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Franceschini: “Le persone sono più avanti della politica. E chiedono a noi e ai 5S di fare una scelta di campo”

«Le Sardine ci mostrano un popolo, e ci indicano una strada».

Dario Franceschini vede nei ragazzi partiti da Bologna, nelle piazze che hanno saputo animare, il campo che la politica non ha ancora costruito. «La destra si è riconosciuta e organizzata intorno agli estremismi di Matteo Salvini e Giorgia Meloni spiega il ministro della Cultura – il campo avverso ancorano, ma sarà costretto a farlo: a partire dai valori che hanno riempito quelle piazze».

Politici e media chiedono alle Sardine di andare oltre ai no, di dire in cosa credono. Opporsi a sovranismo, populismo, razzismo, fascismo, non è già abbastanza, a volerli ascoltare?

«Quei ragazzi hanno detto molto chiaramente da che parte stanno. Soprattutto, lo hanno fatto scegliendo di incontrarsi. C’è un libro dí 20 anni fa di Albert O. Hirschman, “Felicità privata e felicità pubblica”, la cui teoria di fondo è che ci sono momenti della storia in cui la gente si chiude in casa, nel privato, alternati ad altri in cui le persone cercano la felicità nelle cose pubbliche».

È quel che sta accadendo?

«Sì. Queste persone non si sono limitate a una comunicazione digitale perché avevano voglia di riconoscersi come popolo. È quello che in tutto il mondo è successo con le piazze di Greta. Ed è un fenomeno che apre molte speranze».

Se le forze politiche saranno in grado di raccoglierlo.

«È importante che nessuno abbia la tentazione di metterci il cappello. Ma queste piazze sono già comunità. non somme di individui. E sono importanti perché gli egoismi del sovranismo lavorano sulla solitudine, mettendo gli uni contro gli altri territori, ceti sociali, persone».

Le sardine sono accusate di essere vaghe e già divise. Non condivide?

«Quando leggo: “Antifascismo, antirazzismo, no alla violenza verbale, arginare Salvini”, mi sembra ci sia già tutto: un messaggio che si oppone alle piazze del passato, cupe, cariche di astio, di paure. Queste sono allegre, positive e ci mostrano come molte volte la società civile e i ragazzi siano molto più avanti della politica. Ci indicano una strada».

Quale?

«Fanno percepire una cosa che in questi anni non è stata capita fino in fondo: che la parte progressista e riformista della sinistra si è limitata molto spesso a presentare una versione più corretta, più di buonsenso, con qualche spruzzatina di riformismo, dei temi della destra. Qui esce invece in modo spontaneo un messaggio radicalmente alternativo».

Che tradotto significa, ad esempio, revisione dei decreti sicurezza e Ius culturae.

«Sono cose su cui abbiamo già detto che non torneremo indietro: c’è un calendario da seguire, ma non per questo saremo titubanti».

Nonostante i 5 stelle?

«Il messaggio di quelle piazze vale per tutti. Negli anni passati si è pensato che la fine delle ideologie comportasse la fine di una distinzione netta tra destra e sinistra. In realtà la globalizzazione ci fa capire che c’è, eccome, una dorsale che divide due campi opposti. Tu sai con chiarezza se stai con Trump o con Obama, se sei con gli europeisti o con i sovranisti».

Di Maio teorizza invece un M5S ago della bilancia.

«La trasversalità l’hai potuta costruire interpretando rabbia sociale, voglia di cambiamento anticasta, ma quando sei chiamato a fare scelte di governo, la dorsale Trump-Obama è più forte. In quelle piazze ci sono elettori Pd, 5 stelle, più di sinistra, moderati delusi. C’è già un campo e si è costruito prima nel popolo che nei palazzi della politica. Poi uno guarda il dibattito tra partiti e vede liti su cose marginali».

Litigate su tutto. È sicuro che lei e Di Maio siate dalla stessa parte?

«Lo capiremo andando avanti, perché saranno costretti a scegliere. Penso che l’elettorato di destra che votava 5 stelle sia già tornato a destra. E sono convinto che il bipolarismo sarà il futuro del Paese».

Anche con il proporzionale?

«Con il proporzionale abbiamo avuto per 50 anni il bipolarismo Dc-Pci, con il maggioritario frammentazione, cambi di governo, fibrillazioni. È la politica che crea il bipolarismo, inesorabile in questa fase perché fondato su valori alternativi. E avverto una cosa che mi preoccupa: il campo del centrodestra è cambiato e si è riscostituito, il nostro no».

Di Maio propone ancora temi populisti e sovranisti.

«Lo vedo, ma non è un motivo per noi per cambiare idea. Penso che Luigi avrebbe più vantaggio a cercare di interpretare quello che i suoi elettori, mescolandosi ai nostri nelle piazze, già gli dicono».

Hanno scelto di correre contro il Pd alle regionali. Hanno sbagliato?

«Lo diranno i loro elettori. Sanno che in Emilia scegli o Bonaccini o Borgonzoni. Non faccio un appello strumentale al voto utile, che non serve, ma la diversità c’è eccome. Lo ha detto anche Beppe Grillo».

Grillo appare, poi torna Di Battista e il messaggio cambia.

«I percorsi di cambiamento non sono mai lineari. Questa alleanza è nata a settembre: va fatta maturare. E il Pd non deve mettersi in una gara quotidiana alla visibilità, ma mostrarsi per quello che è: una forza responsabile che risolve i problemi usando la grande dote della pazienza». C’è un limite a questa pazienza? «Come tutte le cose della vita, ma non bisogna fermarsi alla prima difficoltà. È un percorso inesorabile e la prova è che Salvini sta provando a smontarlo».

Che credibilità ha la proposta di un comitato di salvezza nazionale?

«Nessuna. Penso abbia capito una cosa che non tutti nel nostro campo hanno capito. Lavorando insieme, al di là degli incidenti di percorso, i mondi 5 stelle e Pd si stanno saldando. I parlamentari lavorano benissimo insieme. Negli elettori l’ostilità reciproca si è placata. Salvini lo ha avvertito e sta cercando di rompere questo schema con una proposta che va respinta al mittente in due secondi. Si può parlare con la Lega solo di legge elettorale, perché le regole si fanno con gli avversari. Tutto il resto non esiste e non esisterà mai perché la distanza sui valori è siderale e incolmabile».

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