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Franceschini: “E’ giusto unire le forze ma il logo dem resterà”

Franceschini, d’accordo con Calenda?

«Innanzitutto vorrei fare una premessa. Io penso che inesorabilmente sia già iniziato il declino di questa maggioranza. Potrà essere più o meno veloce ma i nodi arriveranno al pettine. Con questo modo sbruffone e approssimativo di governare, le promesse fatte non si realizzeranno, se non in minima parte, il che provocherà un’ondata di delusione del Paese. La colpa di questa maggioranza è stata quella di aver alzato troppo le aspettative. Quando le conseguenze delle mancate promesse incideranno direttamente nella vita delle persone arriverà la delusione. Però non sta scritto da nessuna parte che gli elettori che ci hanno abbandonato tornino indietro automaticamente. È un’illusione bella e buona. Il consenso di quelle persone va riguadagnato. Il rischio è che i delusi da Lega e 5 Stelle estremizzino ancora di più le loro posizioni. Quindi da qui alle Europee noi dobbiamo metterci in condizione di recuperare quel consenso».

La lista unica servirebbe allo scopo?

«Negli anni passati il “pericolo” Berlusconi è stato sufficiente per unire forze e culture politiche molto diverse. L’Ulivo, il Pd, l’Unione… I partiti accantonavano le divisioni e cercavano di mettersi insieme per battere Berlusconi. Ora mi pare incontestabile che Salvini per l’Italia sia molto più pericoloso di Berlusconi, che non era capace di governare e aveva il conflitto di interessi, ma non ha mai portato nel dibattito politico italiano il razzismo. Perciò penso che una lista comune alle europee sia una cosa giusta. Parlo ovviamente delle forze del nostro campo, sennò facciamo confusione. Perciò condivido l’appello di Calenda: di fronte a un attacco così violento all’Europa e ai principi della convivenza civile unire le forze è il minimo».

Vi vergognate del simbolo del Pd?

«Ma no! Io credo che ci sia il modo di avere sia il simbolo che un nome o un’identità più larghi. Le due cose possono stare insieme. Per capire, mi piacerebbe vedere insieme in quella lista Calenda, Bonino e Pisapia».

Non Forza Italia?

«No, il campo è quello del centrosinistra. Oltretutto FI è alleata e vuole restare alleata di Salvini».

Lei sostiene Zingaretti…

«Io sono amico da tanti anni di Martina, ho sostenuto il suo lavoro anche quando era attaccato da quasi tutti però la mia scelta è Zingaretti per ragioni politiche. Sono principalmente due. Innanzitutto, per i motivi a cui accennavo prima, il Pd deve tornare alla sua missione, che dalla nascita è sempre stata quella di unire, mentre negli ultimi anni purtroppo le cose non sono andate così. E quindi Zingaretti che è riuscito, oltre che a vincere, a tenere insieme una coalizione larga anche quando a livello nazionale il centrosinistra era diviso, mi sembra il più adatto per ricomporre il campo riformista».

La seconda ragione?

«Dopo le sconfitte del 4 dicembre e del 4 marzo abbiamo finto – e uso la prima persona plurale per educazione – di non capire lo schiaffo che ci hanno dato gli elettori. Quello schiaffo, così forte, era una domanda di cambiamento e di discontinuità. E colui che dà maggiori garanzie di discontinuità è Zingaretti, ma questo non vuol dire per niente rinnegare o altre sciocchezze del genere. Zingaretti veniva dato per favorito nel voto aperto delle primarie e sfavorito nel voto interno degli iscritti. Il fatto che invece sia in largo vantaggio anche tra i tesserati significa che anche i nostri iscritti, oltre agli elettori, chiedono unità e discontinuità».

Zingaretti è l’uomo giusto per portare avanti la lista unitaria?

«Sì. La gente vede che Salvini è il vero capo dell`attuale maggioranza. Non lo è Di Maio e non lo è Conte. E tutti quelli che per i loro valori, la loro storia e cultura politica sono contro quel campo sono alla ricerca di un anti-Salvini. Zingaretti ne ha tutte le caratteristiche: ha uno stile diverso, non è aggressivo, è uno che costruisce. È lui che ci potrà guidare nella sfida contro Salvini. Quindi la sua elezione non riguarda solo il Pd ma un campo molto più ampio, che è il campo democratico del Paese».

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