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Del Bono: “Bisogna puntare sul ‘noi’ guardando in faccia la gente”

Sindaco Emilio Del Bono, i candidati del centrosinistra che vanno al ballottaggio negli altri comuni italiani le avranno chiesto come si fa a vincere al primo turno, con il 54 per cento, in una città come Brescia, dove la Lega ha stravinto alle Politiche e alle Regionali del 4 marzo. Qual è il segreto?

 
«Non ho segreti né ricette da insegnare. Ha contato, per me, aver conquistato nei cinque anni passati la fiducia dei bresciani, con la credibilità, il lavoro, la presenza costante. Non bastano pochi mesi di campagna elettorale per costruire la credibilità. E questa fiducia si è trasferita al Pd, il mio partito. Ma se non c’è continuità in questo lavoro, gli elettori vanno altrove. Il voto non è per sempre: è accaduto al Pd ma ricordo a Matteo Salvini che può accadere anche alla Lega».
 

In questo momento il ministro dell’Interno gode di molta popolarità.

 
«Sì, certo. Ma i cittadini, gli elettori, non si fanno incantare, e vale per tutti: se sei furbo, ipocrita, racconti balle puoi funzionare nel breve periodo, ma non nel lungo termine. E io a questo governo, pur pensandola diversamente su quasi tutto, auguro di fare bene e di rispondere ai bisogni del Paese, perché è questo che serve».
 

E quello che è accaduto al suo partito quando era al governo, perdere la fiducia dei cittadini?

 
«Paolo Gentiloni ha sicuramente dato un’immagine positiva e credibile, ma la crisi del Pd era troppo forte per trasferire quel consenso su un partito che, comunque, non era guidato da lui. C’è un grande bisogno di umiltà e verità, nei Comuni, nel governo: i cittadini hanno bisogno che i politici, davanti a un problema l’immigrazione, l’inquinamento, le buche delle strade, li guardino in faccia e diano soluzioni, senza negare o nascondere le difficoltà: per rilegittimare le istituzioni dobbiamo partire da qui».
 

Questo è il suo modo di agire, a Brescia?

 
«Le faccio un esempio: per il suo passato industriale Brescia ha un grande problema di inquinamento del suolo e della falda. In questi anni l’abbiamo spiegato, abbiamo raccontato le possibili soluzioni che passano anche da decisioni difficili e impopolari. Vedere che le cose, man mano, sono state fatte ha creato fiducia. Ecco: io ho provato a far scattare l’orgoglio nei bresciani nel riuscire a fare le cose. Ho usato sempre il noi, non l’io E ho dato seguito alle parole».
 

Senza scaricare le colpe sul governo, sulla Regione?

 
«Il carico di fiducia va ripagato assumendosi responsabilità. Certo, pensando alle promesse che questo governo ha fatto sul dare più poteri e risorse ai sindaci, mi auguro vengano mantenute».
 

Si iscrive al partito dei sindaci del centrosinistra?

 
«Non credo serva un partito dei sindaci, ma un’attenzione vera alle città: è qui che oggi accadono le cose più interessanti del Paese, siamo il laboratorio della tensione tra immigrati e autoctoni, della sfida sulla sostenibilità ambientale e sulla crescita. Sono fattori che col tempo condizioneranno non solo il voto per il Comune».
 

Quindi, ancora una volta, si deve ripartire dal territorio? È la frase che il Pd dice a ogni elezione.

 
«Molti lo dicono “torniamo tra la gente” ma non lo fanno, stanno sempre nei dibattiti tv e sui social. Anche molti parlamentari non hanno più rapporto con il territorio».
 

Quindi per lei non è tutta colpa di Renzi?

 
«Le responsabilità di quanto è accaduto sono collettive, di una intera classe dirigente. Dovremmo ricostruire un fronte popolare e democratico ripartendo dalle relazioni di comunità. Ma è difficile recuperare se si va avanti con i cliché e con le battute che dimostrano saccenteria, non voglia di capire l’umore profondo della gente».
 

Che poi vota 5 Stelle o Lega?

 
«L’elettorato grillino al Nord è molto particolare, movimentista, antisistema. Non so quanto durerà con la Lega. So però che c’è un popolo, un elettorato, che non si riconosce nella Lega e che vota 5 Stelle solo quando non vede alternativa. E un popolo che non ha casa e che come nel mio caso si aggrappa a figure credibili. Per quell’elettorato non possiamo però continuare a usare l’armamentario del passato, serve un nuovo abbecedario della politica, oltre che un manuale del buon politico».

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