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Minniti: “Lasciamo un Paese migliore di quello che abbiamo trovato. Andremo avanti con riforme e stabilità”

In un mondo che corre veloce, l’Italia non può fermarsi. L’idea che le prossime elezioni possano essere inutili o usate per tastare il polso al Paese è pericolosa e sarà bocciata dagli italiani».

Il ministro dell’Interno Marco Minniti traccia il bilancio del suo dicastero, ma guarda soprattutto alle prossime sfide. E avverte: «Lasciamo un Paese migliore di quello che abbiamo trovato. Rivendichiamo un lavoro straordinario, sapendo che non è sufficiente per vincere. Per questo andremo avanti sulla strada della stabilità e delle riforme. È la carta che ci pone avanti a tutti gli altri».

Teme l’astensionismo?
«Da responsabile dell’Interno garantirò un confronto aperto e vero, anche aspro, ma che vada nella direzione di massima partecipazione. Da politico voglio dire che l’obiettivo è quello di una vera innovazione come abbiamo fatto su tante questioni fondamentali».

Comprese immigrazione e sicurezza?
«Lo dice lei. Tuttavia non bisogna mollare la presa, la sfida è continua».

Avete deciso di inviare i soldati in Niger. È davvero necessario?
«Prima di rispondere vorrei ricordare come stavamo appena sette mesi fa, quando abbiamo dovuto fare fronte all’arrivo di oltre 10.000 stranieri in 36 ore e tutti gli Stati europei confermavano la chiusura dei loro porti».

Nel Mediterraneo c’erano le navi delle Organizzazioni non governative.
«E ci sono ancora: esattamente sette su otto, con l’eccezione di Medici senza frontiere, unica a non sottoscrivere il codice. Una scelta che rispetto, ma ora la situazione è completamente cambiata, è obiettivamente senza precedenti».

Si riferisce al crollo degli sbarchi?
«Certo, ma soprattutto alla diminuzione dei morti in mare riconosciuta dalle organizzazioni internazionali. Non sono soddisfatto, fino a che ci sarà anche una sola vittima noi continueremo a lavorare, però rivendico che nessuno prima di noi era riuscito a raggiungere un simile risultato. E quando dico noi penso al nostro Paese. E una vittoria dell’Italia che ormai tutti ci riconoscono. Siamo riusciti a governare i flussi perché siamo stati i primi a credere che un accordo con la Libia rappresentasse una svolta. E abbiamo avuto ragione. Quando abbiamo firmato l’accordo con Sarraj ci hanno accusato di essere scesi a patti con un signor nessuno».

Era febbraio scorso. Non era così?
«No, e infatti il giorno dopo l’Unione Europea ha fatto propria quell’intesa e i nostri partner – Francia e Germania in testa – hanno positivamente collaborato con noi. Abbiamo messo in campo un modello e dobbiamo esserne fieri perché siamo andati avanti da soli costringendo anche i Paesi più scettici a partecipare e ora siamo in prima linea. Ci siamo impegnati a togliere dalle mani dei trafficanti le chiavi delle democrazie europee. Combattere e sconfiggere l’illegalità aprendo a una gestione legale dei flussi».

Alcuni leader politici – da Emma Bonino a Massimo D’Alema – vi accusano di aver ceduto sul rispetto dei diritti umani.
«Non faccio polemiche, mi aspetto una valutazione più attenta e oggettiva. Abbiamo portato in Libia l’Unhcr e l’Oim. Aver aperto per la prima volta un corridoio umanitario tra la Libia e l’Italia costituisce un gigantesco passo in avanti. Coloro che scappano dalla guerra non arriveranno con i gommoni degli scafisti, ma con gli aerei degli Stati democratici in cooperazione con le organizzazioni umanitarie. E con la straordinaria disponibilità della Conferenza episcopale italiana. Se avessimo aspettato l’Europa, come chiedeva qualcuno, non avremmo avuto alcun risultato concreto e avremmo ceduto ai populisti. Vorrei ricordare il clima di quest’estate: l’Austria minacciava di schierare i carri armati e bloccare la frontiera del Brennero con danni gravissimi per la nostra economia».

Per la missione in Niger non sarebbe opportuno attendere il dopo voto?
«Ci sono decisioni che devono essere prese tempestivamente e l’invio dei militari in quell’area è prioritaria. Tuttavia, pur a Camere sciolte ci sarà un percorso condiviso con il Parlamento. Per noi è strategico contribuire al controllo di quelle frontiere. E poi c’è un’emergenza legata alla sicurezza».

Che vuol dire?
«Quell’area può diventare il luogo dove ricostruire una base fondamentalista, un passaggio cruciale per i terroristi diretti in Europa».

La sconfitta dell’Isis in alcune aree mediorientali aumenta il rischio per l’Occidente?
«Noi teniamo la guardia alta e lavoriamo per un controllo straordinario del territorio senza militarizzazione, garantendo la vivibilità dei luoghi. L’Italia non può permettersi di abdicare alla sua caratteristica di valorizzazione del proprio patrimonio. Quest’anno abbiamo avuto un boom di presenze e contiamo nel 2018 di avere risultati ancora migliori. Non sottovalutiamo alcun rischio».

Crede ancora alle espulsioni preventive come deterrente?
«Credo siano fondamentali, altri stanno seguendo il nostro esempio».

A dicembre lei è stato in Giordania e in Egitto. Può garantire la loro collaborazione nella lotta al terrorismo?
«Posso garantire che siamo protagonisti di un processo di stabilizzazione. In questi colloqui rientrano anche le due visite del generale Haftar a Roma. Abbiamo rapporti di cooperazione che hanno già dato risultati concreti, in particolare al Cairo».

Si riferisce all’assassinio di Giulio Regeni?
«Quando abbiamo deciso di inviare nuovamente il nostro ambasciatore ci hanno accusato di aver abdicato alla nostra posizione. Invece gli avvocati della famiglia hanno ottenuto il riconoscimento di parte civile nel processo e la consegna degli atti. E i magistrati romani guidati dal procuratore Giuseppe Pignatone hanno potuto consegnare ai colleghi egiziani l’informativa delle nostre forze di polizia sull’omicidio di Giulio. Non è usuale che ciò accada ed è importante che le due Procure abbiano deciso di lavorare insieme su quella informativa. Non diamo retta alle chiacchiere, noi continueremo a ‘percorrere questa strada e arriveremo alla verità».

In Puglia e in Campania c’è una nuova emergenza criminale?
«Vorrei un Paese dove fosse cancellata la parola emergenza e ciò non significa che non abbiamo avuto di fronte episodi molto gravi. In Campania è stata importante la risposta della società civile e quella dello Stato con l’individuazione di uno degli aggressori, drammaticamente giovanissimi. Aspetto la ricostruzione della vicenda pugliese, in ogni caso è inaccettabile che una persona ignara possa perdere la vita perché sta soltanto camminando per strada. La risposta sarà durissima nei confronti dei responsabili. Così come abbiamo fatto dovunque ci sono state rotture di legalità».

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