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Ius soli, Zanda: per noi è una priorità, ci sono tre mesi per dire sì alla legge

Non ci sono più le condizioni per approvare lo ius soli. D’accordo con Renzi, Luigi Zanda, capogruppo Pd al Senato?

«Bisogna stare molto attenti a non alzare troppo i toni. Sui diritti civili in questa legislatura il centrosinistra ha fatto tantissimo: reato di tortura, legge sul dopo di noi, divorzio breve, unioni civili. Mancano almeno due provvedimenti per completare l’ultimo miglio: ius soli e fine vita. Sono due testi molto equilibrati, solidi nell’impianto. Farò tutto il possibile perché vadano in aula con una maggioranza sicura».

 

Appunto, dato che non c’è, difficile vadano in porto.

«Senza il 51 per cento le leggi non si fanno. Il mio parere è che questa legislatura finirà non prima di febbraio-marzo del 2018. I due provvedimenti per noi mantengono una priorità assoluta e prima o subito dopo la legge di bilancio ritengo ci sia il tempo per approvarli. E li approveremo».

 

Anche se il suo collega alla Camera Rosato sostiene che dopo il bilancio la legislatura sarà «ragionevolmente finita»?

«Io penso invece che proseguirà ancora per tre o quattro mesi utili per approvare provvedimenti maturi da molto tempo».

 

Il rinvio dello ius soli è dipeso anche dal rischio crisi di governo in caso di fiducia. Quel rischio resta.

«Il testo è stato rinviato perché il partito di Alfano ha chiesto di non discuterlo in quella fase, ma non ha mai rinnegato il voto della Camera, dove i suoi deputati lo hanno votato. E approvato».

 

Non pensa che in questo clima anche la manovra sia a rischio, in quel caso per le resistenze di Mdp?

«La legge di bilancio è stata ben preparata con la manovrina di due mesi fa. Dopo la scissione, sulle grandi questioni l’Mdp al Senato si è comportato con senso di responsabilità. Continuerà a farlo».

 

E confida anche nel dialogo con Pisapia, in vista del voto?

«Giuliano Pisapia resta un interlocutore molto serio. Il punto è che parlando di alleanze possibili perfino Laura Boldrini, presidente della Camera, sostiene che il loro movimento non ha la medesima visione del Pd. La mia propensione favorevole verso Pisapia resta. Ma per fare una squadra bisogna essere almeno in due».

 

La Camera ritenterà da settembre la riforma della legge elettorale. Lei è ottimista?

«Resto dell’opinione che il miglior punto di atterraggio sarebbe il Mattarellum, legge di equilibrio che ha visto affermarsi negli anni tanto il centrodestra quanto il centrosinistra. Se non ci dovessero essere le condizioni, dobbiamo invece virare verso un proporzionale come il tedesco. Ed è ragionevole pensare a un premio che possa aiutare seriamente la governabilità».

 

I vostri avversari grillini alle prese con la crisi della loro democrazia digitale. Cantate vittoria, dopo i loro attacchi alle vostre primarie?

«È in gioco la natura della nostra democrazia: le incursioni di Grillo e Casaleggio a Roma e la penetrabilità di Rousseau mostrano la vera faccia di quella che loro chiamano democrazia diretta cioè diretta non dai cittadini ma da fuori, dalla Casaleggio&Associati e da un personaggio dello spettacolo».

 

È il sistema di consultazione interna di uno dei due grandi partiti italiani però.

«Io non mi rassegno a un cambio di sistema democratico. La democrazia del clic è una formula di destra. Più che populista, direi plebiscitaria. Una formula che evoca le grandi adunate di Piazza Venezia, che certo non erano espressione di democrazia».

 

Come giudica l’operato del governo nel braccio di ferro che si è innescato con la Francia di Macron, su politiche industriali e migranti?

«Il governo Gentiloni si è comportato nella maniera più corretta. Resta il fatto che con la nazionalizzazione dei cantieri francesi e col rifiuto di accogliere i migranti nei suoi porti, Macron mostra di lavorare a un’idea di Europa intergovernativa anziché federale. Quasi un’Europa al servizio della Francia, della quale né l’Italia né gli altri Paese avvertono alcun bisogno»

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