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Bettini: “Andiamo a riprenderci il nostro popolo”

Tutti la considerano il maestro di Nicola Zingaretti.

 
«Non c’è persona a cui io abbia dedicato più tempo in tutta la mia vita».
 

E come mai proprio lui?

 
«La sua vocazione per la politica».
 

Proviamo a dire la sua dote più grande.

 
«Una sensibilità interiore che gli fa capire prima tutti i movimenti delle persone intorno a lui: è come un gatto».
 

Cioè?

 
«Ha l’intelligenza naturale che ti fa sapere sempre come stanno le cose».
 

E non l’hanno tutti i leader?

 
«Nooo! Alcuni sono addirittura ciechi. Il che li aiuta molto nel tempo breve e li porta alla rovina nel lungo periodo».
 

Perché?

 
«Hai una forza enorme e non defletti nell’ascesa. Poi però, sei come cieco e diventi un pallone gonfiato».
 

Mi dica un difetto, però.

 
«Una certa prudenza, talvolta eccessiva».
 

I suoi critici dicono che ha tentennato troppo e non ha voluto sfidare Renzi.

 
«Ha voluto fare l’amministratore, per radicarsi nel mondo reale. Però non ha mai votato Renzi. Né gli ha chiesto nulla, è stato in minoranza tranquillo».
 

Poteva candidarsi prima?

 
«Ha scelto il momento migliore, questo».
 

E quando ha fatto una mossa coraggiosa?

 
«Quando si candidò alla segreteria regionale del Lazio rischiando di giocarsi la carriera nel 2006. Se perdeva era morto. Ora le racconto contro chi».
 

Goffredo Bettini è ormai un grande vecchio del Pd. Stratega, king maker di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, teorico del Pd, e da ultimo – maestro politico di Nicola Zingaretti. Nessuno, meglio di lui, può spiegare dove va il nuovo segretario.

 

Lei fa parte dei grandi borghesi che hanno fatto la scelta di vita.

 
«Mio padre, Vittorio Bettini, era un noto avvocato penalista».
 

Che mondo era il suo?

 
«Mio padre era così repubblicano che divenne avvocato dell’Edera. Spesso a casa nostra c’erano Ugo La Malfa. E Bruno Vicentini…».
 

Che tipo era La Malfa padre?

 
«La classe dirigente che oggi sembra estinta. Non ho dubbi: oggi sarebbe più a sinistra di Carlo Calenda».
 

Suo nonno cosa faceva?

 
«Era così ricco che ha vissuto esclusivamente di rendita».
 

E quella fortuna dove è finita?

 
«Papà mi ha lasciato in eredità qualcosa come un miliardo di lire».
 

Mamma mia!

 
«Soldi che ho totalmente dissipato per fare politica, dove ho campato con stipendi da funzionario».
 

Il suo stipendio nel Pci era…

 
«Al massimo un milione e mezzo».
 

E come ci finisce lei tra i comunisti?

 
«Ha presente la famosa Corazzata Potemkin che faceva dare di matto Fantozzi?».
 

Certo, Eisenstein!

 
«Bene, a me ha cambiato la vita, in senso contrario».
 

Cioè?

 
«Ero appassionato di cinema. Andai a vedere una rassegna sovietico nel circolo Campo Marzio, un circolo culturale fatto per accalappiare i giovani, nel partito, con la scusa del cineforum».
 

Funzionò?

 
«Eccome: era il 1966 e mi innamoro del Pci. Mi iscrivo. Erano quei tempi».
 

Come era il giovane Bettini?

 
«Adesso sono orripilante. Allora ero un bel ragazzo, bruno e riccioluto».
 

I suoi amici di allora?

 
«Antonio Semerari, figlio del criminologo ucciso dalla camorra. E poi Pier Carlo Padoan e Claudio Virno, miei compagni di rivista. Il fratello di Claudio, Paolo, lambiva il terrorismo. Erano tempi così».
 

Che rivista?

 
«Punti settanta: la facevamo noi tre: bianco e nero, articoli dotti, lunghi e così palloso da spararsi nei coglioni!».
 

Come diventa dirigente?

 
«Arriva Luigi Petroselli da Viterbo, come commissario, per normalizzare la federazione di Roma. E butta in pista la nostra generazione».
 

La promuove?

 
«Non subito. Mi dice: “C’è la persona adatta per seguirti. Presentati dal compagno Gianni Borgna”».
 

Intuizione geniale. E Borgna dove stava?

 
«Questa è meravigliosa. Lui era segretario della sezione Monte Mario. Io giravo sempre con la Renault e Gigi e lo raggiungo».
 

Chi era Gigi?

 
«Il mio inseparabile cane lupo. Comunque ecco l’incontro folgorante. Entro in sezione. C’è Borgna, che era non altissimo, diciamo, che con un colbacco di visone in testa arringa una platea».
 

Iscritti?

 
«Macché! Un gruppo di malati del Santa Maria della pietà».
 

Il manicomio li vicino???

 
«Si. Erano i tempi della democrazia di base e dell’apostolato militante. Si faceva persino questo».
 

E di che parlava?

 
«Di politica estera! Gigi capisce l’assurdità del tutto, si innervosisce e inizia ad abbaiare».
 

Disastro?

