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Siamo a un bivio:costruiamo un nuovo modello di sviluppo

Carissimi, carissime,

dopo mesi siamo di nuovo riuniti nell’occasione della Direzione Nazionale, pochi mesi ma sembra passato un secolo. Tutto è di nuovo cambiato e il fatto che questa riunione si svolga per la prima volta nella storia della politica solo grazie all’utilizzo della rete, dà l’idea dello sconvolgimento epocale che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.

 

In realtà in questi mesi nulla si è fermato; anzi, come non mai la politica si è trovata a dover compiere scelte impegnative, incalzata da eventi che richiedevano quotidianamente, direi ogni ora, decisioni e scelte operative e di carattere strategico.

 

Grazie a chi in queste settimane si è assunto l’onere di svolgere questo ruolo, grazie all’insieme del gruppo dirigente del Pd, a cominciare dal Vicesegretario Andrea Orlando e al Capodelegazione al governo Dario Franceschini, ai Capigruppo, che anche a causa della mia malattia, nei giorni più difficili della crisi sanitaria hanno garantito la presenza e il protagonismo del Pd, forza politica unita e unitaria e punto di riferimento nel Paese.

 

Come ha recentemente ricordato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco si tratta di una “crisi senza precedenti nella storia recente, che mette a dura prova l’organizzazione e la tenuta dell’economia e della società”.

 

Ho la sensazione che ancora non tutti abbiano chiaro l’enormità di quanto avvenuto. In pochi giorni un virus ha contagiato milioni di essere umani, ne ha chiusi in casa miliardi, getterà nella povertà una parte importante del pianeta, sta sconvolgendo il modo di produrre e di consumare.

 

In Italia la diffusione dell’epidemia è avvenuta prima che in altri Paesi europei e siamo stati impegnati a compiere scelte radicali; prima democrazia dell’occidente a fare i conti con drastiche misure che hanno portato limitazioni delle libertà personali, sospensione della didattica, della vita associata, la chiusura temporanea di molte attività produttive.

 

Nel primo trimestre il PIL ha registrato una flessione dell’ordine del 5% e sicuro peggiorerà nel secondo.

 

Ora la curva epidemica grazie alle scelte del lockdown è governata; ma fino alla scoperta di un vaccino questa fase di convivenza si protrarrà.

 

Grazie a chi ha combattuto e resistito in questa nuova trincea. Ma mi domando. Se fosse stato ancora più letale? Il mondo era preparato? La risposta è no. La vulnerabilità dell’uomo e dell’attuale sistema economico, di protezione sociale e geopolitico è risultato impressionante.

 

In questa relazione non parlerò di tutto e sarò breve perché non voglio dilungarmi su ricostruzioni; mi limiterò ad indicare quelli che credo siano i nodi politici che abbiamo davanti e ai quali occorre dare una risposta.

Sapendo tuttavia che sul lavoro del Governo si sommano dossier i quali richiedono risposte urgenti: l’aumento delle crisi aziendali e le grandi crisi, Mittal, Alitalia, Autostrade. Al decreto semplificazione oltre ai decreti sicurezza o i provvedimenti urgentissimi sulla giustizia.

 

Siamo giunti ad un momento davvero cruciale, nel quale si giocano i destini non solo di una Legislatura, ma del futuro dell’Italia.

 

Sono pienamente consapevole dei pericoli che ci sono, ma il mio giudizio è fiducioso. Fiducioso, seppure inevitabilmente ancora sospeso, prudente, carico delle responsabilità che abbiamo sulle spalle come Pd e come riformisti. Ci sono ancora troppe variabili, innumerevoli spinte e conflitti, che non stanno tutte nelle nostre mani.

 

Eppure a determinate condizioni, ho detto fiducioso. Perché fino ad ora se dovessi dare un giudizio sommario, direi che abbiamo combattuto con lo spirito e l’indirizzo giusto. Abbiamo transitato l’Italia, certamente commettendo anche errori e avendo inevitabili incertezze, dentro una delle esperienze più drammatiche della storia moderna da un punto di vista sanitario; con conseguenze sul piano economico, sociale ed esistenziale tra le persone delle quali ancora non abbiamo fino in fondo la misura.

