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Chiamparino: “Pronto a dare una mano al PD, ma il futuro è di altri non mio”

Premesso che il «futuro è di chi ce l’ha davanti e non dietro le spalle», Sergio Chiamparino, 70 anni a settembre, ascoltato Renzi («Me ne andrò a nuovo Governo insediato») si mette a disposizione del partito del quale rappresenta l’ultimo baluardo in terra piemontese dopo la disfatta elettorale. Baluardo sotto attacco di grillini e centrodestra che, con un anno d’anticipo, gli hanno già intimato lo sfratto. Lui conferma che nel 2019 non sarà candidato, «e sempre per lo stesso motivo che il futuro appartiene ad altri», ma non per questo rinuncerà a battersi fino all’ultimo e invita gli avversari ad aspettare «per mettere le bottiglie di spumante in fresco: in un anno può accadere di tutto».
 

Soddisfatto, presidente della decisione di Renzi?

 
«Sì, anche del percorso congressuale».
 

La soddisfa anche il timing annunciato dal segretario?

 
«Non mi sembra il caso di lasciare il partito senza guida nel momento in cui è chiamato ad affrontare le consultazioni, la formazione del Governo. Insomma, mi sembra un percorso sensato».
 

Ma cosa bisognerà fare per rinnovare identità e programma del Pd?

 
«Bisogna affrontare il tema di una crisi della sinistra che non è solo italiana ma europea e mai come in questo caso non vale il detto del “mal comune mezzo gaudio”. E una sfida difficilissima perché viviamo in una parte del mondo con società divisa, frammentata tra comparti stagni che comunicano solo con sentimenti negativi. C’è la paura di chi è protetto di perdere le proprie azioni e il rancore di chi si sente escluso rispetto a chi è protetto. È complicato per la sinistra, per chi porta nelle proprie bandiere i valori della giustizia, dell’equità sociale, della solidarietà, accettare la sfida, ma bisogna provare. Provare a dimostrare che si può rendere popolare un progetto che contrapponga la società aperta alla chiusura sovranista e protezionista; provare a dimostrare che una società che produce lavoro è meglio di una società assistita».
 

C’è chi si è esercitato a indicarla quale possibile traghettatore verso il nuovo Pd…

 
«Sì, Caronte, il traghettatore di anime…».(ride)
 

Non ha risposto

 
«Non mi sono mai sottratto al dovere di dare una mano, ma una pagina nuova la si costruisce se vi sono forze nuove che si misurano fra di loro. Il bello di questa campagna congressuale dovrà essere che finalmente uno possa misurarsi con progetti politici su come riscrivere il profilo di una sinistra di governo, riformista e popolare».
 

Continua a non indicare un suo possibile ruolo

 
«Ho un ruolo istituzionale e un po’ di esperienza: se c’è lo spazio per dare una mano, eccomi. Certo però, che il futuro non può essere affidato a chi il futuro ce l’ha alle spalle».
 

Sia il centrodestra, sia i grillini le hanno già dato lo sfratto a un anno dalla fine della legislatura…

 
«Eeeh aspettino un attimo…».
 

Cioè? Ha detto che in un anno possono cambiare tante cose, ma come Regione cosa puoi fare?

 
«Cosa vuole che facciamo? Porteremo avanti il nostro programma. In realtà, ho detto ai miei avversari di attendere a mettere lo spumante in fresco perché ogni elezione fa storia a sé. Sono stato testimone di una fase in cui ho vinto la corsa a sindaco contro Roberto Rosso in una domenica del 2001 con un Berlusconi che vince a man bassa ovunque. La gente sa per cosa vota e quando voterà per la Regione non si confonderà con il Parlamento».
 

Ma allora perché due suoi assessori sono stati buttati nell’arena e uno, Francesco Balocco, ex amatissimo sindaco di Fossano, dirottato sul Collegio di Alba? Due esperienze che non hanno dato i frutti sperati…

 
«È stato il partito di Cuneo a chiederlo, non certo io. Vorrei che fosse chiaro che non ho proposto né Balocco, né Pentenero».
 

Lei ha più volte detto che non intende ricandidarsi ma ha lasciato una porta aperta dicendo che non si può mai sapere, anche alla luce di quanto sarebbe accaduto con il voto. Ora che dice?

 
«Confermo e vale quanto detto prima a proposito del futuro dietro le spalle. Di qui a un anno possono succedere tante cose. Perché hanno vinto le elezioni non è detto che vincano la sfida del governo. Eeeeh, calma e gesso: tra fare opposizione e governare c’è di mezzo il mare e forse anche di più».
 

Come a Torino?

 
«Come si dimostra, come si vede e come sanno benissimo quelli che hanno già fatto esperienze di governo: i Cinquestelle a Torino e gente come Pichetto a Roma. Insomma, da qui a un anno possono accadere tante cose».
 

E lei?

 
«Io sto qui a fare il mio dovere».

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