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Orlando: “Una maggioranza tiene quando ha un obiettivo forte”

Vicesegretario Andrea Orlando, la manovra sta in piedi anche senza sugar e plastic tax?

«Sì, gli obiettivi fondamentali sono stati centrati, nonostante l’eredità pesantissima del governo precedente. Abbiamo evitato l’aumento dell’Iva, incrementato i trasferimenti ai Comuni e la spesa sociale, per la sanità, gli asili nido e la non autosufficienza. Si è iniziato un percorso redistributivo con la riduzione della pressione fiscale sul reddito da lavoro. Quanto a sugar e plastic tax, l’obiettivo di riorientare i consumi e la produzione resta. Vogliamo spostare il carico fiscale su condotte più sostenibili, dando tempo alle imprese per adeguarsi».

Conte è costretto a convocare vertici su vertici per sedare le liti. Come va avanti un governo così?

«Una maggioranza tiene quando ha un obiettivo forte. Dopo la manovra, o a gennaio, si ridetermineranno altri obiettivi aumentando l’ambizione riformista, o sarà la “verticite” ad aumentare. E puerile cercare di dare la colpa agli altri. Quando non c’è un obiettivo condiviso le fibrillazioni sono inevitabili, anche se il Pd con forte spirito zen non ne ha prodotte».

Renzi minaccia il voto e poi canta vittoria: siete finiti nella sua trappola?

«Penso abbia vinto l’Italia. La medaglia che dobbiamo appuntarci al petto è aver evitato l’aumento dell’Iva, che avrebbe portato alla recessione. Se c’è qualcuno che si consola con le medaglie di latta, si accomodi. L’idea che qualcuno voglia ridurre le tasse e altri no a prescindere, è una mistificazione. Il taglio più consistente sulle tasse lo abbiamo voluto e difeso noi ed è la riduzione di tre miliardi della tassazione sulla busta paga».

Conte che corre al Colle, non è un altro segnale d’allarme?

«Il Quirinale svolge la sua funzione di arbitro e si fa carico dell’esigenza che la lettura della manovra avvenga nelle forme più proprie. Mi auguro che, d’ora in avanti, ci sia maggiore responsabilità. Dobbiamo evitare i ritardi del governo gialloverde, che tanto abbiamo criticato».

La sua proposta sulla prescrizione?

«Lavoriamo a un’intesa, sapendo che per noi la stella polare è tenere insieme vigenza della prescrizione e tempi certi del processo. Proporremo una soluzione che possa rappresentare una quadratura del cerchio e su cui in settimana cominceremo a confrontarci. Ricordo che l’attuale squilibrio è frutto di una scelta del ministro Bonafede, realizzata anche con i voti di Salvini. Vogliamo sbloccare l’impasse, anche perché la riforma del processo proposta contiene molte cose buone».

Di Maio è uno dei problemi?

«La domanda è se Di Maio pensi di Conte ancora quello che pensava quando lo ha proposto premier. Perché in una coalizione, con forze molto diverse, il presidente del Consiglio è il punto di equilibrio. Se è venuta meno la fiducia sarebbe più onesto intellettualmente dirlo, così che si possano produrre altre forme di gestione delle tensioni».

E se i ribelli del M5S riuscissero a cambiare il leader?

«Il governo beneficerebbe di un chiarimento all’interno del M5S, il come sta a loro deciderlo. La conflittualità sotto il pelo dell’acqua che registriamo è più il riflesso di una sorta di congresso interno che di ricerca del consenso, o degli interessi del Paese».

Di Maio guarda a Salvini e Renzi alle urne. Uno dei due romperà dopo la legge di Bilancio?

«Non hanno interessi né Renzi a votare, né Di Maio a tornare con Salvini, il quale ha appena chiuso un accordo organico con Meloni e Berlusconi. Siamo sempre dentro il giochino delle minacce, della ricerca di visibilità e dei segnali indiretti. Senza rendersi conto che così si rischia di arrivare alle elezioni, quasi inavvertitamente».

Se il Pd non ha fretta di andare al voto, perché rinunciare al maggioritario pur di accordarsi sulla legge elettorale?

«Noi abbiamo scommesso sul governo con convinzione, ma non abbiamo paura del voto, siamo la forza che ha meno da perdere. La legge elettorale va fatta dopo la riduzione del numero dei parlamentari. Non abbiamo rinunciato al maggioritario, ma cerchiamo una strada che non spacchi la coalizione, senza escludere un rapporto con le opposizioni. Il che porta a un proporzionale che salvaguardi quanto più possibile il bipolarismo».

Il dialogo tra Renzi e Salvini è un’altra minaccia?

«Prendo atto delle smentite. Ma se si vuole durare e fare bisogna che prevalga lo spirito di coalizione. E segnalo con rammarico che, se non ci fossero state le scissioni, il Pd sarebbe, stando ai sondaggi, tra il 25% e il 27%, in lizza per essere il primo partito».

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