 

Il secondo elemento, che si incrocia a questa ragionata fiducia è che per la prima volta il governo italiano ha a disposizione ingenti risorse pubbliche, nazionali ed europee. Dopo decenni di austerità, di tagli, di compressioni, di inderogabili compatibilità si può aprire uno spazio, da utilizzare con grande sapienza e accortezza, per interventi di investimento pubblico e privato, e per un recupero della nostra crescita, competitiva e di qualità.

 

Se siamo qui, non travolti dalla demagogia populista della destra, è perché quando abbiamo dato vita a questo governo Conte, abbiamo fatto la scelta di tentare la sola strada che avevamo per fare politica, per cimentarci con un quadro di alleanze nuove, tutto da decifrare e valutare nel corso stesso dei processi politici.
Se noi non avessimo scelto questa strada di coraggio, assai probabilmente avremmo avuto, anche durante l’emergenza del coronavirus, un governo presieduto da Salvini.

 

Lascio immaginare l’isolamento che avrebbe prevalso se l’Italia fosse stata rappresentata dai picconi antieuropeisti del nazionalismo. Probabilmente Nulla sarebbe stato ottenuto dall’Europa. Il mezzogiorno sarebbe stato abbandonato a se stesso.

 

So bene quante difficoltà abbiamo dovuto affrontare nel rapporto con i 5 Stelle. Rimangono temi assai spinosi dove le nostre posizioni sono lontane. Sulla giustizia e il garantismo. Sul valore della politica e delle forze che la rappresentano. Su un certo fondamentalismo circa i temi dell’economia e dello sviluppo, che impediscono soluzioni razionali e semplici.

 

Eppure, nell’azione di Governo un approccio nuovo è prevalso. Certe barriere si sono incrinate e hanno permesso di raggiungere risultati importati.

 

Noi, in questo quadro, abbiamo potuto fare prevalere l’indispensabilità del rapporto con l’Unione Europea. In quella sede grazie all’emarginazione in Italia delle spinte sovraniste più volente e dannose, ci siamo presentati uniti, dentro un ragionamento europeista, volto a cambiare anche gli iniziali orientamenti della commissione europea e determinare in quella sede una svolta storica.

 

Insomma tutto si tiene.
Non ci sono nel Pd sinceri europeisti o garantisti o riformisti e coloro che, invece si preoccuperebbero, in nome della tenuta dell’alleanza con il Movimento 5 stelle, di concedere spazio a qualche demagogia.

 

Noi, abbiamo agito perfettamente come squadra. Ed io debbo ringraziare sia chi ha avuto la responsabilità di impegnarsi in Europa, così come chi, ha aiutato il governo Conte ad avere in Italia una impostazione credibile e che ha suscitato un consenso tra gli italiani. Ha garantito la tenuta di una coalizione che non ha alternative; e che è la condizione affinché i prossimi mesi possano essere gestiti su una linea democratica, sbarrando la strada alle avventure reazionarie che pure da più parti covano sotto la pelle del Paese.

 

La controprova di quanto di terribile poteva accadere anche in Italia è il fallimento in tutto il mondo della risposta populista e di destra al coronavirus.

Noi abbiamo messo al centro la salute degli italiani, accompagnando ogni scelta politica con una vasta, e non facile, consultazione degli scienziati.

Abbiamo deciso, terreno quanto mai incerto, gli obbiettivi di riapertura alla vita e alla produzione cercando sempre di equilibrare la sicurezza delle persone con l’esigenza di una ripresa dell’economia, della socialità, e delle attività produttive.

 

Si può obiettare sulla misura e sul tempismo che abbiamo deciso.
Eppure ogni misura e ogni tempo sono stati valutati rispetto a questo ragionevole e umano buonsenso.

 

La destra mondiale ha fatto tutto il contrario. Ha rifiutato un approccio realistico, pragmatico, responsabile.

Ha messo in campo un vergognoso pregiudizio ideologico.
Ha negato il virus. Lo ha sottovalutato. E a volte lo ha combattuto con ricette fantasiose e pseudoscientifiche. Si sono affacciate teorie drammatiche, come l’immunità di gregge.

