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Martina: “Io, leader a tempo pieno posso unire il PD col riformismo radicale”

Maurizio Martina passa da un congresso di circolo all’altro: ieri Como, Busto Arsizio, Lecco, Monza, la Lombardia dove fu segretario regionale del Pd ai tempi di Pier Luigi Bersani. Oggi tocca a Verona e Vicenza, mercoledì invece sarà a Genova per ricordare Guido Rossa.

Cosa dicono gli ultimi dati a vostra disposizione?

«Siamo fiduciosi, senza fare la guerra delle cifre spero tanto che possa crescere la partecipazione anche per le primarie del 3 marzo. Lavoriamo tutti perché tanti partecipino. È faticoso ma è il bello di un partito che fa confrontare le persone in carne e ossa».

Che clima sta trovando?

«La voglia assoluta di lavorare uniti è il sentimento prevalente, per un partito alternativo in tutto e per tutto a Lega e M5S».

Quei voti “turborenziani” di Roberto Giachetti rischiano di giocarle un bello scherzo…

«Io sento che la proposta che sto mettendo in campo è forte. Il nostro progetto può riconciliare il partito, senza nostalgie né rancori. Serve un riformismo radicale, riprendendo in mano le battaglie di equità e giustizia, coniugando unità e pluralità nel Pd».

Senta, ma a Matteo Renzi interessa questo congresso?

«Ciascuno partecipa al congresso come ritiene. Però dobbiamo uscire dall’ossessione renziani contro anti-renziani. Conta il tornare a fare un lavoro nella società».

Cosa ne pensa del tweet di Maria Elena Boschi sulla “vita in vacanza”, a proposito del reddito di cittadinanza?

«Per me l’impegno che abbiamo davanti è dimostrare l’errore che il governo ha fatto con il reddito di cittadinanza così com’è stato pensato. La nostra sfida è dimostrare come si può fare meglio con quelle risorse».

Non basta un tweet dice lei…

«So che dobbiamo confrontarci corpo a corpo con le persone. È il lavoro la vera sfida della cittadinanza».

A proposito dell’appello di Carlo Calenda, Enrico Letta dice che il frontismo antipopulista è un favore proprio ai populisti.

«Quel manifesto offre una prospettiva interessante e utile per tutti. Non si tratta di costruire fronti “anti” ma di lavorare ad un progetto aperto per una nuova Europa sociale».

Anche Enrico Rossi ha firmato l’appello: i suoi ex compagni di Mpd possono rientrarci?

«È il presidente della Toscana. Non pieghiamo tutto a logiche politiciste. Piuttosto, usiamo le primarie non solo per scegliere il segretario ma per lanciare una mobilitazione per le Europee che possa arruolare specie i giovani».

Qual è la differenza principale tra lei e Zingaretti?

«Penso che il segretario debba fare solo il segretario. La nostra proposta è la più utile e forte per riconciliare il partito e rilanciare la sfida riformista. Siamo tornati in alcuni luoghi che hanno detto molto della rottura tra noi e il Paese, cercando di ricostruire rapporti interrotti. Si tratta di andare avanti».

I sondaggi dicono che l’opposizione del Pd, comunque, non decolla. Perché?

«Sono convinto che lo spazio dell’alternativa sia più grande di quel che vediamo. Le primarie partecipate possono aiutarci ad aprire una nuova sta ione, il potenziale è enorme. Ad esempio la piazza Sì Tav di Torino mi ha fatto respirare la mobilita zinne di cittadini oltre i partiti che chiedono nuovi modelli di sviluppo».

Molti dirigenti che la appoggiano dicono che il Pd non deve chiedere scusa di nulla per i suoi anni al governo. Hanno torto gli elettori?

«No, nessuno di noi ha mai pensato questo. Dobbiamo tenere insieme orgoglio e inquietudine per quella esperienza. Sono altri che rinnegano o santificano tutto».

Vedendo il M55 travolto dalla Lega, non le fa ancor più effetto aver subito la decisione di non dialogare nemmeno per la formazione di un governo dopo il 4 marzo?

«No. Le condizioni per il dialogo non ci sono più ed erano impraticabili sin dall’inizio. Ricordo che dopo hanno persino chiesto l’impeachment del presidente della Repubblica. Altra cosa è ragionare degli elettori di Lega e M5S. La frattura coi ceti produttivi ad esempio c’è ed è reale. O pensi alla strage di oggi nel Mediterraneo, si dà la colpa alle ong, quando ci si dimentica che l’umanità viene prima di ogni cosa: su questi temi c’è smarrimento».

Cosa pensò quando nel 2016 Renzi tolse la bandiera Ue alle sue spalle a favore dei tricolori?

«Era una provocazione nei giorni post sisma quando scrivevano lettere burocratiche. Oggi su lavoro, casa, istruzione e salute, serve ancora una svolta all’Europa, intesa come comunità di destino».

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