 
«Scoppia un parapiglia, i matti cominciano ad urlare e scappano».
 

E Borgna?

 
«Continua imperterrito. Uno di loro mi prende la mano e mi fa: “Io me ne torno al Santa Maria che qui è un manicomio!”».
 

E poi c’è il suo rapporto con Massimo D’Alema.

 
«È stato il mio segretario della Fgci, l’amico di una vita. Ma vorrei raccontare com’è in un solo aneddoto».
 

Difficile.

 
«Andammo in Spagna: dormivamo insieme in una sola stanza, perché la Fgci aveva pochi soldi. Lui era a letto con un saggio in mano».
 

E che succede?

 
«Gli dico: “Massimo, parliamo?”».
 

E D’Alema?

 
«Mi guarda di sottecchi: “Preferirei di no. Quando non si ha nessuno con cui si può discutere in maniera intelligente, leggere può essere la cosa migliore”».
 

Ma scherzava?

 
«Mah… Direi di no. Era fatto così, già allora».
 

Lei diventa segretario quando l’alternativa poteva essere Veltroni.

 
«Un giorno tornammo da un pranzo al ghetto, dal Pompiere. Mi disse: “Goffredo, io mi faccio indietro. Tocca a te”».
 

E Zingaretti?

 
«Lo scopro dopo la sconfitta di Vetere, quando perdiamo Roma».
 

Dove?

 
«In una riunione della sua sezione al Laurentino».
 

E cosa nota in lui?

 
«Le due grandi leve: curiosità e intelligenza».
 

Lei poi divenne il Richelieu del Pci, l’inventore delle candidature di Rutelli e di Veltroni.

 
«Fatti veri. Ma nell’immagine del Richelieu non mi riconosco. Dopo la fine del Pci, per dire, ho combattuto per tre anni contro la depressione. Angoscia per un mondo che era finito».
 

La grande battaglia di Zingaretti nel Lazio contro chi è stata?

 
«Contro gli orfiniani».
 

Allora come oggi.

 
«Orfini è un dirigente interessante. Combatte sempre».
 

Aneddoto su Zingaretti?

 
«Quando vengo eletto segretario, dopo la svolta leggo una relazione che viene osannata».
 

Lui era l’uomo a lei più vicino.

 
«E fu l’unico a criticarmi. Forse confidando nel rapporto che avevamo».
 

Mi dica un difetto.

 
«Ha il braccino corto».
 

Cioè è taccagno?

 
«Con me sì».
 

Un errore che ha fatto?

 
«È andato in Europa a fare il deputato. Tempo sprecato».
 

Nicola è più a sinistra o più a destra di lei?

 
«Più a destra. Ma è un classico quadro berligueriano».
 

Lo ha consigliato per la sua campagna delle primarie?

 
«Sì. E ho concordato pienamente con la sua scelta: parlare solo di politica».
 

Cosa ha bucato?

 
«L’atteggiamento. E il messaggio di voltare pagina rispetto al renzismo senza recriminazioni».
 

Cosa hanno sbagliato gli altri?

 
«Maurizio Martina non diceva nulla. Roberto Giachetti diceva solo cose contro. Ma la politica non è dire no. Costruire il sì».
 

Facciamo il punto sulla segreteria e la politica.

 
«Nicola deve essere pragmatico, aperto, inclusivo».
 

E cosa deve fare?

 
«Una sola parola d’ordine: “Andiamoci a riprenderci il nostro popolo”».
 

2,5 milioni di voti andati al M5s.

 
«Loro non sono il nemico. Il nemico è Matteo Salvini».
 

Cosa pensa del Reddito di cittadinanza?

 
«Le famiglie povere mettono insieme tutto quello che entra in casa. E il Reddito oggi fa la differenza fra dignità e povertà».
 

Quindi non va combattuto?

 
«Sarebbe folle. Come il Pci con le riforme del centrosinistra bisogna dire: “Fallo meglio!”» Perché avete perso?

 
«Il Pd guardava il mondo dall’alto, con il binocolo e ha perso di vista le persone reali. Ora va rimesso al centro quello che non abbiamo visto».
 

La rabbia?

 
«Abbiamo schifato la rabbia. E invece – lo dissi a Renzi in direzione – la rabbia va attraversata».
 

Perché avete fatto questo errore?

 
«Parlavano di eccellenze, di buongoverno. E non vedevano più la povertà».
 

Dica qualcosa di sinistra.

 
«Non considero la patrimoniale una parolaccia».
 

Il Pd cosa può essere?

 
«Il motore di un campo che va anche oltre di noi».
 

Cosa vede nel futuro?

 
«L’Italia si sta salvinizzando. La destra si sta salvinizzando. L’unica alternativa nasce intorno a noi».
 

E Renzi? Meglio dentro o fuori?

 
«Nicola ha detto che è felice se resta. Se però se ne va non deve essere un nemico ma un alleato».
 

Sicuro?

 
«È il popolo della sinistra che lo vuole. Non bisogna creare conflittualità. Se fa un partito alleiamoci con lui domani».
 

Il M5s cosa è?

 
«Antipolitica, confusionaria: dentro hanno tutto e il contrario di tutto. Si spaccheranno perché non sono strutturati per reggere. E i nostri voti torneranno a casa».

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