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Delrio: “Ma chi ci giudica di destra impedisce un vero dialogo. Basta con i veti su Renzi”

Una manovra con «più investimentie più sgravi per chi crea lavoro». Tenendo fermo, però, che il cambio di rotta che chiede Mdp «non parte oggi ma è figlio di tre anni di governo». Sulle alleanze future, invece, il dialogo non inizia nemmeno «se mi si dice che ho adottato politiche di destra e che sono amico dei padroni». Cinquantasette anni, ex sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio è stato il braccio destro di Matteo Renzi a Palazzo Chigi prima di essere nominato ministro delle Infrastrutture, carica che ha mantenuto anche con Paolo Gentiloni. Di questi tre anni rivendica i risultati: «Abbiamo tenuto alto il pil, l’occupazione è cresciuta, le imprese hanno aumentato gli investimenti. Nessuno ha fatto bene come noi».

 

Il governo, però, è in piena fibrillazione. I centristi di Ap minacciano di non votare la fiducia sullo ius soli, Mdp mette paletti sulla manovra: come si va avanti?
«Prendo atto che il Pd continua a essere l’elemento di stabilità di questo governo. Fin dall’inizio abbiamo detto le cose in cui crediamo, dalle unioni civili alla legge sulla povertà. Per quanto riguarda lo ius soli non ho cambiato idea. Ap, invece, ha votato alla Camera e adesso al Senato dice che il contesto non è favorevole. Non dobbiamo cedere all’idea che stiamo regalando un’occasione per venire in Italia gli stranieri. Stiamo evitando di imporre umiliazioni inutili a chi ha completato un ciclo di studi ed è un italiano di fatto e non di diritto. Bisogna andare avanti».

 

Fino alla fiducia?
«Fino alla fiducia, ma questa sarà una valutazione di Gentiloni. Nessuno vuole mettere in crisi il governo».

 

E Mdp? Bersani chiede che la manovra punti agli investimenti e non sia infarcita disgravi e bonus.
«I bonus per le imprese non aiutano a investire in finanza bensì all’interno delle imprese. Dal 2014 sono cresciuti del 2,9%. Nelle aziende di trasporti il parco mezzi è stato rinnovato del 50% grazie a questa opportunità. Nel triennio 2012-2014 sono stati dati alle ferrovie 4,5 miliardi, nel triennio 2015-2017 sono diventati 32. Vanno rafforzati, è il nostro obiettivo. Si cercano spazi fiscali per questo, non per regalare
mance. La prossima manovra deve insistere su più investimenti pubblici e privati e più sgravi per chi crea lavoro. Va seguita questa strada, con azioni che, per altro, Mdp ha sempre votato».

 

Come la mettiamo con l’Europa e le sue richieste?
«Nessun economista al mondo pensa di promuovere la crescita con politiche di austerità e parametri pensati in una stagione con poca liquidità e grande instabilità. Forse era necessaria per due o tre anni ma ora quella stagione è finita».

 

Ma c’è il macigno del fiscal compact.
«Che, però, va rivisto. Una richiesta che l’Italia deve fare per l’Europa. Il Pd vuole un’Europa politica ma come si fa a raggiungere questo risultato se le regole e i parametri sono questi? Serve una discussione laica e libera, il fiscal compact non è scritto sulle tavole della legge».

 

Torniamo in Italia: nelle ultimesettimane si sono moltiplicate anche nel Pd le critiche a Renzi. Il segretario appare isolato, incapace di fare squadra.

«Nessun isolamento. La linea del Pd è solida e unitaria. Il segretario è stato eletto alle primarie col 70%. Questa discussione tra correnti non la vedo. Ne vedo una sui contenuti e la minoranza fa il suo mestiere».

 

Però le fuoriuscite verso Mdp non si fermano. Lei nei giorni della scissione, in un fuorionda, usò l’immagine della «rottura della diga in California: si forma una crepa e l’acqua dopo non la governi più».

«Il tema, anche allora, era la disaffezione dei nostri elettori che mi preoccupa di più della fuga dei dirigenti. La mancanza di unità determina la disaffezione verso la politica. La discussione è importante e legittima ma le divisioni, il rancore personale, l’accanimento che vedo contro Renzi non aiutano nessuno. Non ha aiutato la sinistra la personalizzazione contro Berlusconi, non l’aiuta oggi ragionare per veti».

 

Anche i giudizi di Renzi sugli avversari sono taglienti.
«Qualche asperità può capitare ma lo spirito di unità tenuto nella fase preparatoria al congresso non è cambiato, nemmeno per Renzi. Certo, per intavolare qualsiasi dialogo ci vuole chiarezza: non puoi dirmi che Jobs act e sgravio Irap sono fatti per aiutare i padroni o che le nostre sono politiche di destra, perché lo considero un insulto. Così non vedo la volontà di dialogare».

 

Renzi dice che parlare di alleanze è una discussione “da marziani”. A molti invece pare indispensabile.
«Noi ci presentiamo al Paese su temi come fiscal compact, occupazione, investimenti. Se discutiamo 23 ore al giorno di cosa fare e poi, un’ora, la sera, con chi farlo, allora va bene. Non dobbiamo dare l’idea agli elettori che ci guardiamo l’ombelico. Ho chiesto una moratoria sul tema delle alleanze. Non sappiamo bene con che legge si andrà a votare. Di certo sappiamo che giochiamo nel campo del centrosinistra e siamo alternativi a Berlusconi».

 

Renzi sembra snobbare Pisapia e il suo ruolo in questa fase. Lei cosa pensa?
«Ho apprezzato la sua generosità quando ha annunciato che non si vuol candidare. Solidarizzo con lui. Si può essere al fianco di giovani leader senza essere in prima linea. Il rinnovamento non è una condanna o un giudizio negativo sul passato. Quando penso a D’Alema non credo che abbia sbagliato tutto. Quando ho appoggiato la mozione Renzi ero amico di Bersani ma ritenevo necessario un salto generazionale».

 

Pisapia dice che le cose che vi uniscono sono più di quelle che vi dividono. E d’accordo?
«Adesso siamo impegnati a definire le proposte per il Paese. Le convergenze eventuali si vedranno nella chiarezza. Se mi si dice che abbiamo gettato il Paese nel caos e fatto favori ai ricchi, se il giudizio sul governo del Pd è questo,
allora tutto diventa più complicato».

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