai sindaci che hanno pensato a me. Ritengo che il destino del Pd e quello della democrazia italiana siano legati. Da questo congresso, sia pure tardivo, deve emergere una leadership legittimata dalle primarie nei gazebo. Pur stimando tutti i candidati. è cruciale che ci sia un esito chiaro e indiscutibile. Mi impegno perché alle primarie del 3 marzo ci sia il massimo della partecipazione e quindi un segretario che superi Il 50%».

 

Questo vuol dire che lei sostiene chi ha più possibilità di superare il 50%, ovvero Nicola Zingaretti?
«Esattamente».

 

 

 

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