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Zingaretti: “Basta parole divisive ai leader serve una bussola”

Dicono che una folla così, in una manifestazione del Pd, non si vedeva da tanto tempo. Ma per Nicola Zingaretti, che apre la campagna elettorale di Vincenzo
Bianconi, primo candidato unitario tra dem e grillini, esperimento ad alto rischio, nella palestra ai piedi di Perugia c’è il pienone. E un comizio è un comizio: «La terra di San Francesco non sarà mai la terra dell’odio che vuole Salvini!», grida Zingaretti.

 

LA RUSPA

E intanto la ruspa leghista si muove al massimo in questo cuore dell’Italia rossa che sta cambiando pelle, il capo lumbard s’e piazzato qui e fino al 27 ottobre non toglierà le tende (addirittura si narra che voglia affittare una casa per svernare, sulle orme di Berlusconi che a Lampedusa una villa se l’è comprata per deliziare i locali e poi c’è andato una volta soltanto), ma il Pd su scala nazionale non ha unicamente il problema di un Matteo ma anche quello dell’altro Matteo. Cioè Renzi.

«Non mi vedrete mai», premette Zingaretti, uscendo dalla macchina, «scontrarmi con Renzi e polemizzare con lui». Perché non è nel suo stile e lei è un buonista incallito? «Non si tratta di un fatto caratteriale e comportamentale. O di chissà quale altro motivo. La ragione è semplicissima. Un leader non deve dire parole divisive. La leadership, come dovrebbe essere chiaro a tutti, deve avere sempre una bussola tra le mani, che è quella dell’unità. Si va lontano, se si procede tutti insieme. Facendo polemiche, si resta fermi».

Ed è un modo chiaro, considerando la prudenza del personaggio, di schierarsi dalla parte di Conte e di Gualtieri (complimenti per entrambi: «Stanno raddrizzando la sottrazione») e non da quella di Renzi che a partorire dalla vicenda cuneo fiscale ha deciso in ogni modo di incalzare il governo.

E se nel Pd Andrea Orlando un gioco delle parti con Nicola, il poliziotto buono e il poliziotto cattivo? – va giù durissimo contro il leader scissionista di Italia Viva, il segretario dem usa altri modi e altre parole per stigmatizzare, senza attaccarlo frontalmente, l’ex compagno di partito. Osserva il segretario, mentre la folla lo aspetta per applaudirlo: «Occorre in questo Paese riattivare la speranza e non le divisioni tra di noi. Quelle i cittadini non le possono vedere. Fare le cose, ecco, e non dire parole divisive. Se ci atteniamo a questa regola, funzionerà tutto bene.

Già il governo ha recuperato un bel po’ dei danni finanziari creati dalle sparate di Salvini. Con i suoi show, i mojito, il Papeete e le raffiche di sparate e di polemiche il capo leghista ha tolto dalle tasche degli italiani 20 miliardi di euro e li ha bruciati». Sì, va bene (anzi, no) ma Renzi? Nicola non alza gli occhi al cielo, nel sentire nominare il ri vale, non fa una smorfia o un segno di fastidio. Zinga è Zinga.

Ripete: «Nessuno mi porterà a bisticciare con Renzi, perché io credo che l’Italia abbia bisogno di concentrarsi sui problemi e di capire come risolverli. La strada imboccata è quella giusta. Occorre lavorare tutti insieme. Non è che io adotto la strategia della pazienza, solo perché sono un tipo paziente con Renzi e con tutti. Credo semplicemente che da noi i cittadini vogliano dedizione alle questioni che lo riguardano, e non dobbiamo farci distrarre da altro».

E allora, Renzi o non Renzi, Umbria o Italia, la ricetta Zinga ha quella genuinità che appartiene al personaggio. «Dobbiamo stare uniti, allargare, ascoltare e coinvolgere – spiega ancora – e questo vale a livello nazionale e sul piano regionale. Qui in Umbria abbiamo lavorato bene in questo senso e vinceremo».

 

SISTEMA BLOCCATO

Il problema è che in Umbria la sinistra che ha governato da sempre, fino a venire percepita ormai come un sistema bloccato e non più efficiente, è stata travolta dagli scandali della sanità e ora bisogna ripartire da capo. Contro Salvini lanciatissimo anche se il suo vantaggio (la candidata è Donatella Tesei) si sta assottigliando e Bianconi, presidente degli albergatori umbri su cui dem e grillini si sono faticosamente incontrati, è nei sondaggi appena due punti sotto l’avversaria. Ma eccolo il Bianconi sul palco, un po’ mistico e un po’ imprenditore (solida famiglia di Norcia). «Correggeremo gli errori nella sanità», promette.

 

APPLAUSI

Applausi. C’è soltanto in un angolo un gruppetto di ragazzi grillini, senza bandiere o altri simboli di partito, che sbrigativamente osservano: «Il Pd è tornato a sinistra, e vuole stare con noi. Speriamo bene».

Il regista dell’accordo, Walter Verini, veltroniano storico, offre questa diagnosi: «Il Pd alle elezioni europee in Umbria ha preso il 24 per cento e con gli alleati siamo arrivati al 30.11 centrodestra Ha sfiorato il 50 per cento. Oggi la sensazione è che ci sia un riequilibrio». Chissà.

Ma riecco Zingaretti, che chiude il suo comizio così: «Non si può andare avanti sgomitando. Ed è un’illusione credere che da soli si può fare tutto. Da soli si va più veloci ma insieme si va più lontano e noi vogliamo andare lontano». Parole che lui rivolge al Salvini spacca-tutto ma potrebbero fischiare le orecchie anche a Renzi.

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