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Bonaccini: «Sindaci, sì alle alleanze. Ora il congresso Pd non serve»

«Finalmente finisce questo tormentone…», dice Stefano Bonaccini, governatore Pd dell’Emilia, dato alla vigilia delle regionali come prossimo candidato della segreteria.

Ma le elezioni non sono state una disfatta: «Un risultato superiore alle aspettative», ribadisce Bonaccini che non chiude alle alleanze con i 5 Stelle per le comunali 2021.

3 a 3 alle regionali: una parziale vittoria visti i sondaggi della vigilia?

«Un risultato superiore a tante previsioni negative, certamente non scontato. Ho ribadito mille volte nelle passate settimane che si trattava di un voto regionale, come dissi anche per l’Emilia a gennaio. Ma nell’insieme il Pd ha fatto la sua parte, tanto nelle regioni come nei comuni».

Queste elezioni segnano un declino irreversibile dell’M5s?

«Le regionali non sono mai state il loro terreno migliore ma stavolta più che in passato hanno pagato la mancanza di chiarezza, il rimanere nel limbo e isolati. Hanno scelto di non fare alleanze e ancora una volta, come successe qui a gennaio, i loro elettori hanno scelto il voto utile, tanti a favore dei candidati del Pd e del centrosinistra peraltro, visto che governiamo insieme il Paese».

Quindi, anche dopo la disfatta in Liguria, non ha più senso allearsi con loro alle comunali dell’anno prossimo?

«Se una coalizione larga, composta dalle forze che sostengono il governo Conte, quindi centrosinistra più M5s, si fosse presentata per tempo in tutte le regioni dove si votava, con programmi concreti e condivisi, si sarebbe ottenuto molto di più. I numeri aggregati dicono che in questa tornata elettorale la coalizione di governo ha superato il centrodestra. Certo, non ci sono automatismi, servono proposte comuni che nascano nei territori, candidature autorevoli, ma se rinunci in partenza a dialogare sei più debole. Per questo va fatto senza dubbio il tentativo di presentarsi uniti alle amministrative del 2021, per i governi locali ma solo se condividi un programma e non come somma per battere gli altri. Magari partendo per tempo, stavolta».

Lei era considerato un candidato per il congresso Pd. Ora?

«Ora finisce questo tormentone a cui non mi sono mai prestato. Stiamo provando a uscire da una pandemia senza precedenti, il virus non è ancora sconfitto e c’è da scrivere un piano di ricostruzione del Paese da presentare all’Europa per poter utilizzare 209 miliardi di curo, una mole di investimenti enorme da cui dipende l’Italia del futuro, con più sanità pubblica, scuola, lavoro, innovazione digitale e sostenibilità. Questa è la priorità, non il congresso del Pd.

Da questo dipende anche il successo del Pd, non da un congresso o da Bonaccini. Se ci contassimo nei circoli tra di noi, invece che occuparci della vita reale delle persone, saremmo da ricoverare. Io ho appena avviato col ministro Manfredi un nuovo cantiere al Tecnopolo di Bologna, cuore dell’Emilia-Romagna Data Valley europea, e sabato sarò a Bobbio, nell’appennino piacentino, per il via alla campagna per piantare 4,5 milioni di nuovi alberi nella nostra regione nei prossimi quattro anni, uno per ogni emiliano-romagnolo. In poche settimane con tutte le parti sociali firmeremo il nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima. Questi sono il mio compito e la mia responsabilità».

E se Zingaretti appare ben saldo alla segreteria Pd, non crede che serva una scossa o comunque un congresso tematico?

«Nicola sta lavorando per imprimere questo scatto e le priorità sono altre. Adesso dobbiamo lavorare per il Paese. Se poi riterremo funzionale un’assise programmatica per declinare le priorità, io sarò senz’altro della partita per portare un contributo di idee e progetti. Mi creda: vince il Pd che governa bene, che si apre alla società e sa rispondere ai bisogni dei cittadini, non quello che si incarta in discussioni interne o fa soltanto dibattiti ideologici, magari con la testa rilegata all’indietro.

Se il governo gode di consenso e Salvini ha mancato ancora una volta la spallata è perché abbiamo trovato le risposte giuste alla pandemia. E anche i presidenti di regione che hanno fatto bene su questo, a prescindere dal colore politico, hanno trovato sostegno nel voto dei cittadini.

Guardi lo straordinario lavoro che ha fatto Vincenzo De Luca. Adesso dobbiamo trovare risposte altrettanto efficaci agli effetti economici e sociali della pandemia. Il punto sul Mes, ad esempio, è questo, non un puntiglio ideologico».

Lei è per l’autonomia differenziata. Ma non si rischia di aumentare il divario con il Sud?

«È esattamente ciò che va evitato, perché il Paese deve ripartire insieme e più unito. Ma come per il Recovery fund, anche qui dico che un conto è avere obiettivi nazionali, altro conto è pensare di far meglio accentrando a Roma tutta la gestione e la spesa. Sarebbe una follia: assicuro che così non spenderemmo gran parte delle risorse che abbiamo ottenuto dall’Europa.

Con il ministro Boccia abbiamo concordato la necessità di una legge cornice nazionale, l’urgenza di approntare livelli essenziali delle prestazioni che assicurino a tutti i cittadini una base di diritti e servizi omogenei, una perequazione solidale tra parti del Paese. Ma poi bisogna semplificare, ridurre le sovrapposizioni e accorciare la catena dell’attuazione, avvicinare ai cittadini e al territorio l’attuazione. Per me l’autonomia è questo, non chiedere più soldi».

De Luca chiede di rivedere i criteri della spesa storica e che al Sud arrivi il 34 per cento delle risorse sul recovery Fund. Lei cosa ne pensa?

«Sono d’accordo: servono Lep, solidarietà ed efficienza. Dobbiamo sforzarci di ragionare come Paese, perché posta in questi termini è una divaricazione assurda e improduttiva. Queste risorse servono a colmare squilibri territoriali, sociali, di genere e generazionali. Che esistono nel Paese, tra le Regioni e all’interno delle Regioni stesse. Che poi siamo impiegate in modo differenziato per recuperare ritardi da un lato e incrementare la produttività dall’altro è altrettanto sacrosanto. Per questo sia io che De Luca chiediamo di rafforzare il ruolo di programmazione delle Regioni nella gestione del Recovery Fund: non è una battaglia di campanile o di prerogative, ma l’unico modo possibile per tenere insieme esigenze diverse e altrettanto importanti».

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