 

Non considerare le vite umane un bene prezioso. Ma, al contrario, la loro perdita un effetto collaterale di una guerra tronfia, velleitaria e irrealistica contro il virus.
Bolsonaro che di fronte a numeri drammatici dice “dobbiamo tutti morire” è la più atroce conferma.

Effetti collaterali da dover accettare, per tornare il più presto possibile a riaccendere negli stessi termini di prima, lo stesso sviluppo, gli stessi valori, gli stessi assetti e le stesse gerarchie sociali di prima.

 

Noi, senza iattanza, ma senza timidezze dobbiamo rivendicare il ruolo centrale che ha sostenuto il Pd nel portare il paese al punto in cui sta.

 

Sull’Europa, ad esempio avevamo ragione noi e torto la destra e gli antieuropisti. Mesi fa proprio di fronte all’appannarsi di una funzione chiara dell’Europa e all’affievolirsi di un sentimento europeista degli italiani la scelta di picconare era la peggiore. Noi abbiamo scommesso sull’impegno per cambiare e l’Europa ha cominciato a farlo.

 

Ora non bisogna fermarsi e dovremo impegnarci affinché il nuovo semestre di presidenza tedesca, di una guida quindi forte e autorevole, corrisponda a un netto balzo in avanti nella dimensione politica dell’Europa. Uno sviluppo assolutamente necessario sul quale investire insieme a tutte le forze progressiste europe.

 

Ma il punto a cui siamo arrivati da oggi in poi non è più sufficiente.
Lo scenario del dopo Italia pretende scelte nuove e una decisa svolta – da compiere insieme. Questo e solo questo è stato il cuore del confronto credo utile con il Presidente Conte di questi giorni.

 

Nessuna contrapposizione ma la necessità per tutti di un salto di qualità necessario e dettato dal fatto che proprio la crisi economica e produttiva e le scelte europee richiedono uno sforzo programmatico e una sfida inedita al sistema Italia e in primo luogo al Governo.

 

Fino ad ora siamo riusciti a gestire la paura, a rispondere all’emergenza, a rassicurare che nessuno sarebbe rimasto da solo.

 

La paura ora non si riferisce principalmente al virus che uccide.
Si riferirà alle prospettive di vita future; al possibile dilagare della disoccupazione, al calo delle nostre capacità produttive, al colpo tremendo che il turismo e i servizi di eccellenza italiani inevitabilmente dovranno pagare, alla povertà che già prima lambiva settori del ceto medio e che oggi è lo spettro per milioni di famiglie che un tempo potevano considerarsi sicure. Al futuro della scuola e ai luoghi della conoscenza. Alla condizione di vita per milioni di donne che rischiano un arretramento di decenni rispetto a conquiste che pensavamo acquisite per sempre e che richiederanno un vero e proprio women new deal per contrastarlo.
Con investimenti verso misure che abbiano un impatto positivo sulle relazioni di genere e non acuiscano le disuguaglianze esistenti.

 

Per la gestione di questo futuro ci sono varie possibilità. Il Pd deve scegliere con chiarezza quale di queste considera giusta e indispensabile. E per la quale vorrà combattere con tenacia e senza alcuna subalternità.

 

La prima strada è la più semplice quella dell’ “Italietta”. Abbiamo, appunto, tamponato, distribuito, rinfrancato. Ora che il virus è in calo, anche se non dappertutto, possiamo tranquillamente rimetterci a fare come sempre. Insomma, dalla lezione dell’epidemia non vale trarre nessun insegnamento di fondo; né vale riflettere sulla qualità del nostro sviluppo: i scarsi investimenti sulla formazione, l’innovazione e la ricerca; la mancanza di un vero impegno collegato anche a premialità per uno sviluppo verde; l’errata considerazione del mezzogiorno solo come un peso; la macchina amministrativa lenta e complicata; una fiscalità ingiusta; un’evasione fiscale scandalosa, la sufficienza con la quale si guarda al Nord nel quale invece occorre anche investire di più.

 

Se dovesse prevalere questo ragionamento, le risorse che abbiamo a disposizione ora, sarebbero dilapidate nei meccanismi della vecchia Italia. Con l’aggiunta che nei prossimi anni dovremmo affrontare un debito pubblico ancora più pesante.

