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Veltroni: “Ora subito gli Stati Uniti d’Europa. Per i progressisti servono parole nuove”

«L’idea di un’Europa senza Gran Bretagna è un fatto storico che dovrebbe aprire nell’Unione una riflessione di grande respiro. O decidiamo di dare vita agli Stati Uniti d’Europa o il rischio di una involuzione del processo europeo è davvero elevato». Primo segretario del Pd, ex ministro e sindaco di Roma, oggi scrittore e regista, WalterVeltroni guarda con preoccupazione alle conseguenze delle elezioni britanniche: una Brexit da concludere al più presto, come ha promesso il vincitore Boris Johnson, «e pensare che l’Unione europea unita, con anche la Gran Bretagna, è stata una grande utopia realizzata». Ma riflette anche sulla débàcle dei Laburisti, travolti dai conservatori anche in alcuni feudi storici.

Che ragioni si dà di una sconfitta così netta della sinistra?

«C’è un trend simile della sinistra in tutto l’Occidente. Nel caso inglese la sconfitta ha a che fare con l’incertezza su queste elezioni: il fatto di non essere stati chiaramente né pro né contro l’Europa».

 

L’ambiguità spesso rimproverata a Corbyn sulla Brexit…

«Sono rimasti in una specie di terra di nessuno che ha fatto perdere loro identità. E non serve, per ritrovarla, fare ricorso a idee del Novecento, perché la società è cambiata. Non è tornando indietro che la sinistra risolverà i suoi problemi».

 

Né tornando a schemi del Novecento né alla Terza via di Blair?

«Mai nella storia umana abbiamo vissuto un cambiamento così veloce come quello degli ultimi vent’anni. L’idea che si possa prendere da una fase precedente un utensile giusto per l’oggi è solo un’illusione. Ai tempi della rivoluzione industriale, Engels per fondare le sue teorie è partito dalla ricognizione della realtà e dalle novità di quel periodo. Oggi questa riflessione non c’è. Non si fa che correre appresso a quotidiane piccole cose, esigenze di consenso a breve, mentre siamo di fronte a un gigantesco cambiamento che non si può affrontare ricorrendo a Blair o Mitterrand o Willy Brandt».

 

Qual è il suo giudizio su Corbyn?

«Non lo conosco personalmente. Concordo con Obama che qualche giorno fa ha definito illusorio pensare di risolvere i problemi di identità della sinistra scegliendo posizioni più ideologiche. La sinistra ha bisogno di una nuova radicalità che nasca però dall’analisi della società di oggi».

 

Bisogna inventarsi una Quarta via?…

«Le vie in politica sono come le repubbliche in Italia… Il problema di fondo è gigantesco. Se si eccettua Obama, rieletto nel 2012, in larga parte del mondo la sinistra è in difficoltà a interpretare i bisogni di una società atomizzata, caratterizzata da forti diseguaglianze generazionali e sociali. La sinistra fa fatica a trovare le parole».

Quali sono, secondo lei?

«Ambiente, lavoro, istruzione, le Ali della sinistra. Declinate dentro un progetto generale della società potrebbero riaccendere un fascino».

 

Le sembra che la sinistra italiana stia andando in questa direzione?

«Non so, vedremo. Ci vuole umiltà e comprensione della società, evitando di inseguire altri sul terreno dell’arroganza. Sono certo che in Italia ci sia una maggioranza che non ama l’odio, il rancore, il razzismo, le minacce a Liliana Segre, le semplificazioni. Rappresentarla è il compito della sinistra».

Renzi ha commentato in un tweet che la sinistra dura e pura è la migliore alleata della destra, e che la Brexit sarà colpa anche di questo Labour. È d’accordo?

«Non valuto un tweet. Dico però che sulla Brexit è stata in larga parte determinante la timidezza europea. Se milioni di cittadini britannici scelgono di uscire dalla Ue, questo chiama in causa l’Europa stessa».

La nuova commissione Von Der Leyen la fa ben sperare?

«Il Green new deal è una prima suggestione positiva. Ma credo occorra rivedere i meccanismi di decisione: non può essere che i Paesi euroscettici impediscano a quelli euroconvinti di far nascere l’esperienza degli Stati Uniti d’Europa con la velocità necessaria».

È sicuro che i cittadini europei lo vogliano? La sensazione è più di disaffezione che di entusiasmo…

«I cittadini europei non sopportano la condizione di eterna sospensione. Un’Europa timida, balbettante, che non sa decidere: è come un aereo in decollo permanente, che non riesce a trovare la velocità di crociera. Ma i cittadini sanno che per rapportarsi ai nuovi grandi poteri come Google o Amazon servono realtà sovranazionali: il singolo Paese davanti a questi giganti non esiste. Il destino della democrazia è legato al completamento del processo di integrazione».

 

Cosa intende dire? Lei in passato ha parlato di una fase pericolosa per la democrazia e di rischio Weimar: lo vede ancora?

«Tutte le democrazie sono in crisi: è come se, a trent’anni dalla caduta del Muro, la democrazia non riuscisse più a essere in sintonia con la velocità dei tempi. I cambiamenti di questi anni hanno determinato una sensazione di insicurezza generale, che però è in primo luogo insicurezza sociale, a cui il sovranismo fornisce risposte semplificate. La sinistra deve ritrovare la capacità di parlare agli strati popolari: se si asserraglierà nelle Ztl sarà inevitabilmente sconfitta».

Gli strati popolari sempre più spesso si rivolgono ai sovranisti, invece.

«Il sovranismo in una società globalizzata è un ossimoro. Chi storicamente ha combattuto l’insicurezza sociale è la sinistra: deve tornare a farlo nelle condizioni nuove».

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