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Cuperlo: Il Congresso sia una sfida costituente per una forza che ricollochi la propria funzione nel Paese

“Sostiene l’istituto di sondaggi Swg che Giuseppe Conte condurrebbe il Movimento 5 stelle dal 15,8 al 22 per cento precipitando il Pd poco sopra il 14. Scenario da incubo se letto dal Nazareno, la sede del Partito democratico. Poiché di un sondaggio si tratta, per altro rilevato il giorno stesso dell’investitura dell’ex premier, uno può consolarsi dietro lo scudo dell’effetto-annuncio, ma sarebbe un errore persino più grave dei numeri perché la realtà sta li, nel bisogno di dare al Pd l’anima che gli serve. Sarà sgradevole dirlo, ma quel partito, il mio partito, oggi e fortissimo nel Palazzo e debole nel paese. I motivi affondano nel tempo anche se uno domina sugli altri e coincide con la contraddizione della nostra parabola, non solo recente.

 

Da quindici anni noi non vinciamo nelle urne, parlo ovviamente del voto politico perché i successi alle amministrative vi sono stati e assai preziosi nel contenere l’avanzare della destra Ma nella sfida per il governo le cose hanno avuto la piega nota Una volta nel 2013, abbiamo pareggiato. La volta dopo, nel 2018, abbiamo incassato la sconfitta peggiore della storia. Prima, nel 2008, al debutto del nuovo partito si era perso non di molto. In sintesi, l’ultimo successo, anche allora di misura, risale al 2006 e alla seconda discesa in campo di Romano Prodi Quindici anni non sono pochi, segnano un ciclo. Con un però (a sinistra c’è sempre un però).

 

Che di questi quindici anni traversati senza un successo chiaro nelle urne, noi ne abbiamo vissuti oltre undici al governo. Con operazioni diverse, si capisce, tutte motivate dalle priorità insindacabili del momento. E aggiungo, spesso ottenendo risultati tutt’altro che scontati, come da ultimo la riconversione in chiave europeista dei Cinque stelle e l’accesso al più imponente piano di risorse europee dopo 11947.

 

Ma il tema politico di fondo rimane. Siamo andati a governare con Monti per sottrarre l’Italia alla bancarotta. Poi con Di Maio per liberare l’Italia dall’incubo sovranista. oggi con Draghi per salvare l’Italia dalla pandemia Nel mezzo la parentesi di Enrico Letta e il triennio renziano. A dirla nella maniera più semplice, lo stare al governo in sé, per un partito, traguardo fondamentale è divenuta l’arte di una classe dirigente sempre più identificata con quella dimensione e sempre più lontana dal bisogno di darne una motivazione solida. Allora, ok, al governo. Ma come marcare la nostra visione del paese per i prossimi anni? Perché il punto è qui, nella presa d’atto che il Pd non è non può esserlo per contesto politico e istituzionale -l’incarnazione della Democrazia cristiana, partito di governo per missione storica e riflesso geopolitico.

 

I democratici di ora la loro scommessa di governo debbono motivarla, fondarla sul consenso che raccolgono in una società segnata da conflitti dolorosi come sul fronte delle disuguaglianze che la crisi continua a scavare. È qui che si decide l’identità del soggetto, in una capacità di definire alleanze politiche, sociali, territoriali (c’è da ricostruire un legame strategico tra nord e sud) che possano dare un profilo all’alternativa alla destra che vogliamo rappresentare. Sinora, questa volontà e chiarezza sono apparse troppo timorose di scuotere l’albero, ma anche per questo l’assemblea di metà marzo può diventare il luogo dove sul tema finalmente si inizi a riflettere e non per stilare l’ennesimo decalogo delle riforme da fare.

 

Negli anni alle spalle, la stesura di programmi riformisti è stata inversamente proporzionale alla capacità di trasferirli nel corpo vivo della società. La verità? Il progetto del nuovo partito per come venne concepito e forgiato non basta più. E allora si apra il percorso di un congresso, lo si affronti come una sfida costituente per una forza che ripensi sé stessa e ricollochi la sua funzione nell’Italia dei prossimi anni. I laburisti inglesi passarono diciott’anni all’opposizione, persero le elezioni nel 1979 e rientrarono a Downing Street con Tony Blair nel 1992. Non considero il blairismo, ammesso ancora esista, come il modello da cui trarre ispirazione, ma la traversata del deserto quella forza la affrontò. Il nostro deserto magari non lo traverseremo in qualche giorno. Però, insomma, il tempo è davvero maturo per uscire dall’oasi”.

 

Gianni CuperloDomani

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