 

La verità è che questa opzione non coglierebbe l’intensa drammaticità di ciò che è successo. Senza una diversa prospettiva, infatti, inevitabilmente si rialimenterebbe la rabbia, un confuso stato d’animo di dolore e di spaesamento, che ritroverebbe sempre bella e pronta la destra italiana ad interpretarli. L’agitarsi inquietante di fanatici neofasciti qui si inserisce, come se il ritorno al passato potesse anche lontanamente dare una risposta positiva anche a uno solo dei problemi dell’oggi.

 

Ma questo dovremmo tenerlo sempre presente. In questi mesi la destra è stata neutralizzata dalla nostra politica e dal nostro ragionevole ed equilibrato modo di governare e di mantenere un filo di dialogo sempre aperto con i cittadini.
Ma essa sta lì; è rocciosamente radicata nello spirito italiano del nostro tempo. Non si è ancora scomposta. E se la Lega è in crisi, Fratelli d’Italia assorbe i voti che essa lascia sul campo.

 

Ecco perché per noi resta solo una prospettiva. Quella di utilizzare questo tragico passaggio della storia per cambiare tutto e indicare e costruire un nuovo modello di sviluppo che offra sicurezza e protezione alle persone, unica possibilità per ricostruire fiducia.

 

Una tragica opportunità che dimostra la manifesta debolezza di tanti tabù neoconservatori e liberisti imposti ormai da decenni.

 

La combinazione delle risorse che ora abbiamo a disposizione e nuovi spazi valoriali che i fatti hanno risvegliato in molti, possono essere davvero la miscela che può cambiare le cose.

 

Si è visto nella pratica come l’intervento pubblico è essenziale, come la sanità pubblica è insostituibile, come la formazione e la conoscenza diffusa sono il presupposto di ogni azione ragionevole, come le ingiustizie sono fonte di conflitti, come il sovranismo e dentro il sovranismo, l’esaltazione territoriale regionalistica, siano fonte di paralisi e confusione, come ci serve un sistema produttivo italiano forte e autonomo.

Potrei continuare. Ma ci siamo capiti.

Ma in che dovrebbe consistere l’avanzamento di questa nuova strada, in grado di cambiare i meccanismi finora considerati automatici e ineluttabili dello sviluppo italiano?

 

Ho fatto tante volte appelli alla concordia, all’unità degli intenti. Abbiamo su questo preso una iniziativa politica che ha trovato riscontri. Ma non in senso buonista, “debole”, confuso circa le responsabilità e circa i meriti.
No, sono pienamente consapevole che le crisi accentuano i conflitti e che essi vanno gestiti con analisi precise e scelte conseguenti.

 

Eppure c’è una questione che si impone.
Di fronte a possibili catastrofi un popolo deve sapersi raccogliere attorno ad un impegno. Deve sentire acuto il senso di un’appartenenza che se si slabbra porta tutti alla rovina.

 

È esattamente il contrario del nazionalismo reazionario. È il ritrovamento di una comune radice patriottica, che chiama le energie migliori della società a rifiutare, o ridimensionare, il proprio calcolo personale e l’interesse particolare, nella gratificazione collettiva di dare una mano generosa alla storia del proprio paese e del suo futuro.

 

È quella necessità che si impone nei passaggi difficili della nazione, di trovare una classe dirigente generale, che si carichi le responsabilità del futuro di tutti. Sappiamo come in Italia la borghesia abbia spesso sempre mancato alla sua funzione. Spetta a noi colmare i vuoti di nostre debolezze antiche.

 

Questo non significa praticare il consociativismo e il trasformismo nelle coalizioni di governo. La coalizione di governo attuale, ho già detto, è la sola che può stare in piedi e non ci sono alternative.

 

Significa piuttosto scegliere con nettezza quali sono i punti che davvero uniscono il migliore sentimento italiano. Di tutte le categorie e le parti sociali. E battere lì. Con insistenza. Non rassegnandosi alla chiusura in se stessi tipica del nostro mondo atomizzato e sperso.

 

Parlando come Pd certo alle classi dirigenti ma anche e soprattutto alle persone come grande forza responsabile e di innovazione che non cavalca il disagio ma cerca le soluzioni.

