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Provenzano: “Il gender gap non è più accettabile”

«Buona parte della questione meridionale è legata al gender gap, diffuso in tutta Italia, ma in particolar modo al Sud». Lo dice Giuseppe Provenzano, Ministro per il Sud e la coesione territoriale, 37 anni, originario di Milena, provincia di Caltanissetta, laurea in Giurisprudenza e dottorato alla Scuola Superiore Sant’Anna proprio sulle politiche di coesione.

 

Ha apertamente dichiarato la sua lotta a un certo maschilismo quando, a inizio giugno, ha detto di non avere intenzione di partecipare a convegni senza donne.

«E l’immagine non tanto di uno squilibrio, bensì di una rimozione di genere, che non è davvero più accettabile, specie al Sud. L:Italia è agli ultimi posti in Europa per occupazione femminile e questo fenomeno è doppio al Sud. È un fenomeno provocato da uno squilibrio di welfare, apre un grave problema di diritti di cittadinanza negati. E rappresenta un paradosso: le statistiche internazionali, come Ocse, ma anche Invalsi ci dicono che al Sud le donne registrano performance scolastiche di gran lunga migliori rispetto ai maschi, eppure sono meno occupate o subiscono una forma di “segregazione occupazionale”, una maggiore difficoltà di accesso alle posizioni di vertice e un divario salariale rispetto ai colleghi, anche a parità di mansioni, che riguarda tutta Italia, ma è particolarmente intenso al Sud».

Come invertire la rotta?

«Viaggio spesso al Sud e raccolgo storie straordinarie di giovani imprenditrici, come quella del Panificio Ducato d’Amalfi nel Napoletano, oppure BlackShape in Puglia, un’azienda aerospaziale, che ha adottato una politica di grande attenzione alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Sono esperienze che mi fanno capire che i tempi sono maturi per un vero cambio di passo. La battaglia per la condizione femminile va combattuta per far avanzare la democrazia e i diritti. Una nuova stagione femminista, di affermazione delle pari opportunità, non è solo un atto di giustizia, serve allo sviluppo. Liberare il potenziale delle donne è una via per rilanciare il Sud».

Ci sono dei progetti a nostro favore?

«Nel Piano per il Sud 2030 lanciato a Gioia Tauro a febbraio c’è una proposta organica per liberare risorse e capitale umano sul fronte femminile investendo su welfare, scuola, asili nido. Ma serve anche anticiparne l’impatto con un incentivo strutturale all’occupazione femminile. Per questo è partita una collaborazione con il Ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, e insieme porteremo questa proposta in Consiglio dei Ministri, per una sua rapida approvazione. Contiamo di avere il via libera a breve».

Non crede d sia anche una questione culturale da affrontare?

«La politica e la società civile iniziano a porsi seriamente il tema della parità di genere. Non è un caso se in Consiglio dei ministri è stata approvata una normativa in base alla quale tutte le leggi elettorali regionali devono recepire la doppia preferenza di genere, cioè la possibilità di dare due voti alle elezioni amministrative o regionali purché riguardanti due candidati di sesso diverso ma della stessa lista. Lo squilibrio di genere non riguarda solo l’economia o la politica, ma anche il mondo dei media, della cultura».

Quindi la questione femminile resta un tema immutabile negli anni?

«Cambia forma. Se da un punto di vista culturale la donna si è emancipata dallo stereotipo dell'”angelo del focolare”, dall’altro non riesce a costruire percorsi di piena emancipazione, spesso per mancanza di tutele e opportunità. E abbandonata a se stessa, costretta a scegliere tra fare un figlio o avere un lavoro: e spesso la soluzione è quella di non avere un figlio. È indispensabile ampliare gli spazi di diritto della donna».

La pandemia ha peggiorato la condizione femminile?

«L’ha messa sotto una lente di ingrandimento. Le donne sono coloro che più hanno pagato il peso del lockdown: proprio per provare a distribuire meglio il carico famigliare è stato approvato il Family Act, un meccanismo per rendere ancora più paritaria la condizione di maschi e femmine. Ma la strada da fare è ancora lunga».

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