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Ricci: “L’Italia candidi Segre al Nobel per la pace”

«Il Parlamento italiano candidi Liliana Segre al premio Nobel per la pace per il 2020». Reduce dalla manifestazione milanese dei 600 sindaci, di cui è stato uno dei promotori, il dem Matteo Ricci lancia la proposta. Nel suo ufficio di primo cittadino a Pesaro, la lampada a olio che gli hanno regalato i minatori di Charleroi dove ha lavorato suo nonno è una sorta di giuramento: non dimenticare le discriminazioni, la fatica e il dolore vissuti dagli emigranti italiani.

Ricci, la manifestazione dei 600 sindaci a Milano attorno a Liliana Segre contro l’odio, l’antisemitismo e il razzismo, è stata un successo inatteso?

«È ancora forte l’emozione. L’Italia attraverso i sindaci si è ritrovata unita attorno a Liliana Segre e alla sua battaglia culturale e di futuro. Liliana è diventata un simbolo, una rappresentazione autorevole della Repubblica e della Costituzione. La piazza è andata al di là delle aspettative sia per le presenze, che per il senso di comunità che ha trasmesso».

 

E non finisce qui?

«Adesso tocca al Parlamento fare la sua parte. Invierò una lettera, come sindaco di Pesaro e come uno dei promotori di quella piazza, ai presidenti di Camera e Senato e a tutti i gruppi parlamentari, per chiedere che il Parlamento candidi Liliana Segre per il premio Nobel per la pace 2020».

 

Come nasce l’idea?

«Le persone hanno bisogno di simboli ed esempi positivi e il discorso sull’amore di Liliana è davvero un trattato universale. Del resto la sua battaglia contro l’odio e l’intolleranza, contro il razzismo e l’antisemitismo serve non solo all’Italia, ma al mondo. Ovunque i germi dell’intolleranza razziale o religiosa riemergono e i social sono diventati amplificatori degli odiatori seriali e strumento di propaganda delle forze neofasciste e neonaziste».

 

Segre come testimone universale, quindi?

«Il messaggio di Liliana è universale, e l’attenzione dei media internazionali non è un caso. Inoltre da tanti anni Liliana fa un lavoro straordinario nelle scuole sulla memoria della Shoah».

 

Ma come mai lei si sta impegnando tanto?

«Ho conosciuto Liliana Segre perché trascorre l’estate a Pesaro, che del resto dieci anni fa le ha dato la cittadinanza onoraria. E poi sa, la prima manifestazione politica che ho organizzato da studente, me lo hanno ricordato in questi giorni, fu nel 1992 proprio contro le discriminazioni e il razzismo. Mio nonno era appena morto di silicosi, la malattia di chi ha lavorato nelle miniere di carbone. Lui era stato minatore a Charleroi e in Belgio era emigrata tutta la famiglia. Dovunque mi sia trasferito, ho portato sempre con me la lampada a olio regalatami dai minatori di Charleroi.Quella della mia famiglia è una storia di emigrazione, di chi ha vissuto sulla propria pelle la discriminazione. Forse, chi vuole andare lontano deve sapere da dove proviene».

 

È sicuro che le forze politiche non si dividano? Se l’immagina la destra di Salvini e Meloni farsi promotrice dell’iniziativa?

«Me lo auguro. Mi auguro che abbiano lo stesso senso di responsabilità che hanno avuto i sindaci della Lega e di Fratelli d’Italia che hanno aderito alla piazza milanese. Il Parlamento dovrebbe seguire l’esempio dei sindaci che, uniti, hanno dimostrato che sui valori fondanti non si scherza e che la propaganda ha un limite. Le nuove generazioni hanno fame di valori e hanno bisogno di modelli. L’Italia ha la fortuna di avere una donna straordinaria come Liliana Segre, un faro per il futuro dei ragazzi e delle ragazze».

 

Come si fa crescere il consenso attorno a questa proposta?

«Per fare crescere la candidatura nella società sarebbe davvero importante un sostegno diffuso nel mondo culturale, economico e sociale del Paese. I sindaci sicuramente faranno la propria parte. Poi spetta al Parlamento, anche per il regolamento sul premio, avanzare la candidatura. Noi, intanto, proseguiremo la battaglia di Liliana nelle nostre città».

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