Noi parliamo al disagio di tanti ma non per cavalcarlo ma per cercare insieme una soluzione.

 

Cosa deve succedere di più perché si sollevino le coscienze e prevalga quel sentimento che, per ragioni di necessità ci ha di fatto imposto il virus, secondo il quale la solitudine è fonte di debolezza, e la debolezza è la premessa di una risposta sbagliata, rabbiosa e vendicativa. E che invece le reti di solidarietà, la collaborazione, la generosità reciproca sono gli elementi essenziali di una risposta vincente?

 

Per suscitare questa spinta collettiva produttiva e vincente, occorre mettere in campo in modo rigoroso contenuti aggreganti, convincenti per la stragrande maggioranza del paese, capaci di dare esempi concreti. E occorre che anche la nostra funzione di governo si richiami e marchi queste priorità. E da esse mandi un messaggio politico che faccia comprendere meglio il senso dell’enorme quantità di provvedimenti che stiamo assumendo: occorre in forma nuova ricominciare a produrre e creare buon lavoro.

 

Il primo criterio che deve selezionare e indirizzare le nostre scelte sul futuro riguarda oggi più che mai la giustizia sociale e la lotta alle disuguaglianze. I dati dicono che durante il coronavirus la parte più indifesa e dolente del popolo italiano ha subito una decurtazione delle proprie possibilità di vita di oltre il 50%. Già veniamo da anni nei quali le distanze sociali si erano radicalizzate; e la globalizzazione, almeno in occidente, via via aveva creato una forbice tra i ricchi e i poveri, sempre più ampia e dentro la quale il ceto medio, elemento stabilizzatore delle società occidentali, aveva perduto consistenza fino quasi a scomparire con le sue caratteristiche antiche.

Ulteriori ingiustizie mineranno ogni possibilità di ripresa. Andremmo in contro ad una società sempre più divisa, incattivita ed egoista. Esattamente il contrario di quella necessità di apertura e collaborazione che l’esperienza del virus ha mostrato essere così essenziale.

 

Il secondo criterio investe una antica piaga italiana. La superfetazione delle rendite, in ogni settore della produzione e della società. Noi dobbiamo aiutare, premiare, incoraggiare tutta la parte produttiva del Paese. La grande industria che sempre di più dovrà proiettarsi nella dimensione mondiale dei nuovi consumi di massa, innovandosi e recuperando nei campi che saranno decisivi per il futuro: energia, information tecnology, digitale.

Le imprese medie e piccole che faticano ad andare avanti; che sono per certi aspetti improntate ad un carattere familiare, in un rapporto diretto con i lavoratori; che sono oberate da una fiscalità ingestibile che per loro va drasticamente semplificata; e spesso sono impedite a lavorare per il groviglio di regole, di piccoli impedimenti ottusi e burocratici che sono loro imposti. Queste imprese, i lavoratori, i prestatori di servizi, l’imprenditoria sociale debbono essere rimessi in moto investendo su un capitale umano di persone per bene, che danno lavoro e realizzano alla fine dell’anno assai modesti profitti. Insomma dobbiamo risvegliare l’Italia che ha il gusto di creare, lavorare mantenendo a terra, nella nostra “terra”, il senso del loro impegno. E invece occorre bonificare le rendite che si accumulano nella ricchezza improduttiva, o in quella forma, certamente importante, ma sfuggente rispetto alle responsabilità nazionali. tipiche delle grandi imprese globalizzate e finanzializzate. Naturalmente le rendite si verificano anche nei gangli di una pubblica amministrazione inefficiente, talvolta prepotente e nelle mille forme in cui si acquisiscono prebende che non corrispondono ad alcun reale lavoro.

 

Le imprese non investono in Italia spesso perché investire è l’inizio di un incubo determinato da un mix perverso fatto di: alta fiscalità, lungaggini burocratiche, criminalità e mafie, arretratezza dei servizi, tempi della giustizia.

 

La battaglia alle rendite è anche la battaglia contro l’evasione fiscale, priorità assoluta come ha ricordato più volte Prodi, rispetto ad una speranza di ripresa. E poi la lotta alla rendita è anche considerare il sostegno di reddito assolutamente indispensabile per chi non ce la fa, non una condizione permanente, ma il ponte transitorio per potersi, poi, reinserire in un paese più giusto, unito e che cresce.

