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Rosato: “Sta per nascere un governo di destra, reazionario e sfascista, concentriamoci sulle azioni per combatterlo”

Chiude la porta, il renzianissimo Ettore Rosato. Il vicepresidente della Camera, già capogruppo dem a Montecitorio, non pensa sia una buona idea la promozione di Maurizio Martina in assemblea, a cui il reggente chiederà le redini del Nazareno per «un anno di lavoro costituente» utile a rilanciare il Pd. Una proposta che, illustrata ieri su Repubblica, sarà formalizzata all’assise nazionale in programma sabato. Su cui l’ala fedele all’ex premier sta in realtà ancora discutendo.
 

Martina dice che sarebbe un errore fare subito il congresso, significherebbe riproporre la solita conta interna, mentre c’è bisogno di una riorganizzazione straordinaria per superare le divisioni e ricostruire il campo del centrosinistra. È d’accordo?

 
«A me pare invece che sia il congresso la soluzione più idonea per individuare la strada che deve imboccare il Pd. Del resto scegliere se provare a ricucire con Leu o cogliere le opportunità dell’alleanza tra destra e M5S sono temi da congresso».
 

Che cosa non la convince nella proposta del reggente?

 
«La complessità della fase che attraversiamo. E anche le nostre regole. Lo Statuto del Pd prevede che in assemblea o si elegge un nuovo segretario fino a scadenza naturale o si indice un congresso».
 

Infatti il reggente chiederà di essere votato in assemblea. Ma visti i numeri dei renziani è plausibile che sabato sarà il suo ultimo giorno alla guida del Pd.

 
«Non ho la palla di vetro. A me però sembra ragionevole che chi vuole candidarsi alla segreteria lo faccia alle primarie: l’unico strumento che consente di intavolare un dibattito più ampio con i iscritti e militanti, di confrontare le linee politiche e di avviare una discussione -su questo concordo con Martina che non sia per correnti, ma larga sui temi».
 

È evidente che voi renziani a Martina l’avete giurata: se infatti l’assemblea dovesse decidere di andare subito a congresso, la guida del partito passerebbe al presidente Orfini, l’obbiettivo che inseguite da settimane.

 
«Lasciamo che l’assemblea faccia il suo corso. E poi non capisco questa paura del congresso: facciamolo con buon senso, utilizziamo i mesi estivi che abbiamo davanti, le nostre Feste dell’Unità, per parlare dei problemi del Paese, per coinvolgere la nostra base e aprire una fase di rilancio del partito».
 

E quando si farà il congresso?

 
«Anche i tempi sono previsti dallo Statuto. Quindi penso in autunno».
 

Sempre che il governo giallo-verde nasca davvero e non si precipiti invece verso nuove elezioni: in tal caso il congresso slitterebbe e le liste sarebbero gestite dal presidente del Pd, ossia dai renziani.

 
«Il governo lo hanno praticamente già fatto. E comunque non mi piace ragionare coi “se”. Il partito c’è. Ha le sue regole. Dopodiché non facciamo l’assemblea sui giornali. L’avvitamento eccessivo sulla nostra vita interna ci ha già fatto perdere fin troppa credibilità. Le infinite discussioni sulle divisioni del Pd hanno sottratto spazio ed energie ai temi che interessano gli italiani. È ora di smetterla».
 

Voi avete già in mente il nome da lanciare al congresso? Si parla di Guerini, di Delrio…

 
«C’è tempo per una riflessione sui candidati, prima dobbiamo discutere della nostra identità, del ruolo che il Pd deve svolgere anche rispetto al modo di fare opposizione. Sta per vedere la luce un governo di destra, reazionario e sfascista: mi concentrerei di più sulle azioni per combatterlo».
 

Ma visto il peso che Renzi continua ad avere nel Pd, non sarebbe più coerente che fosse di nuovo lui a correre?

 
«Matteo lo ha già escluso e non penso tornerà indietro rispetto alla decisione assunta. Poi c’è una larga parte “del nostro elettorato che si riconosce in lui. Assurdo chiedergli di stare zitto o di scomparire».
 

Scomparire no, ma dopo due sconfitte clamorose, al referendum costituzionale e alle politiche, il ricambio della classe dirigente non dovrebbe essere la premessa per ripartire?

 
«Guai a non farlo. Ma attenzione a non dimenticare, anche noi, le cose fatte negli ultimi 5 anni: riforme radicali i cui frutti per la maggior parte devono ancora maturare. Oggi le persone ti chiedono soluzioni immediate, ma non sempre problemi profondi consentono soluzioni immediate».
 

Quindi secondo lei in un Pd ridotto al 18% non si deve cambiare nulla? Le ricordo che le riforme di cui parla sono state bocciate dal voto degli italiani.

 
«C’è sicuramente bisogno di energie nuove, che dobbiamo essere capaci di intercettare».
 

È ciò che dice Martina infatti.

 
«Per la verità questo lo dice tutto il Pd, non solo Martina. Ed è stato Renzi, più e prima di qualsiasi altro, ad aprire il partito. Però non nascondiamoci che cambiare il Paese non è semplice e pensare di costruire il consenso con le riforme abbiamo visto quanto è complicato. Perciò adesso mettiamo alla prova chi oggi è chiamato a governare. E vediamo cosa sarà capace di fare. Di certo, noi non faremo mai mancare la nostra voce a difesa dei diritti e della democrazia».

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