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Il naufragio dell’ottobre 2013. Pinotti: “Da italiana mi scuso con quei padri”

«È una storia terribile. Raccontata con una compostezza che rende ancora più forte il dolore e lo strazio che hanno sopportato questi padri nel vedere morire i loro bambini. Ed è terribile che loro abbiano cercato soccorso per oltre quattro ore – secondo quanto si descrive nel filmato – e che questo soccorso non sia arrivato».
Roberta Pinotti è commossa e turbata. Ha appena finito di vedere “Un unico destino”, il documentario che racconta il dramma di tre padri, partiti dalla Siria per salvare le loro famiglie, che hanno assistito impotenti alla morte in mare dei loro cari.
Un film di Fabrizio Gatti, prodotto da Repubblica e l’Espresso con 42° Parallelo, che andrà in onda domani sera su Sky Atlantic e Sky Tg24. Ci sono le registrazioni delle telefonate in cui chiedono aiuto all’Italia e a Malta: «Vi prego aiutateci, ci sono cento bambini e cento donne, stiamo morendo!». C’è una nave della nostra Marina che li potrebbe raggiungere in 40 minuti. E a cui viene ordinato di non fare nulla: «Non deve stare tra i coglioni», intimano dal Comando centrale.

Nel naufragio hanno perso la vita 268 persone, tra cui 60 bambini. In quel ottobre 2013 Roberta Pinotti non era ancora ministro della Difesa, ma non si sottrae alle domande.

«Va fatta chiarezza. È una vicenda che la magistratura sta cercando di definire, ci sono state già delle indagini condotte dalle procure di Agrigento e di Roma che hanno chiesto l’archiviazione. Il gip romano ha domandato degli approfondimenti e io posso dire che avrà la massima collaborazione e la massima trasparenza da parte del ministero che rappresento. Ovviamente sarebbe un errore grave pensare di incolpare la Marina Militare nel suo complesso ma bisogna capire se ci sono delle responsabilità personali: non riesco a spiegarmi perché quella nave sia stata lasciata senza soccorso per così tante ore».

In quel momento il mare tra Libia e Sicilia era diviso in zone di competenza tra noi e Malta. Ma al di fuori delle responsabilità penali, c’è la domanda
che pone uno di quei padri: «Le autorità italiane ci convincano di averci trattato come esseri umani». Mentre nelle comunicazioni tra Marina e Capitaneria il destino di 480 persone viene discusso come se fosse una pratica d’ufficio. Si può gestire la salvezza di tanti uomini, donne e bambini come una questione burocratica?
«No. E soprattutto esiste una legge del mare che di fronte al fischio per la vita umana impone alla nave più vicina di intervenire».

Oggi potrebbe accadere ancora una tragedia del genere?
«Oggi c’è più chiarezza ed esperienza nelle procedure. Io voglio sperare che quello che è accaduto sia spiegabile con una sottovalutazione, con una non comprensione del pericolo reale. Nonostante la drammaticità di quello che il documentario mette in evidenza, perché c’è chi sta lottando per salvare i propri figli e chi dall’altro capo del telefono si perde in discussioni burocratiche, io conosco una Marina che ha sempre messo la vita umana al primo posto. Anche di fronte a campagne lanciate contro Mare Nostrum nel momento del massimo numero di salvataggi, ho parlato con comandanti che mi dicevano: “Salvare è il primo dei nostri compiti e lo facciamo con il massimo impegno”. Sono stata a bordo delle nostre navi: ho visto sempre grande umanità. Ricordo l’episodio di una donna incinta di cinque mesi che temeva di avere perso il figlio durante un naufragio: un medico volontario le aveva fatto un’ecografia sul ponte e quando si è capito che il bambino non aveva sofferto, tutti i marinai e gli ufficiali si sono abbracciati. Io ho quelle immagini negli occhi. Ma quella del documentario è un’altra storia. Stento a capire come possa mettere insieme la mia esperienza con l’idea che qualcuno abbia potuto trattare come una pratica burocratica il rischio di morte per centinaia di uomini, donne e bambini».

Dopo quella strage il governo di Enrico Letta decise di lanciare Mare Nostrum, la più grande operazione umanitaria della storia.
«Sconvolti dalla tragedia si è capito che serviva una diversa organizzazione dei soccorsi. Il dramma imponente dei profughi in fuga dalla Siria e dai paesi africani non poteva essere gestito con i normali assetti. Ricordo che la Marina Militare italiana ha salvato 150 mila persone. Ma non è che prima venisse ignorata questa necessità: ricordo soccorsi il giorno precedente e il giorno successivo a quel naufragio».

Qualcuno dovrà almeno chiedere scusa a quei padri.
«Ovviamente difendo la nostra Marina Militare, so quanta passione, quanti sacrifici e quanta professionalità impiegano nel loro lavoro. Per questo è necessario distinguere. Ma da persona e da cittadina italiana io mi sento in dovere di chiedergli scusa».

Da madre, la forza che dimostrano i protagonisti di questo dramma la colpisce?
«La calma tranquilla con cui hanno raccontato il loro dolore da idea dell’abisso che si portano dentro. Se c’è un pensiero che non riesco a fare è quello che le mie figlie scompaiano prima di me, è inconcepibile. Non so come loro abbiano la forza di andare avanti, credo che li sorregga l’essere medici, la capacità di continuare ogni giorno ad aiutare e salvare gli altri».

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