L’unità nazionale del popolo si deve muovere su questi due crinali. Giustizia e battaglia contro le rendite. Sostegno a chi non ce la fa e, contemporaneamente, a chi può farcela ma ha perso fiducia ed è diffidente; e quindi esita a riprendere un cammino insieme, ripeto, per creare lavoro.

 

Il governatore Visco ha svolto una analisi rigorosa e spietata sulla situazione. Ma ha detto anche cose importanti. Certe critiche, invece, un pò interessate, che parlano di sostegni e di aiuti un pò sparsi, troppo diffusi e in certi casi incoerenti, le ritengo ingenerose e sbagliate.

 

E’ vero, noi nel pieno della pandemia abbiamo deciso di aiutare tutti. Nessun si doveva sentire abbandonato, emarginato. Semmai il rammarico viene dal fatto che in certi casi la misura di questi nostri aiuti non è stata sufficiente. Avremmo voluto fare di più. La nostra impostazione è derivata dal fatto che di fronte ad uno shock economico e sociale, ed anche esistenziale, nessuno doveva sentirsi scartato dall’impegno politico.

Se non ci fosse stata questa impostazione ogni filo di rapporto con gli italiani si sarebbe perduto.
E saremmo nelle condizioni in cui oggi vive il Brasile o gli Stati Uniti di America. Secondo la ferrea e mostruosa logica che il coronavirus ha provocato centinaia di migliaia di morti, ma altre epidemie nel passato sono state più devastanti. Ma che macabro calcolo sulla vita degli altri. La nostra cultura, la nostra storia, il lascito di tante lotte della sinistra democratica e dei lavoratori, per fortuna, ancora rendono il nostro sentimento più profondo, del tutto avulso da questa concezione della società nella quale alla una pura ideologia, praticata della forza, persino malgrado la scienza, si debbano sacrificare l’esistenza delle persone.

 

Ora però, come ho detto, è il tempo di una nuova fase. Lo ha detto il Governatore Visco, lo abbiamo detto noi, è una consapevolezza diffusa nelle parti migliori delle classi dirigenti nazionali.
Per costruire fiducia bisogna pensare e costruire un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale e sociale.

 

Il tempo nuovo si combina di tre elementi che dobbiamo tenere sempre presenti.

 

1.Non dobbiamo considerare la partita sanitaria con il coronavirus definitivamente vinta. La vigilanza deve rimanere alta. Comporta ulteriori sacrifici, ma ne va di ogni possibile inversione di tendenza. Se dovesse riprendere il virus in maniera incontrollata davvero rischieremmo un colpo da quale sarebbe impossibile risollevarsi.

Naturalmente, con elasticità, con realismo, con provvedimenti differenziati, dovremo monitorare tutti gli spazi che si aprono per riprendere le nostre attività fondamentali.

 

Se non è finito il tempo dell’emergenza sanitaria nei termini che ho detto, non è per nulla finito il tempo della verifica ossessiva, maniacale, pragmatica e non presuntuosa, di come l’insieme delle risorse che abbiamo messo a disposizione con i due decreti approvati in parlamento, arrivino davvero nel modo più semplice e rapido ai destinatari. Si sono fatti passi in avanti, ma non sono ancora sufficienti. Tra le dichiarazioni e le decisioni assunte dai vertici della politica si deve accompagnare la percezione delle persone che tutto ciò è vero. Vero per tutti. Ogni lentezza, ogni furbizia, ogni tentennamento delle strutture deputate a trasformare la decisione politica in effetto concreto, debbono essere superate nel modo più incisivo e drastico.

 

2. Se il virus è una maledetta occasione, la disponibilità per la prima volta in Italia di grandi risorse deve concentrarsi su indirizzi chiari e programmi conseguenti. Anche l’unione europea ci ha aiutato indicando alcune priorità. Dove lo sviluppo italiano nei decenni passati ha mancato di lungimiranza e di respiro strategico, dobbiamo colmare questo ritardo e questo vuoto. La conoscenza, l’innovazione, la digitalizzazione, la ricerca, l’università e la scuola il trasferimento tecnologico . Siamo tra i paesi più indietro in Europa su questo; e diminuiscono i nostri giovani che concludono l’università. Inoltre la capacità di coordinare le politiche industriali; anche attraverso una maggiore interazione e offrendo ai nostri colossi nazionali una visione una missione Paese più chiara sulla quale orientarsi.

