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De Vincenti: “Il Sud non ha ritrovato la speranza. E ha premiato i populisti”

Non molla fino alla fine. Anche se il collegio di Sassuolo, dove l’ha catapultato Matteo Renzi, non l’ha premiato. Claudio De Vincenti è al suo posto a largo Chigi presso il ministero per il Mezzogiorno e per la Coesione territoriale. Mezzogiorno questo sconosciuto nella campagna elettorale.
 

Quella uscita dalle urne è un’Italia divisa anche politicamente. Come se lo spiega? E cosa vuol dire?

 
«La linea di divisione politica segue una linea di divisione delle difficoltà e dei problemi. Da una parte, un Nord con livelli occupazionali elevati ma ancora traumatizzato dalle conseguenze della crisi 2008-13: ancora situazioni di incertezza di famiglie, lavoratori e piccoli imprenditori, sulla stabilità delle loro prospettive di reddito, con il bisogno di difendere ognuno la propria posizione che ha esacerbato la diffidenza gli uni verso gli altri e ha ingigantito le preoccupazioni per immigrazione e sicurezza».
 

Nord che ha premiato il centrodestra, soprattutto la Lega.

 
«Il populismo della Lega. Dall’altra parte, un Sud con livelli occupazionali ancora al di sotto di quelli precrisi del 2008, amplissima disoccupazione giovanile, periferie urbane con situazioni di degrado pesante: in sintesi un Sud che tuttora soffre di piaghe di disoccupazione e povertà generate da decenni di allargamento del divario rispetto al Nord. E un Sud che non ha ritrovato la speranza e premia soprattutto chi propone scorciatoie alla carenza di posti di lavoro e quindi il populismo dei 5Stelle».
 

Come se lo spiega? Non avevate rimesso in moto il Paese e il Mezzogiorno?

 
«Rivendico con convinzione quanto abbiamo fatto: abbiamo ricostruito le basi stesse della crescita di tutto il Paese e abbiamo investito sulle energie positive del Mezzogiorno, invertendo per la prima volta da anni la tendenza all’allontanamento economico dal Nord».
 

Non ha funzionato in termini elettorali, però.

 
«Perché non abbiamo tenuto conto del fatto che la profondità della crisi che siamo riusciti a superare implicava che la ripresa non avrebbe sanato subito le ferite sociali prodotte dalla crisi. Abbiamo creato oltre 900.000 posti di lavoro (300.000 nel Mezzogiorno) ma ci sono ancora (soprattutto al Sud) tanti disoccupati o persone che hanno rinunciato a trovare lavoro. Perciò le misure che hanno rimesso in moto l’economia e che stanno consolidando la ripresa sono state paradossalmente percepite come misure per chi è in grado di farcela e non, come invece erano e sono, misure per aprire sempre più le porte del mondo del lavoro a tutti. È come se le nostre misure si fossero fermate in “alto”, non fossero arrivate alle persone in carne e ossa. Ecco, non siamo apparsi in sintonia con quelle sofferenze e quelle ansie alle quali pure volevamo rispondere, siamo apparsi estranei ai tanti che ancora stentano a ritrovare la fiducia nel futuro. Se c’è una cosa che mi preoccupa è che il voto, al Nord come al Sud seppure per motivi diversi, segnala una perdita di speranza dei nostri concittadini nel futuro».
 

La sconfitta del Pd riguarda anche il governo e quanto il governo ha fatto, o avrebbe dovuto fare per il Sud. Ieri il Sole 24 ore, il giornale di Confindustria, pubblica tutti gli interventi e le misure al palo.

 
«Va bene tutto, va bene la critica e pure l’autocritica, ma c’è un limite anche di decenza da non valicare: se ci sono governi che hanno preso misure concrete per il Sud sono esclusivamente i governi Renzi e Gentiloni. In precedenza, nessun esecutivo si è mai mobilitato come gli ultimi due a favore del Mezzogiorno».
 

Si tratta di ritardi attuativi proprio dei Patti per il Sud.

 
«Ricordo che con i Patti per il Sud abbiamo già sbloccato quasi 9 miliardi di investimenti pubblici, che con il credito d’imposta investimenti abbiamo messo in moto nel solo 2017 al Sud 4 miliardi di investimenti e con la decontribuzione 113.000 nuove assunzioni a tempo indeterminato, che Resto al Sud è già operativo e lo sportello Invitalia ha registrato in questi primi due mesi già oltre 7.000 richieste, che il decreto sui criteri per costituire le Zes è stato già emanato e le Regioni stanno elaborando le loro proposte, che il Fondo per la crescita dimensionale delle imprese meridionali ha già le risorse versate nella contabilità speciale e stiamo varando (a poco più di due mesi dalla Legge di bilancio che lo ha istituito) la convenzione istitutiva. Per il bene del Mezzogiorno d’Italia mi auguro che il governo che verrà sappia andare avanti sulla strada che abbiamo tracciato noi».
 

In verità Luigi Di Maio ha già annunciato che non ci sarà un ministero per il Mezzogiorno.

 
«Il ministero per il Mezzogiorno e la coesione territoriale è un dicastero che svolge la funzione di riequilibrio tra le zone in ritardo di sviluppo che ci sono anche nel Centro-Nord e le zone più avanzate del nostro Paese. E stato un passo avanti molto importante di Gentiloni mi auguro che a nessuno venga in mente di cancellarlo».
 

Lei crede che il voto al Movimento 5 Stelle dipenda dalla promessa del reddito di cittadinanza?

 
«Non lo credo. A mio giudizio, come dicevo prima, è un voto che manifesta la mancanza di una qualsiasi speranza sul futuro: mancanza di speranza che il lavoro lo si possa trovare sul serio e che sia un lavoro stabile, tale da consentire di farsi un piano di vita; mancanza di speranza che la vita, nelle periferie urbane, possa essere una vita normale, fatta di servizi decenti e di senso di sicurezza. Al Pd, adesso spetta il compito di tornare ad ascoltare la voce di chi soffre, ad interpretarne sogni e bisogni, in modo da poter riannodare quel filo della speranza in un futuro migliore che il voto del 4 marzo ha drammaticamente reciso. Senza però eccedere nell’autoflagellazione: abbiamo fatto tante cose importanti che stanno dando risultati, tant’è che anche ieri l’Istat ha detto che il tasso di disoccupazione è sceso di un altro punto. Con umiltà, senza arroganza, dobbiamo ripartire da quanto di buono abbiamo realizzato».
 

In direzione nazionale Vincenzo De Luca è intervenuto. In pratica per il governatore campano la responsabilità della sconfitta è del governo. Serve un piano da 200 mila assunzioni nella pubblica amministrazione.

 
«Questa volta non ho condiviso né la sua analisi né la sua proposta. Peccato, perché il Patto per la Campania sta di per sé procedendo bene. Credo che così come non si può gettare la colpa su una persona a livello nazionale o su una singola componente, altrettanto non va fatto a livello locale. In questa sconfitta tutti portiamo le nostre responsabilità. Tutti la condividiamo. Nessuno escluso».

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