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Quei ragazzi che gridano “mai più”

Caro direttore,
«e così di nuovo ìl grido infantile si mescola al battito del sangue». Sono parole di Elsa Morante, in II mondo salvato dai ragazzini. Il grido dei ragazzi è risuonato negli Stati Uniti, dopo l’ennesima strage perpetrata in una scuola.

Never again: ragazzi nelle piazze USA

Stanchi di essere vittime di armi impugnate da loro coetanei, hanno deciso di non aspettare, di prendere in mano il loro destino, di salvaguardare la loro sicurezza. E di mettere in discussione il potere di una delle lobby che da sempre condiziona la vita delle istituzioni americane: quella della Nra, che riunisce i fabbricanti di fucili e pistole.

Armi vendute con grande facilità ai cittadini. Gli stessi ai quali una politica furbacchiona e imbelle indica la difesa personale come la garanzia principale di tutela della propria sicurezza. I ragazzi americani, talvolta dei bambini, hanno deciso di non essere “indifferenti” e hanno riempito le piazze d’America con 800 cortei.

Un fatto enorme, un segno di vitalità controcorrente, in un Paese in cui il presidente suggerisce di armare i professori e manda costantemente segnali di voler costruire un clima di tensione mondiale. La messa in discussione degli accordi sul clima, sul disarmo nucleare iraniano, l’introduzione di dazi, l’idea che America first significhi un isolazionismo aggressivo, stanno precipitando il mondo in una situazione di disgregazione carica di rischi.

I ragazzi americani hanno promosso questa enorme mobilitazione con uno slogan che non potrebbe essere più lontano dalla loro condizione: Never again. Quel “Mai più” assomiglia al Nunca màs, l’espressione che ha simbolizzato il dramma dei desaparecidos, spesso ragazzi, in Argentina. “Mai più” è un ossimoro, se gridato da giovani che non dovrebbero avere un passato da dimenticare, ma un futuro da sognare.

Prendono in mano il loro futuro, denunciando il loro presente

In quello slogan c’è una presa di coscienza che avviene senza mediazioni. Questi ragazzi americani combattono contro il disinteresse, l’egoismo, il cinismo, la rassegnazione degli adulti. Prendono in mano il loro futuro, denunciando il loro presente.

Come quei bambini siriani di cui hanno parlato, in questi giorni, Roberto Saviano nella trasmissione di Fabio Fazio e dei bellissimi servizi di Sky Tg24 o di Piazza pulita. Sono i bambini, creature di dieci anni, che con le parole e le immagini raccontano al mondo quello che sta accadendo loro sotto i bombardamenti di Assad.

Lo raccontano dai rifugi, passeggiando tra le macerie delle loro case, dei loro quartieri, delle loro città. Lo raccontano con i loro volti insanguinati, con i loro polmoni pieni di gas, con i loro occhi stravolti dalla paura. Uno di essi ha impugnato un telefono come fanno i suoi coetanei. Non per mostrare l’ultimo vestito alla moda o il paesaggio paradisiaco di un posto di mare turchese, ma per guidare i nostri occhi spenti dentro l’orrore racchiuso nella parola “guerra”.

I bambini più isolati del mondo usano le nuove tecnologie per portarci laddove la nostra coscienza impigrita si affatica ad andare

Quel ragazzo si aggira tra le macerie proprio come Edmund, il protagonista di Germania anno zero. Macerie e dolore, sangue e disperazione, solitudine e paura. I bambini più isolati del mondo usano le nuove tecnologie per portarci laddove la nostra coscienza impigrita si affatica ad andare. Il nuovo spirito del tempo suggerisce di pensare che siano affari loro, che ciascuno, nel mondo di oggi, si debba occupare solo di se stesso.

Il nostro orizzonte non finisce dove arriva il nostro giardino

Che gli altri, gli altri da noi, siano un fastidio, un pericolo, un difetto. Che il nostro orizzonte finisca dove arriva il nostro giardino. Ho pianto, da ragazzo, per i miei coetanei rinchiusi nello stadio di Santiago e ho trascorso molto tempo della mia vita, come molti della mia generazione, a sostenere chi, in ogni parte del mondo, si batteva per la libertà.

Che non è mai solo la propria, ma quella di tutti. Una lucciola di libertà che si spegne, in Turchia o in Russia, in Siria o in Ungheria, rende il cielo di tutti più scuro.

La sinistra sembra accodarsi passivamente al pensiero unico

La sinistra sembra aver perduto la coscienza di questo, cioè la coscienza di sé e della sua stessa natura. Sembra accodarsi passivamente al pensiero unico. Per questo tace sulla Siria, sulla libertà degli intellettuali turchi, sul destino dell’ambiente e sulla condizione sociale e umana di quei giovani che oggi tengono accesa una fiammella di speranza.

800 mila giovani vivono in una condizione di ansia

Un’inchiesta, pubblicata dal Quotidiano Nazionale, dimostra che in Italia 800 mila giovani vivono in una condizione di ansia. La spiegazione fornita è: «Tra i principali motivi di ansia dei giovani ci sono le frustrazioni per le difficoltà di inserimento lavorativo, l’incertezza nel futuro che li costringe a vivere una adolescenza prolungata in casa con i genitori».

Una condizione che genera rabbia o depressione, insicurezza diffusa e senso di precarietà esistenziale. E che richiederebbe a chi, nella storia, ha interpretato le ragioni dei diritti e delle libertà un grado maggiore di coscienza, di impegno, di attenzione, di rivoluzione delle priorità.

Scrollarsi di dosso il pensiero unico

E il coraggio di scrollarsi dalle spalle il pensiero unico di questo tempo e restituire splendore ai valori che hanno mutato la storia e la condizione umana per milioni di uomini che hanno trovato libertà, sicurezza, diritti perché non sono stati soli, indifferenti. Perché un giorno hanno gridato, non solo tra le pareti della loro casa o della loro coscienza, Nunca màs o Never again.

I “ragazzini” possono salvare il mondo, possono cucirlo mentre altri lo strappano. Lottano contro l’egoismo di questo tempo. E una cosa bellissima, una luce. Francesco Guccini ha scritto: «Un maglione è quella cosa che i bambini indossano quando le mamme hanno freddo». Lo stanno indossando, in tante parti del mondo, per lenire il nostro freddo. Non lasciamoli soli.

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