 

Sviluppo dell’economia green, indispensabile per difendere la salute e grande occasione di nuovi settori di impresa e di crescita. Una riforma fiscale che vada in direzione del dettato costituzionale, vale a dire più progressiva. Dove pagano tutti. Ma nella misura in cui possono realmente. Alleggerendo il ceto medio e le parti deboli della società e pretendendo che chi realizza rocamboleschi profitti nel nostro territori paghi qui le tasse. O chi detiene immensi patrimoni finanziari, senza immettere risorse nell’economia reale, dia alla collettività ciò che è giusto.

 

Una semplificazione drastica delle procedure per poter “intraprendere”, accompagnata da una riforma della pubblica amministrazione che si deve aprire con fiducia ai 500.000 giovani che è previsto vi entrino e ai quali dobbiamo dare una missione, un compito di responsabilità nazionale, la gratificazione di essere loro i protagonisti di una svolta positiva.

 

3. Attorno a queste priorità occorre definire con molta concretezza, comprensibile ai cittadini, i progetti necessari sui quali impegnare il recovery fund. Il momento decisivo sarà in autunno; ma già da adesso, il Governo deve pensare a come davvero coinvolgere in queste decisioni anche le opposizioni in parlamento, tutte le parti sociali, tutto l’associazionismo, gli amministratori, tutte le competenze che abbiamo a disposizione valorizzando davvero l’enorme patrimonio di saperi che viene dalle tante donne escluse invece dai luoghi di decisione. Non possiamo perdere neanche un briciolo di credibilità, dopo lo splendido risultato che abbiamo ottenuto in Europa per questo diciamo bene, ma attenzione al rigore e ai tempi certi. Sull’iniziativa che il presidente Conte ha annunciato perchè ora l’Europa, giustamente, chiede a noi rigore, programmazione, innovazione e un Piano Nazionale di ricostruzione serio e adeguato al grande Paese che siamo. Non possiamo sbagliare perché ne va del futuro di intere generazioni.

Chiediamo una collaborazione sincera da parte di tutti; preoccupata delle sorti generali della Repubblica. Occorre smontare ogni tentativo nel corso di queste settimane di predisporre da parte dei vari settori della società volontà e giudizi estremi, solo al fine di avere un vantaggio nelle trattative che dovranno, condurre alle conclusioni definitive sull’impiego delle risorse. Questo non aiuta corrisponde al vecchio vizio italiano, in particolare della parte più retriva delle classi imprenditoriali, di ragionare secondo criteri particolari e non di responsabilità collettiva.

 

Anche la discussione sul Mes deve uscire da diatribe ideologiche.
Non voglio in alcun modo banalizzare o rimuovere timori o anche contrarietà di nostri alleati di Governo.

Ma anche sul Mes è cambiato tutto ed ora senza condizionalità rappresenta una straordinaria leva di finanziamento per la sanità italiana. Il Governo secondo me dovrebbe presentare un piano ambizioso e chiaro di investimenti possibili per cambiare e rafforzare il nostro sistema sanitario. E poi sulla base di questo decidere: vogliamo sulla sanità fare una salto nel futuro da subito? I penso sia necessario.

 

Ho cercato in queste settimane anche con miei interventi pubblici, di definire dunque il senso e il quadro dentro il quale si devono muovere le considerazioni fin qui fatte.

In ultimo la necessità di aprire una fase radicalmente diversa nella politica italiana e un impegno corale del Paese per stringere un “patto” tra istituzioni, forze produttive e sociali, amministratori e associazioni che indichi una possibile visione comune dello sviluppo.

Il Pd dovrà ovviamente fare la sua parte. Ora può farlo con autorevolezza. Grazie al contributo di tutti stiamo risalendo la china e oggi siamo una forza viva e indispensabile della democrazia italiana.

