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Battiston: “Così dentro il mio spazio è entrata la politica”

Roberto Battiston, che alle Europee sarà nella lista del Pd, racconta i suoi anni all’Asi, dalla missione ExoMars ai progetti con la Cina. Fino al brusco licenziamento. Senza giusta causa.

 

Ha guidato l’Italia nello spazio. Facendo decollare razzi col tricolore sulla carlinga, spedendo su Marte esperimenti concepiti dai nostri scienziati, motivando come un coach gli astronauti azzurri. Dal 2014, per quattro anni e mezzo, Roberto Battiston, fisico e professore universitario, che la settimana scorsa ha accettato di candidarsi alle Europee nella lista unitaria del Pd, è stato il capo della nostra piccola ma agguerrita Nasa.

 

Poi, nel novembre scorso, il nuovo governo ha bruscamente fatto cambiare rotta all’Agenzia spaziale italiana e Battiston si è ritrovato catapultato a terra. Una revoca del secondo mandato che ancora ha strascichi in tribunale («I miei legali hanno fatto più di un ricorso, siamo in attesa di conoscere la sentenza») e ha scosso tutta la comunità scientifica e industriale dello spazio.

 

Parte proprio da li, dal brusco epilogo della sua presidenza, il libro di Battiston Fare Spazio, appena pubblicato dalla Nave di Teseo.

Professor Battiston, il suo libro è un bilancio dei suoi anni alla guida dell’Asi. Ma iniziamo dalla fine, dalla sua cacciata. Ha capito perché è successo?

«Una spiegazione convincente non ho ancora saputo darmela, posso fare ipotesi. Però proprio in questi giorni sono emersi elementi che gettano un po’ di luce su quanto avvenuto: hanno a che fare con la gestione del Centro italiano di ricerche aerospaziali a Capua e puntano il dito verso la gestione che mi ha preceduto».

 

Una motivazione politica, dunque, che coinvolgerebbe il suo predecessore Enrico Saggese. A caldo si disse anche che lei aveva fatto virare l’Asi verso obiettivi troppo scientifici, mentre il nuovo governo voleva far felici le aziende aerospaziali. È così?

«Assolutamente no. Durante il mio mandato sono riuscito a far raddoppiare il bilancio dell’Agenzia. E all’industria italiana è andato più del 90 per cento di quelle risorse. Alla ricerca è andato circa il 10 per cento. Non solo: sia a livello dille che di Agenzia spaziale europea abbiamo ottenuto più di quanto versato dal nostro Paese. E la conferma è che gli industriali del settore sono tutti soddisfatti della mia gestione».

 

Guardiamo al futuro. Cosa sarà dello spazio italiano?

«L’Agenzia ha rischiato la paralisi: l’estate scorsa la mancata nomina del nuovo Cda, poi, dopo la mia revoca, la mancanza di una guida per settimane. Infine è stato scelto un commissario di grande esperienza, Piero Benvenuti. Ma il commissario non basta: vista la natura temporanea del suo incarico non può lanciare programmi di lungo respiro».

 

Quali sono gli effetti di tutto questo?

«Un rallentamento evidente dei programmi. Basta parlare con l’industria del settore: i responsabili allargano le braccia e alzano gli occhi al cielo».

 

Nel frattempo è stato individuato il suo successore: Giorgio Saccoccia, una carriera all’Esa.

«È un bravo tecnico, un ottimo ingegnere. Insomma, da questo punto di vista una buona scelta, ma tutto dipende dall’autonomia di cui potrà godere. Mai come con questo governo sull’Agenzia spaziale ci sono state pressioni provenienti da settori della politica».

 

Dicevamo: il futuro.

