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Provenzano: «Correre perché il Sud freni il contagio. Sanità, serve coordinamento nazionale»

Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la coesione territoriale, riflette sui dati di giornata della Protezione civile. È preoccupato, ma niente affatto rassegnato. E, con tutto il governo, resta concentrato sulle risposte politiche da dare.

 

Ministro, se la prima ondata di casi in Lombardia si fosse registrata in una regione del Mezzogiorno sarebbe stata una catastrofe…

È una verità. Me la ripeto con un misto di sollievo e di rabbia. Ma ora non sprechiamo il tempo. Impegniamoci senza sosta tutti, governo e Regioni, a preparare il sistema sanitario meridionale all’eventuale dilagare del contagio. La speranza è che le misure di contenimento adottate lo impediscano. Ma è bene dirselo. Sono giorni cruciali e molto è affidato ai comportamenti di ciascuno di noi.

 

Da uomo del Sud, cosa ha pensato vedendo le scene di fuga coi treni? Non è stata una bella pagina.

Lo abbiamo detto dall’inizio. C’è un elemento di responsabilità individuale che, al di là dei decreti, non deve venire meno. Non si mettono a repentaglio famiglie e affetti, nemmeno quando sono loro a volerlo. Ma non giudico, conosco la condizione dei fuorisede, spesso poco più che ragazzi, in stanze di pochi metri quadri. La maggior parte si è autodenunciata e autoisolata. Ora si devono attenere scrupolosamente, come tutti, alle disposizioni delle autorità competenti.

 

Nel Mezzogiorno, i governatori corrono contro il tempo per attrezzare gli ospedali. Il governo li sta sostenendo?

I decreti varati consentono di ampliare i posti in terapia intensiva e subintensiva, e soprattutto di assumere medici e infermieri, perché questa è la maggiore carenza. Le Regioni del Sud potranno anche fare di più impiegando i fondi europei, con procedure semplificate. Ogni giorno alla Protezione civile si fa il punto sugli approvvigionamenti e la nomina del commissario Arcuri è una garanzia. Non è tempo di egoismi e scontri territoriali. Capisco le ansie dei governatori, ma nessuno verrà lasciato solo.

 

Decenni di sperperi prima, e di tagli draconiani poi, hanno desertificato la sanità del Sud. Superata l’emergenza, si troveranno volontà e risorse per colmare il divario?

È la prima grande lezione da trarre da quest’emergenza: l’importanza della sanità, pubblica e universale. Sapere che l’Italia prova a salvare ogni vita, senza distinzioni di reddito o di età, è un primato morale. Anche per questo, sul diritto fondamentale alla salute, non possiamo tollerare disparità territoriali. Era previsto nel Piano Sud, ora diventa ancora più urgente. Inoltre il Servizio sanitario nazionale, per essere davvero tale, senza entrare sul tema delle competenze costituzionali, necessita di un presidio centrale di coordinamento più forte.

 

Ci sarà un altro provvedimento da 25 miliardi?

Siamo già al lavoro su un nuovo decreto. Riguarderà tutti i settori per rilanciare l’economia. Dobbiamo ripartire. È presto per dare numeri, ma non è davvero più tempo di decimali. Abbiamo mostrato fin qui la determinazione a impedire il collasso economico e sociale. Anche nel decreto di ieri ci sono misure per il dopo. Per il Sud, ad esempio, aumentiamo l’anticipo del Fondo sviluppo e coesione al 20 per cento, circa un miliardo in più di liquidità a imprese e amministrazioni.

 

Lei ha avuto un confronto con la commissaria Ue Ferreira per reindirizzare 800 milioni di fondi europei verso l’emergenza italiana. Ma da Bruxelles arriverà altro sostegno?

La commissaria Ferreira è una donna di valore, è stato un confronto utile e proficuo. Gli 800 milioni sono di cassa, nel confronto con le Regioni potremmo arrivare presto a un paio di miliardi. Altre risorse si potranno liberare. Ma non ce la caveremo usando i pochi fondi della Coesione. L’Eurozona a inizio anno era già in difficoltà: uscirà dall’emergenza solo ripensando le sue regole di funzionamento e attraverso un grande piano di investimenti pubblici europei.

 

Si riferisce ai cosiddetti eurobond?

Già. Sugli eurobonds, dico solo una cosa: se non ora quando?
 

Quale Italia e quale Europa immagina, dopo l’emergenza? Più impaurite e grette? O più solidali?

All’inizio, la solidarietà è mancata. Ora l’atteggiamento è cambiato e dalla Commissione arrivano segnali importanti. Aiuti e non ostacoli, per dirla col presidente Mattarella. Le misure adottate dall’Italia si stanno imponendo a livello europeo. Anche nei giorni della paura, non c’è alternativa alla cooperazione. Ma in Italia è accaduto qualcosa in più. Ci stiamo riscoprendo una comunità nazionale, coesa perché consapevole di un destino comune. Mi sono affacciato anch’io sul balcone, nei giorni scorsi, per unirmi all’abbraccio collettivo. E commovente. Non so se e quanto durerà, dopo. Ma è successo e avrà un valore straordinario, quando arriverà il momento di rialzarci.

 

Lei come sta vivendo?

Con quali cautele e con quali preoccupazioni? Sono più spesso a casa, quasi tutte le sere riesco ad addormentare i miei bambini. È un privilegio, se penso a medici e infermieri che non vedono le famiglie dall’inizio dell’emergenza. Sono storie che conosco direttamente, la mia compagna è bergamasca. Seguiamo con inquietudine il travaglio di quella provincia. Bergamo è la città dei mille. Nel giorno dell’Unità d’Italia, da uomo del Sud e per il Sud, vorrei che gli arrivasse forte tutta la nostra solidarietà.

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