Il nostro peso, ruolo e le aspettative sono di molto superiori alla nostra rappresentanza parlamentare figlia della drammatica sconfitta del 2018 e della scissione. E questo per essere chiari non ce lo ha regalato nessuno ma è figlio delle nostre scelte e delle nostre politiche.

Il partito anche nei territori malgrado una condizione inedita ha lavorato per promuovere ’iniziativa politica. Il virus ha proiettato tutti in una dimensione digitale fino ad ora inesplorata.

Abbiamo mantenuto, chi molto bene, chi con più difficoltà, il rapporto con i gruppi dirigenti dei territori e promosso, pur se in una cronica ristrettezza di risorse finanziarie avviato campagne social. Dal primo giugno abbiamo aperto la campagna del tesseramento. Entro giugno si terrà finalmente la conferenza delle Donne PD.

 

Prepariamoci alla battaglia per le Regionali e le amministrative con uno spirito unitario e proiettato ad aggregare nelle Regioni alleanze larghe, progressiste civiche. In ogni Regione si deciderà in piena autonomia ma faccio un appello sincero ai nostri alleati di Governo, se l’obiettivo è vincere, garantire il buongoverno, fermare le destre che si presentano unite, non ostacolate nei territori le alleanze che si potrebbero creare. Il Pd ovunque sosterrà candidature e si impegnerà in alleanze larghe per essere una credibile alternativa alla destra. In sistemi elettorali maggioritari a turno unico questo approccio credo sia un dovere per tutti.

 

Ma come ho detto per l’Italia ora permettetemi di dire che anche per noi con la ripresa dal 3 giugno legata alla fine del lockdown si chiude una fase storica.

Un’altra, da questo momento, si deve aprire.

Ho cercato in questi mesi di portare fino a qui il nostro movimento, rispettando la missione congressuale anche di fronte a imprevedibili scenari che hanno cambiato nel profondo le priorità e i nostri compiti.

 

Al compito di direzione del partito che abbiamo rilanciato con le elezioni europee ad agosto si è aggiunto il fronte e la sfida di governo di coalizione alla quale partecipiamo nel quadro complesso che conosciamo.

 

Due livelli intrecciati ma diversi che hanno richiesto un impegno difficile di sintesi. A questo si è aggiunto nelle ultime settimane la vicenda legata al Covid che ha chiesto almeno a me un impegno particolare di presenza e attenzione al territorio della Capitale che abbiamo affrontato con il massimo del rigore e anche risultati importanti.

 

Nel partito ho promosso in tutti i modi la collegialità indispensabile per essere credibili; questo è servito, ripeto, a riconquistare un ruolo centrale nella vicenda politica italiana che è una vittoria e conquista per tutti noi ed è stato il modo più serio per rispondere e rispettare il valore dell’unità urlato in nei mesi scorsi dai nostri elettori e militanti.

 

Non un partito del leader, ma un partito con un leader. Esso ha un senso, tuttavia, se chi ne fa parte crede davvero nella forza di una squadra unitaria e non lo trasforma in un arcipelago di interessi di gruppo o individuali che si uniscono non perché condividono una strategia o una leadership ma perché non riescono a produrne un’altra migliore.

Lo dico perché ora la sfida cui ci troviamo a dover far fronte è persino più difficile di quella terribile che abbiamo appena vissuto. Ora si tratta di essere il principale motore della rinascita nazionale.

Davvero non possiamo sbagliare ed occorre tra noi chiarezza.

 

Avevamo immaginato, nel rispetto delle nuove regole dello statuto un percorso di tipo congressuale che per ovvi motivi non si è potuto realizzare e non si potrà perchè in autunno oltre alle sfide economiche e sociali ci attendono nuovi appuntamenti elettorali nei comuni e in molte Regioni.

 

Verifichiamo la possibilità di tenere nel mese di luglio un’assemblea nazionale nella quale poter dare il nostro contributo all’Italia e verificare scelte e politiche per andare avanti al meglio, partendo anche da un dibattito libero, fraterno e sincero sulla funzione che ognuno, nessuno escluso, debba assumere per dare il massimo del suo contributo al Pd e alla Repubblica.

 

 

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