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Minniti: “Sull’immigrazione stop alla propaganda o rischiamo nuove guerre di religione”

E’ così, Marco Minniti, il tema dei migranti è diventato talmente divisivo e esplosivo, che un pazzoide voleva fare una strage, almeno così farneticava, per vendicare le morti del Mediterraneo.

«Tirato un sospiro di sollievo perché poteva davvero finir male, un atto gravissimo e ingiustificabile che non ha prodotto drammatiche conseguenze solo grazie alla grande professionalità dell’Arma, non resta che interrogarci su che cosa può essere oggi il terrorismo, e il rapporto con la marginalità instabile».

 

Già, secondo la procura di Milano è stata una strage con aggravanti terroristiche.

«Sono ormai numerosi i casi di soggetti che si autoattivano e passano all’azione violenta. A Ottawa, un tale di origini armene, siccome ce l’aveva con il mondo, con l’auto ha fatto una strage alla fermata dell`autobus. Non aveva contatti con gli islamisti. Ma è talmente egemonica la capacità della propaganda, talmente forte il messaggio, che l’armeno ha adottato la loro metodica».

 

Questo che cosa ci insegna?

«Che nel mondo in cui viviamo, sono infinite le sollecitazioni che possono interferire su una mente debole».

 

Torniamo all’autista italosenegalese, prego. Che c’entra con questo ragionamento?

«Appunto perché viviamo immersi in questo quadro, con forte propensione alla violenza e un continuo bombardamento mediatico, le parole hanno un peso. Una democrazia deve capire che non può andare avanti per gesti simbolici, i quali possono produrre consenso, ma anche avversione, e possono scatenare gesti simbolici rovesciati».

 

Scusi, Minniti, ce l’ha forse con l’attuale ministro dell’Interno?

«Assolutamente no. Il mio discorso è più generale. È rivolto a tutti gli attori della democrazia italiana».

 

Intende allora dire che c’è una polarizzazione esasperata sull’immigrazione?

«Quando dico tutti, intendo tutti. Più che mai, le parole sono pietre. Vede, non esiste più una centrale mondiale del terrorismo che coordina ogni attentato. Il fenomeno è più sfuggente e anche più pericoloso. Abbiamo a che fare con questo meccanismo ibrido, l’autoattivazione dopo una veloce radicalizzazione, in genere seguita a un’immersione nel web, discorso che vale per gli islamisti ma anche per il nuovo fenomeno del terrorismo suprematista, che ci vuole davvero cautela nel trattare i grandi temi. Le migrazioni sono uno di questi. Non si può procedere con l’accetta. In senso generale, nel discorso pubblico si deve procedere con estrema prudenza. Tutti dobbiamo misurare le parole e i gesti. Non invoco l’autocensura, sia chiaro, però si deve comprendere che le grandi questioni non vanno affrontate in maniera ideologica. Il rischio è di finire vittime della propria propaganda».

 

Concretamente?

«Se si fa divenire simbolico ogni gesto, bisogna sapere che si producono effetti di consenso, ma anche di avversione».

 

Anche Luca Traini, a suo modo, reagì come Ousseynou Sy. Fenomeni opposti ma speculari.

«Esatto. Quella fu una rappresaglia aggravata da odio razziale. L’idea di colpire alla cieca per vendicare una vittima, scegliendo le proprie vittime sulla base del colore della pelle. E non è un caso che sia citato da quell’altro terrorista suprematista che assale le moschee in Nuova Zelanda. Ma i terroristi suprematisti e quelli islamisti, in fondo, hanno un’idea in comune: di essere i guerrieri in una guerra di religione. Ma noi non dobbiamo dargli questa dignità. Ecco perché è importante preoccuparsi della libertà di credo. Quando sento Papa Francesco parlare di dialogo inter-religioso, penso che sia un pezzo fondamentale delle politiche di sicurezza».

 

Si narra che i governi italiani vengano regolarmente invitati dall’intelligence a mantenere un profilo basso su questi temi.

«Guardi, le dico la mia: da un lato, ci vuole lotta dura al terrorismo. Dall’altra occorrono prevenzione, intelligence, relazioni internazionali.Ma la rete di protezione è definita anche dal profilo che il Paese si dà».

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