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Renzi: “Nell’attacco web a Mattarella, la responsabilità politica è del M5S”

«C’è in giro in Italia cultura del manganello online e dell’odio che è stata ingegnerizzata, organizzata, e la responsabilità politica è chiara, dei 5 stelle e della Lega», dice Matteo Renzi alla Stampa.
Ieri l’ex premier ha assistito a Torino alla messa in ricordo di Sergio Marchionne («sono venuto a Torino per omaggiare un grande italiano. Mi è dispiaciuto non vedere nessun esponente del governo: la figura di Marchionne avrebbe meritano una presenza»). Poi ha partecipato a un lungo forum al nostro giornale, condotto dal direttore Maurizio Molinari, dai vicedirettori e dai giornalisti politici.
Ha parlato di tante cose, ma innanzitutto delle «strutture dell’odio». Citando un caso specifico: la notte dell’assalto squadrista web contro Mattarella.

Cosa è successo quella notte?
«Nell’operazione contro Sergio Mattarella, i troll che hanno minacciato e insultato online il presidente della Repubblica non li hanno fatti i russi, sono stati fatti in Italia»

Sta dicendo che M5S e Lega sono i mandanti politici?
«Sul caso Mattarella c’è un’indagine in corso, e sulle responsabilità giudiziarie bisogna rispettare il magistrato. Ma la responsabilità politica è del M5S. L’ultima domenica di maggio, il 27, mentre Di Maio in diretta tv da Fabio Fazio annunciava che il M55 avrebbe chiesto l’impeachment per Mattarella, e contemporaneamente decollavano alcuni hashtag con tweet violenti e pericolosissimi, si è scatenata un’aggressione online senza precedenti contro il presidente della Repubblica. La responsabilità politica è chiara».

Lei parla di ingegnerizzazione dell’odio che ha distrutto i nemici del populismo. Non crede però che un’alternativa al nazionalpopulismo di Lega e M5S sia difficile da costruire su modelli come quello di Emmanuel Macron, uno dei più devastati dalla propaganda online dei populisti, la stessa che ha distrutto la Clinton?
«Intanto va detto che tutto questo odio è stato costruito. Ricordo quando Obama mi disse che una delle cose più belle di John McCain era stato come lo aveva riconosciuto vincitore, con fair play e dignità. Ecco, tutto questo è stato distrutto. E anche Macron viene infangato da propagande coordinate».

Dici Macron e molti in Italia pensano ormai a qualcosa di antipopolare, elitario, non vede il rischio?
«Ma io non penso a fare un modello Macron italiano, anche per un motivo molto semplice: in Francia Macron ha avuto un establishment che ha lottato e si è battuto contro i populisti-xenofobi. In Italia il nostro establishment ha spianato la strada ai populisti, e rotto l’unico argine che rimaneva sulla loro strada, il Pd. Rivendico con orgoglio di esser stato parte di quell’argine. L’establishment ci avrebbe voluto far capitolare e sottomettere al M5S».

In Europa non potreste fare da subito un fronte comune contro i nazionalpopulisti, con Pse, Macron, Alde, verdi?
«Sicuramente sì; anche se non penso possa proporlo un ex premier italiano. Io vorrei dentro anche Tsipras, un fronte da Macron a Tsipras. Se ci sarà un candidato socialista, vorrei uno capace di dialogare con tutti, uno come Frans Timmermans, di cui abbiamo parlato anche con Minniti di recente, sarebbe un ottimo candidato».

In Italia pensa che il ciclo di questo governo sarà di una legislatura intera?
«Il consenso del governo non durerà, ma la crisi non la fanno, state certi. Hanno i modi di occupazione delle poltrone del pentapartito, senza averne però la statura politica. Guardiamo i dati, dopo sei mesi quali sono le certezze? Che la produzione industriale scende, lo spread sale, Draghi ci avverte che le parole del governo hanno fatto danni, avremo 8 miliardi in più da pagare (sei per interessi sugli spread, due derivanti da mancata crescita). Ma loro resteranno attaccati alle poltrone».

A quali condizioni il Pd è disposto a sostenere Tria, l’elemento di moderazione di questo governo, sulla manovra?
«Questo non sta nelle regole del gioco, noi non sosterremo Tria, e non avremmo neanche i numeri. Io non faccio l’accordo con quelli dei vaccini, del manganello online, degli spread, della xenofobia. Non faccio l’accordo con quelli dell’esperimento sociale sulla pelle degli italiani. Ma penso che troveranno un accordo: le poltrone fanno troppo gola. E Tria non si dimetterà, del resto non possono mandarlo via, i mercati impazzirebbero. A meno che non intervenga a rassicurarli la ministra Lezzi, quella del pil che cresceva per via dei condizionatori d’estate».

Eppure i vostri elettori di centrosinistra non vi votano più, questo problema deve porselo, e sembrano affascinati dalla promessa di lotta alle disuguaglianze del M5S.
«Ma cos’hanno fatto di concreto contro le disuguaglianze?».

Il decreto dignità, risponderebbero.
«Un decreto che, per loro stessa ammissione, fa perdere 80 mila posti di lavoro. Okay, erano a tempo determinato, ma meglio che rimanere fuori. Parlavo con un albergatore importante, non a Torino, e mi ha detto che solo lui ha dovuto lasciare a casa 30 persone. Di Maio odia il lavoro. Ama i poveri nel senso che vuole più poveri. Il M5S è figlio di una cultura ideologica che mette i bastoni tra le ruote a chi lavora».

Salvini però cresce, ha un modello che può non piacere, ma si presenta come rivoluzionario, e prende voti anche a sinistra, nelle periferie. Come invertire questa rotta?
«Sono i cicli della politica; ma voglio dire, cosa avrebbero detto a noi se avessimo rubato 49 milioni? E gli elettori onesti, tantissimi del M5S, come possono attaccare noi per Consip, dove non è girato un euro di appalto, e chiudere gli occhi su chi ha rubato 49 milioni? Del resto Di Maio pretese in 5 minuti le dimissioni di Alfano, una persona pacata e leale, disse che il ministro dell’interno non poteva essere un indagato per abuso d’ufficio, e ora non dice nulla su un ministro dell’interno indagato per sequestro di persona? Onestà onestà».

In questa insofferenza degli italiani verso il Pd non pesano i suoi errori, la sua sovraesposizione, i suoi modi, quella che con una battuta alcuni chiamano la sua «tradizionale ritrosia»?
Renzi sorride: «Sicuramente, il mio carattere, così umile, autocritico, schivo, ha aiutato molto».

Il Pd può ricominciare, o è un partito finito?
«Ci vorrà tempo. Al partito serve un leader, e non sono io, che deve guidare, che sappia anche personalizzare: basta col troppo buonismo. Ma io sono orgoglioso di un Pd che, per esempio, ieri notte in aula ha combattuto in aula, da solo, contro chi sta affossando i vaccini in Italia. Siamo pronti a fare i comitati civici di resistenza, non è affatto importante chi sia il leader: per questo ho ricominciato a girare. Per dire alle persone “non rassegniamoci”».

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