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Fassino: “Una fase nuova non significa automaticamente un governo, ma verificare se ci sono le condizioni”

Piero Fassino, siete passati dal «tocca a loro» al confronto con il M55?
«Bisogna partire da due dati politici. Primo: il voto ci ha consegnato tre minoranze, nessuna autosufficiente per fare un governo, per cui servono intese. Secondo: dopo le elezioni avevamo detto: “Tocca a loro” perché destra e 5 Stelle avevano preso più voti ed era giusto riconoscerlo. Ma 50 giorni dopo sappiamo che quel tentativo è abortito. E oggi Di Maio lo ha certificato ufficialmente, cosa che per noi rappresenta la precondizione per qualsiasi discorso».

È vero, Di Maio ha dichiarato chiuso il forno con la Lega: vi fidate delle sue parole?
«Come direbbe Shakespeare: “Bruto è un uomo d’onore”. Ci auguriamo che non si smentisca ciò che ha detto Di Maio con parole chiare che vanno apprezzate».

Il centrodestra insorge: è corretto escludere dal governo la prima coalizione?
«Finché il centrodestra era unito e costituiva un soggetto unico, era legittimo che chiedesse di guidare il governo, ma dal momento che si è spaccato con veti reciproci, allora si entra in una fase in cui non sono più la prima coalizione, ma il terzo, quarto e quinto partito. Mentre 5 Stelle e Pd sono il primo e il secondo».

Ma si può fare un governo con chi vi ha ferocemente attaccato per anni?
«Il tema che abbiamo di fronte è che governo dare all’Italia oggi, non una rassegna retrospettiva su quel che ciascuno ha detto. Aprire una fase nuova non significa automaticamente un governo, ma verificare se ci sono le condizioni. E questo non si fa con la testa rivolta indietro. Ci vuole un confronto vero, senza “prendere o lasciare”, dove ognuno va al tavolo con le proprie posizioni e si cercano le sintesi e le soluzioni possibili».

Il modello alla tedesca, dice Di Maio.
«La Cdu e la Spd si sono seduti a un tavolo e non è che i socialdemocratici hanno accettato il programma della Merkel o viceversa. Ognuno ha posto le sue priorità, hanno discusso, si sono trovate soluzioni condivise. Un negoziato vero col tempo necessario».

Quali sono le vostre condizioni?
«Più che condizioni, punti qualificanti. La collocazione europeista contro ogni sovranismo; una politica economica che prosegua la dinamica di crescita rafforzando la creazione di lavoro tutelato e i sistemi di protezione sociale contro le disuguaglianze; una gestione dell’immigrazione che non rinunci all’accoglienza e all’integrazione in un quadro di sicurezza per i cittadini; un impegno forte di rinnovamento delle istituzioni democratiche».

Considerate le posizioni del M55, potete trovare punti di contatto?
«Registro che il M5S ha rimodulato parecchie delle sue posizioni: il reddito di cittadinanza da misura universale è diventata una misura di sostegno non lontana dal reddito d’inclusione; sull’Europa fino a qualche mese fa erano per l’uscita dall’euro, oggi non più; la crociata sui vaccini è stata silenziata…».

Il premier può essere Di Maio?
«Prima bisogna vedere se ci sono le condizioni per un’intesa e l’accordo sulle cose da fare. Tutto il resto viene dopo».

Resta il nodo dell’ex segretario Renzi, che ha sempre chiuso a ogni accordo. Cambierà idea anche lui?
«Io penso che sarebbe un grave errore ritirarsi. E Renzi può dare un contributo prezioso ad aprire una nuova fase. C’è una sollecitazione del Presidente della Repubblica e il momento è delicato: quali sono le alternative?».

Secondo Di Maio c’è solo il voto anticipato.
«Per esperienza, ad esempio in Spagna, sappiamo che quando ci sono due voti ravvicinati, il secondo rafforza il primo ma non rovescia l’esito. E, visti i veti sul campo, non esiste nemmeno la possibilità del governo di tutti».

Quindi Renzi dovrebbe dare il suo via libera…
«Lo conosco come un innovatore e che non teme le sfide. Capisco i dubbi, ma dobbiamo almeno verificare se ci sono le condizioni per dare un governo al Paese. D’altra parte, Matteo ha sempre detto: “Bisogna che si consumi il tentativo tra centrodestra e Cinque Stelle”. Questo è successo: ora non trinceriamoci nel “non possumus”».

I renziani insistono con il no. Rischiate la conta in Direzione?
«Ogni dubbio è legittimo e va ascoltato. Ma ascoltiamoci reciprocamente, senza pregiudiziali e posizioni precostituite. Spero che da qui alla Direzione tutti facciano una riflessione che abbia al centro l’interesse dell’Italia. È il modo migliore per rilanciare il Pd».

Sarebbe il caso di fare un referendum tra gli iscritti?
«In quale forma è da decidere, ma dobbiamo senz’altro coinvolgere la nostra gente in qualunque scelta».

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