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De Vincenti: “Lasciamo un tesoretto per il Sud”

«Sarà cura, nell’ambito della responsabilità dei singoli Dicasteri, assicurare, nella fase di definizione delle politiche di settore e di programmazione ordinaria e nella definizione dei conseguenti stanziamenti, il rispetto della suddetta proporzione in applicazione della direttiva».
 
Si conclude così la lettera che il ministro uscente per la coesione territoriale e il Mezzogiorno Claudio de Vincenti ha inviato ieri ai colleghi del governo Gentiloni sulla destinazione a favore del Mezzogiorno del 34% degli investimenti ordinari. Una misura molto attesa (se fosse stata applicata il Mezzogiorno durante gli anni della crisi avrebbe evitato il collasso economico) il cui iter è sostanzialmente concluso.
 

Che cosa vuol dire che l’iter è concluso?

 
«Che è stata completata la fase istruttoria con l’acquisizione da parte delle amministrazioni dei dati e delle proposte per l’identificazione dei programmi di spesa di investimento da ricomprendere nel criterio del 34%. È stato un lavoro di collaborazione molto costruttivo con i ministeri responsabili. Spetterà ora al prossimo Presidente del Consiglio adottare la direttiva che darà gambe al riequilibrio territoriale previsto dalla legge che noi abbiamo varato».
 

Perché non l’avete adottata voi?

 
«La direttiva è un atto di indirizzo politico proprio del Presidente del Consiglio che certamente non può essere ricompreso nell’ordinaria amministrazione alla quale noi siamo tenuti dalla fine del dicembre scorso».
 

Si potrebbe attuare anche subito questa misura?

 
«Certamente sì. Una volta varata la direttiva, sta ai ministri, nell’ambito della programmazione di ciascun dicastero, applicarla assicurando che gli stanziamenti rispettino nel loro complesso la proporzione del 34%».
 

Ma questo significa che ogni singolo programma di spesa dovrà rispettare il criterio del 34%?

 
«No, sarebbe sbagliato perché ingesserebbe programmi che affrontano anche criticità che riguardano singoli territori. In realtà, come prescrive la norma, è l’insieme degli interventi che deve consentire il riequilibrio territoriale della spesa ordinaria per investimenti: quindi, il singolo progetto persegue i suoi specifici obiettivi ma il complesso della spesa che dai diversi programmi deriva dovrà rispettare il criterio del 34%».
 

Questa regola si combina e come con i fondi strutturali europei?

 
«È una misura che va esattamente nella direzione di rendere più efficaci i fondi di coesione europei e nazionali, perché ne assicura il carattere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto alla spesa ordinaria in conto capitale. In altri termini, la regola del 34% ovvero la regola della ridistribuzione sul territorio della spesa ordinaria potenzia l’effetto dei fondi di coesione a sostegno del recupero dei ritardi di sviluppo delle aree svantaggiate».
 

Ma il nuovo eventuale governo ne terrà conto?

 
«Se devo stare al cosiddetto “contratto” messo nero su bianco da Lega e M5S non c’è da stare tranquilli: il punto 25 è un concentrato di niente. Peggio, è una esplicita teorizzazione del disinteresse per il Sud. Certo, dopo che si è svelata l’assenza del tema Mezzogiorno dagli accordi di potere tra M5S e Lega, fioccano le smentite. Staremo a vedere, li misureremo sui fatti. Attuare la regola del 34% sarà il primo banco di prova: “hic Rhodus hic salta».
 

Ma lei è decisamente pessimista o prevenuto?

 
«Realista, piuttosto. Credo che il silenzio assordante sugli investimenti e, viceversa, la grancassa sul cosiddetto “reddito di cittadinanza” stiano a significare che si intende semplicemente compensare l’assenza di una politica di sviluppo per il Sud con la vecchia politica dell’assistenzialismo».
 

Si riferisce alla proposta di reddito di cittadinanza?

 
«Chiariamoci sulle parole: il reddito di cittadinanza di per sé significa un reddito garantito a tutti i cittadini in quanto tali ed è proprio questo che i M5S teorizzavano originariamente. Ora, a parte il costo abnorme che avrebbe, sarebbe una misura che finirebbe per accollare alla collettività un potente disincentivo al lavoro. Non a caso gli stessi proponenti stanno oggi facendo marcia indietro e lo riconducono a un sostegno per chi non ha lavoro e lo sta cercando e versa in condizioni di povertà. Ma questo a casa mia si chiama reddito di inclusione sociale e non reddito di cittadinanza e non c’è bisogno di inventare nulla: basta partire dalla legge che abbiamo varato noi, con tutte le regole di trasparenza e incentivazione al lavoro che quella prevede. Se si insiste a parlare di reddito di cittadinanza si crea un grande equivoco».
 

Quale?

 
«Quello di un reddito che prescinde dal lavoro e questo si chiama assistenzialismo. In passato il Sud ne ha già fatto le spese, con i potenti che consideravano donne e uomini sudditi e non cittadini».
 

Sembra proprio che nel nuovo governo non ci sarà un suo successore…

 
«Sarebbe una scelta sbagliata e un grave errore non prevedere un ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. Le politiche di coesione sono politiche essenziali per lo sviluppo del Paese: non si cresce gli uni contro gli altri, si cresce tutti insieme. E il Sud ha bisogno di politiche che sostengano le energie vive che in questi anni sono emerse. Gli investimenti pubblici contenuti nei Patti, il credito d’imposta e le Zone economiche speciali per gli investimenti privati, Resto al Sud per il sostegno alla capacità imprenditoriale dei giovani meridionali: sono misure che stanno dando frutti importanti e riconosciuti da tutti gli operatori. Devono chiarire: le confermano o le affossano?».

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