«Ho portato a termine programmi che erano stati concepiti dai miei predecessori, penso alla prima missione europea su Marte ExoMars2016 o al satellite Prisma, appena lanciato, che controllerà lo stato di salute di clima, acque e foreste. A mia volta ho gettato le basi di progetti che, spero, altri dopo di me condurranno in porto. Per esempio ho lanciato un programma per permettere all’industria italiana di specializzarsi in piccoli satelliti da 50-10 chili di peso, un concentrato di tecnologia per creare costellazioni capaci di erogare molti servizi diversi. Un altro capitolo che ho aperto è la partecipazione alla stazione spaziale cinese. L’attuale governo ha finanziato la nostra partecipazione, quindi deduco che ci sia la volontà
politica di proseguire. Per l’Italia e per i suoi astronauti è un’opportunità in più di andare in orbita, per il Paese un’opportunità unica per un rapporto privilegiato con
la Cina».

 

Decisioni importanti verranno prese nella prossima “ministeriale”, il vertice tra i Paesi che fanno parte dell’Esa, a novembre. Quali dossier dovrà difendere il nuovo presidente dell’Asi?

«Dovremmo puntare sullo sviluppo del motore Vega E, prodotto sempre dall’italiana Avio, per fare evolvere Vega verso motori a combustibile liquido e non solo solido. Poi c’è il progetto Space Rider, una sorta di minishuttle che va in orbita e rientra planando sulla terraferma e non con un tuffo in mare come facemmo nel 2015 con IXV, l’Intermediate eXp erimental Vehicle. Un progetto bellissimo, ma proprio per questo a rischio».

 

Perché?

«Perché rappresenta un’Italia ambiziosa, capace di competere con le altre potenze spaziali come Germania e Francia. Ci vogliono diplomazia e la capacità di coinvolgere anche gli altri Paesi. È la regola d’oro per avere successo nell’Esa».

 

A proposito, quand’è che ha esultato per una missione riuscita?

«Poco più di un anno fa, quando è stato mandato in orbita il satellite italo-cinese Cses: a bordo ha uno strumento italiano chiamato Limadou, dal nome che i cinesi usavano per Matteo Ricci, il gesuita che visitò la Cina nel Cinquecento. L’obiettivo
è effettuare dallo spazio il monitoraggio sismico di aree a rischio. Pechino è entusiasta del programma e l’Asi ha già firmato, nel corso della visita di Xi Jinping, per realizzare una seconda missione».

 

Il presidente dell’Asi ha anche a che fare con gli astronauti: che tipi sono?

«Una volta mi sono ritrovato a Stoccolma a una cena con cento di loro. I sette italiani hanno tutti storie eccezionali. Per non parlare dei “monumenti”, come Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla Luna, ancora un vulcano nonostante i quasi novant’anni. O John Glenn, che è tornato in orbita a 77 anni. A furia di frequentarli, ti sembra normale avere a che fare con persone straordinarie».

 

Ha conosciuto anche Elon Musk e visitato la sua SpaceX.

«Non so bene cosa sia un genio, però se incontro una persona con una marcia in più so riconoscerla. Ecco, Musk rientra certamente in questa categoria. E lo confermano i tanti traguardi che ha raggiunto a 47 anni».

 

Cosa l’ha colpita del suo modo di progettare missioni spaziali?

«Reinventa le cose. Serve un bullone? Fa una rapida indagine di mercato, poi compra il meglio che c’è oppure lo produce. A SpaceX sono moderni artigiani che puntano tutto sull’inventiva. Musk ha saputo circondarsi di ingegneri scelti come le Tigri di Mompracem di Sandokan: hanno il coltello tra i denti e non si spaventano di nulla. Se le leggi della fisica dicono che una cosa si può fare, loro la fanno».

 

Le leggi della fisica dicono che si può andare su Marte. Ci andrà SpaceX?

«Ci stanno lavorando seriamente. Raccogliendo le migliori idee per costruire colonie umane sul Pianeta Rosso. Anche io sto dando il mio contributo».

 

Nonostante i nuovi impegni?

«Certo, non posso smettere di frequentare lo spazio. Ci sono amori che non si
scordano mai».

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