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Petruccioli: “Serve un governo costituente con la fiducia di tutti, altrimenti si torni al voto”

Un paese paralizzato. Così come lo sono i partiti e le istituzioni. «Vanno riscritte le regole per uscirne». Claudio Petruccioli, giornalista e politico di lungo corso, dal Pci ai Ds, presidente Rai nel 2009, voce autorevole della sinistra riformista e liberale, all’inizio si ritrae. Poi finisce per parlare del suo Pd, che sembra non trovare pace, «io voglio bene al Pd, o almeno all’idea di Pd, cioè di una sinistra riformista di governo».
E sui prossimi passi del capo dello stato per la formazione del governo: «Sono i partiti che dovranno ascoltarlo, questa volta».

D. Partiamo dal Pd. A 24 ore dalla direzione che ha confermato la fiducia al reggente Martina su una posizione di chiusura al Movimento 5stelle, tra l’ex segretario Matteo Renzi e il ministro Dario Franceschini sono ancora scintille. La sensazione è di un partito in crisi su linea e identità.
Risposta. Io trovo che la parola corretta sia paralisi. È paralizzato il Pd ma lo sono anche gli altri partiti. Così come è paralizzato il Paese, in attesa di un governo che non si sa quale sarà.

D. Come si è arrivati a questa situazione?
R. Da quando siamo regrediti verso il proporzionalismo era chiaro che saremmo arrivati a questo punto. Siamo incastrati, l’Italia e tutti i partiti, in una crisi di sistema, il Pd più di tutti gli altri che hanno avuto maggior successo elettorale. Già perché dobbiamo parlare di successi, non di vittoria.

D. Sia Di Maio che Salvini si sono autoproclamati i vincitori delle elezioni del 4 marzo.
R. Opportunismo e ignoranza. Le elezioni con un sistema proporzionale non prevedono un vincitore, ma successi maggiori o minori per le varie forze in campo. Il che significa che poi per il governo è necessario addivenire a un’alleanza. Ma i partiti avrebbero dovuto dire prima del voto quali erano le priorità irrinunciabili e con chi si sarebbero poi alleati. Non quali erano i loro candidati premier visto che nessuno avrebbe avuto il 50%+1 dei voti.

D. Come se ne esce?
R. È necessario un processo costituente, si devono cambiare le regole, se non lo si fa la paralisi non potrà che continuare ad alimentarsi fino a giungere a un evento di rottura, alla catastrofe. E questo riguarda anche i partiti.

D. Quali regole vanno cambiate?
R. Si deve dare ai cittadini la possibilità di decidere quali sono le forze che devono governare. O mettiamo in armonia il voto popolare con l’indirizzo del governo, e un governo che duri un’intera legislatura, oppure non se esce. Questo serve all’Italia ma anche ai partiti che così potranno avere ben chiaro il mandato ricevuto dagli elettori.

D. Torniamo al Pd.
R. Il Pd più di chiunque altro è davanti al bivio. Quando si dice che deve fare un congresso è vero, ma deve farlo costituente e in un duplice senso. Deve spiegare la funzione, il ruolo, la visione storica e politica che ha, ma deve anche di dire in quale contesto istituzionale si vuole muovere: in un contesto dove i cittadini delegano i partiti oppure decidono l’indirizzo di governo?

D. Perché un governo con i pentastellati era così improponibile?
R. Non ci si può mettere insieme dopo un duello elettorale all’ultimo sangue come quello che c’è stato tra Pd e M5S.

D. Nel ’76 ci fu il compromesso storico Dc-Pci.
R. Ma fu un approdo preparato e a lungo discusso. Il Pci aveva lanciato l’idea del compromesso nel ’73, per anni non si parlò di altro.

D. Lunedì il presidente della Repubblica Mattarella farà un veloce giro di consultazioni, i partiti non gli hanno dato molti margini… che si aspetta?
R. Nessuno può sapere cosa deciderà il capo dello Stato… Io penso che questa volta, salvo i partiti non abbiano qualcosa di nuovo da dire, e mi pare però poco probabile, toccherà a loro ascoltare le novità di Mattarella.

D. Lanciamoci in una previsione sulla scorta delle cronache di questi giorni…
R. Io non mi stupirei se Mattarella decidesse di comunicare ai partiti che manderà in parlamento per chiedere la fiducia un presidente del consiglio da lui scelto, e su cui non chiede nessun consenso preventivo, il quale, oltre a far fronte alle scadenze economiche e agli impegni internazionali, porti il Paese al prossimo voto con regole nuove che consentano ai cittadini di dare un preciso indirizzo alla futura attività governativa. Se l’incaricato di Mattarella dovesse avere la fiducia, dovrebbe lavorare ovviamente con il parlamento per le riforme necessarie. Nel caso non dovesse farcela, penso che non resti che tornare a votare e con le regole attuali. Con un esito non troppo diverso da quello del 4 marzo.

D. Che risposta pensa possa venire a una proposta di questo genere dal Pd?
R. Credo che al Pd converrebbe accettare ma a patto che anche tutti gli altri partiti lo facciano. In sostanza, deve starci anche il Movimento 5 Stelle, altrimenti sarebbe un governo a cui viene dato un timbro politico.

D. E invece serve un governo di tutti.
R. Serve la responsabilità di tutti per uscire dalla situazione. Tutti devono scendere le scale dell’inferno fino alla fine…

D. La strada che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni.
R. E lucidata da ipocrisie e opportunismi. Tutti devono metterli da parte adesso, a partire dal Pd.

D. Chi vedrebbe come ministri in un siffatto governo del presidente?
R. Grandi personalità, e l’Italia ne ha.

D. Facciamo qualche nome.
R. Penso a Sabino Cassese, nessuno conosce la macchina dello stato come lui, tutti i candidati a diventare parlamentari dovrebbero aver letto il suo «Governare gli italiani. Storia dello stato italiano». Non è disponibile fino al prossimo anno, ma sarebbe perfetto il presidente della Bce, Mario Draghi. Così come il mio amico Giorgio Tonini, ex presidente della commissione bilancio del senato. Penso pure al leghista Giancarlo Giorgetti. Servono menti lucide e consapevoli delle riforme di cui abbiamo bisogno.

D. La storia delle riforme è costellata di insuccessi.
R. Tutti i tentativi fatti dimostrano che c’è da anni la consapevolezza che le riforme sono necessarie, non esserci riusciti è la prova delle pochezza della nostra classe dirigente. Ma non avremo una nuova classe dirigente se non usciamo dalla paralisi.

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