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Gori: l’idea di un accordo di qualsiasi tipo con i 5 Stelle per noi è totalmente priva di senso politico

Giorgio Gori, il Pd è a un bivio: se c’è l’incarico a Fico dialogo con M5S, o ancora «tocca a loro» come dice Renzi?

«Io penso tocchi assolutamente a loro, e credo che ci siano concrete possibilità che l’accordo tra 5 Stelle e Lega vada in porto. Stanno solo aspettando le regionali del Friuli. Ma a parte questo, l’idea di un accordo di qualsiasi tipo con i 5 Stelle per noi è totalmente priva di senso politico. Hanno detto che il Pd era il male dell’Italia, un partito di mafiosi… Sarei molto a disagio se il mio partito accettasse di fare un governo con loro».

Ma ormai in molti da Emiliano, Orlando fino a Veltroni e Sala dicono che un confronto con i 5 Stelle va avviato…

«Ho visto, ma non sono per nulla d’accordo. Io penso che i 5 Stelle siano un elemento totalmente cangiante, privo di una propria idea, che aggiorna le proprie posizioni in base a quello che un algoritmo sul web gli dice di fare. Possono sembrare di sinistra oggi, e domani apparire assolutamente il contrario. Possono “sbianchettare” pezzi di programma, diventare improvvisamente europeisti e filoatlantici, ma io ricordo quello che diceva Di Maio fino a qualche settimana fa…».

Ma se si dovesse decidere su un governo del presidente sostenuto anche dai 5 Stelle?

«Anche la formula del governo del presidente penso sia molto equivoca. I veti di queste settimane si riproporrebbero, alla fine saremmo di nuovo noi e i 5 Stelle. E credo che sia impensabile, siamo totalmente alternativi come idea della democrazia. Tocca a loro, ed è anche giusto: sennò non c’è mai un momento di prova delle cose che si dicono. Noi abbiamo governato per sette anni, credo si sia fatto un buon lavoro. Chi in questo tempo ha promesso “la qualunque” ora è chiamato a far vedere cosa farà».

Messa così sembra una ripicca…

«No, non è una ripicca: è nelle regole base della democrazia. Noi invece abbiamo molto bisogno di un tempo di elaborazione, nella sconfitta del 4 marzo c’è anche un difetto di lettura delle cose che stanno succedendo nel mondo. Dobbiamo ragionare su globalizzazione, immigrazione, trasformazione del lavoro… Tutte queste cose richiedono un pensiero nuovo. Capisco che ci sono le consultazioni per la formazione del governo, è stato giusto spostare l’assemblea nazionale. Ma la discussione va fatta».

Ma come e da chi deve ripartire il Pd? Renzi ha annunciato una nuova Leopolda, evidentemente non intende fare solo il «senatore di Scandicci»…

«Eh… Non lo so, penso che Renzi abbia sicuramente ancora molto da dire, ma forse non a questo giro. Penso possa essere utile anche a lui un tempo in cui ci sia qualcun altro esposto, visto che lui lo è stato per molti anni. Però non credo si debba rinnegare ciò che è stato fatto».

Invece nel Pd, a dieci anni dalla nascita, si intravedono due linee: qualcuno parla di una «en Marche» versione italiana, altri sembrano voler archiviare la parentesi renziana.

«Io sono certamente tra quelli che non hanno nessuna nostalgia, non auspico assolutamente un ritorno al passato. Il Pd attraverso l’iniziativa di Renzi ha fatto certamente passi avanti, questa cosa però va radicata. Il lavoro di organizzazione, la cura del partito è stata molto… limitata, in questi anni. Diciamo così. E nella primavera 2019 abbiamo le elezioni europee, il tema Europa ci deve connotare con grande forza. Nessun altro partito può dirsi europeista come noi. Un po’ come ha fatto Macron».

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