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Delrio: “Il presidente invita a non seguire chi alimenta il ricatto della paura”

«L’Italia non è fatta solo da chi urla, insulta, vive nella cultura del nemico, ma anche da chi fa il suo dovere, paga le tasse, si mette al servizio degli altri, crede nelle istituzioni pubbliche. Ecco io penso che la grande eco ricevuta dal bellissimo discorso del presidente Mattarella testimoni proprio questo».

 

Cosa esattamente onorevole Graziano Delrio, capogruppo pd alla Camera?

 

«C’è una larga parte dell’Italia che si ritrova nella sobrietà, nell’attenzione ai più fragili e nella fermezza dei valori costituzionali espresse dal capo dello Stato. E che dalle sue parole trae forza e incoraggiamento. Una bella lezione, di cui si sentiva bisogno».

 

Cos’è che l’ha colpita di più?

 

«Lo splendido richiamo a sentirsi e riconoscersi come comunità, che non è soltanto somma di interessi individuali, un fatto economico, ma qualcosa di più: significa condividere gli stessi diritti e doveri, dare valore alle cose che creano legami, costruire relazioni».

 

Il ministro Salvini parlerebbe di “retorica dei buoni sentimenti”: accusa che lo stesso Mattarella ha anticipato per negarla, insistendo sull’esigenza di pensarsi italiani e stranieri, chi ha lavoro e chi no, giovani e pensionati dentro un futuro comune da realizzare insieme. Secondo lei non è una critica al “cattivismo” di governo?

 

«Credo che abbia voluto dire che il tessuto della convivenza si basa sul rispetto e sull’accoglimento degli altri, senza i quali non c’è neppure sicurezza. Però si tratta di un bene molto fragile, basta poco per strapparlo. Noi ripetiamo sempre che è sbagliato criminalizzare le Ong, le cooperative sociali, i volontari: queste persone vanno ringraziate. Come tragico è l’errore di continuare a pensare che fare del bene è una debolezza anziché una ricchezza. In questo senso quello di Mattarella mi pare un invito a non cedere al ricatto della paura, della diffidenza, del sospetto, a non farsi bloccare dai sentimenti negativi».

 

C’è un altro passaggio che sembra un affondo contro i partiti di governo, M5S e Lega: non si possono “chiudere gli occhi davanti alle difficoltà che abbiamo di fronte”, dice il capo dello Stato, “dobbiamo andare incontro ai problemi con parole di verità, senza nasconderci carenze, condizionamenti, errori e approssimazioni”.

 

«Lungi da me tirare per la giacchetta il presidente. Ritengo che il suo discorso interroghi e stimoli tutti noi. È ovvio però che se si governa senza mai assumersi responsabilità, scaricando sempre le colpe sugli altri e additando nemici immaginari, non si dà certo l’idea di voler fare un percorso di questo tipo. Perciò o si capisce che il Paese va avanti solo con il lavoro di tutti o rischiamo il disastro: è ora che ciascuno faccia la sua parte con tenacia, impegno e serietà».

 

Il presidente ha fatto capire di non aver gradito l’esautorazione del Parlamento, lo strappo della maggioranza sulla legge di Bilancio, approvata senza che i parlamentari potessero spostare una virgola. Doveva o poteva essere più duro?

 

«Io credo che lui sia rimasto nel solco delle sue prerogative. Semmai dovevano essere molto più duri i presidenti di Camera e Senato: sono loro che dovevano mettere il Parlamento nelle condizioni di esprimersi. Nessuno ha votato il premier Conte, il 4 marzo abbiamo votato dei parlamentari per rappresentare tutti gli italiani: eletti che non hanno potuto svolgere la loro funzione di controllo».

 

Lei si aspettava una condanna esplicita dell’accaduto?

 

«La finanziaria è ormai legge dello Stato. Perciò il richiamo di Mattarella è importante: ha detto che in futuro devono essere garantite condizioni adeguate di confronto. La Costituzione prevede pesi e contrappesi, non che l’esecutivo lavori e nessuno lo deve disturbare. Vuole che le leggi siano esaminate articolo per articolo. In questo caso l’umiliazione del Parlamento è da addebitare in primo luogo al governo, che ha perso tempo, e poi ai presidenti delle Camere Fico e Casellati».

 

Quando Mattarella elogia le forze dell’ordine e il valore della divisa non sarà un avvertimento a chi, come Salvini, indossa le felpe della polizia per comizi e dirette social?

 

(Ride) «Insomma… È un fatto che la divisa sia simbolo delle istituzioni al servizio della comunità, motivo per cui c’è un articolo del codice penale che impedisce di indossarle. Ribadisco, io non voglio strattonare il capo dello Stato, però lui dice una cosa molto chiara: le istituzioni non sono proprietà della maggioranza o del governo, ma di tutti i cittadini, e vanno trattate con delicatezza e rispetto. Non è che se fai il ministro dell’Intero puoi metterti al di sopra della legge».

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