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Zingaretti: “Il governo verso la crisi, noi dobbiamo essere pronti”

La parola d’ordine è cambiamento. «Se mi candido non è per rottamare qualcuno ma perché i cittadini si aspettano dal Pd un segnale di discontinuità». Nicola Zingaretti è convinto che sia arrivato il «momento di aprire una nuova strada».

Dove l’ex premier e ultimo segretario eletto con le primarie, Matteo Renzi, avrà un suo posto. Ma, per il governatore del Lazio, non dovrà essere quello di leader. Nemmeno per interposta persona.

«Mi auguro che Renzi resti nel partito e nel gruppo dirigente. Ma deve capire che ci sono delle stagioni in cui è bello guidare, delle altre in cui è meglio spingere gli altri», dice sibillino. Anche perché è necessario ricostruire in fretta un’alternativa credibile.

«Non mi stupirei se si tornasse a votare in primavera, in contemporanea con le Europee. E nel Pd dobbiamo essere pronti».

 

Zingaretti, per ora è stato l’unico a ufficializzare la candidatura alle primarie. L’ex ministro Marco Minniti non ha ancora sciolto la riserva.

«È legittimo che prenda il suo tempo. Io da subito ho capito che bisognava lanciare un segnale di discontinuità. Perché se vogliamo riconquistare questo Paese la strada non può essere quella percorsa negli ultimi anni».

 

La candidatura di Minniti le sembra voluta dal gruppo dirigente renziano?

«Non posso negare che Minniti abbia fatto parte di quella stagione politica e ne sia stato in qualche modo co-protagonista».

 

C’è un’altra ipotesi in campo: che si candidi anche Martina alle primarie. La considererebbe una figura di disturbo nella sfida tra lei e Minniti?

«Non non è corretto definirla così. Ben venga anche Martina ma io credo che ci sia, nei nostri elettori, la voglia di voltare pagina».

 

In questi giorni si è parlato dell’ipotesi che il prossimo segretario non sia più, automaticamente, anche il candidato premier. Lei è d’accordo?

«Certo. Anche se la mia vera ossessione è un’altra: l’unità del partito. Sa che cosa mi dice la gente quando mi ferma? Io voterei anche per te, Nicola, ma poi so che nel Pd ognuno fa come gli pare».

 

Lei e Gentiloni. Le suona bene come ticket? Uno segretario e l’altro candidato premier.

«È troppo presto per rispondere a questa domanda. Però c’è da dire che già il 4 marzo Gentiloni era il nostro candidato più popolare, aveva governato il Paese e godeva di un consenso trasversale. Purtroppo, però, ci furono delle resistenze e i risultati rismo. Quando sei al 17-18% certi discorsi non valgono più».

 

È convinto di vincere?

«Ci spero. Neppure in Regione ero favorito, poi dal giorno alla notte i pronostici si sono ribaltati. E ho dovuto dire alla mia famiglia che erano saltate le vacanze».

 

Qual è la prima misura economica che metterebbe in atto se ribaltasse i pronostici anche questa volta?

«In verità non so se i sondaggi siano contro di me. In ogni caso punterei a far sbloccare gli investimenti per le infrastrutture e mi fa piacere dirlo qui a Torino, in questi giorni di dibattito sulla Tav. Ogni anno ci sono 30 miliardi di euro a disposizione dei cantieri che non vengono utilizzati».

 

Più facile a dirsi che a farsi.

«Forse. Ma invece del commissario alla spending review io punterei su un commissario alla spending. Anzi, su tre».

 

Ci fa anche i nomi?

«È solo un gioco, quindi ipotizzo: Cantone al Nord, Pignatone al Centro e Cafiero De Raho al Sud».

 

Presidente, secondo lei il nuovo ponte di Genova vedrà mai la luce?

«Dubito fortemente. Mi pare che le premesse non siano buone».

 

Prego?

«I legali di Autostrade sono pronti a presentare un maxi-ricorso e ho l’impressione che i tempi slitteranno ancora. Mentre il governo potrebbe non durare a lungo».

 

Crede che imploderà prima delle Europee?

«Fino a due giorni fa avrei detto di no, oggi ho un’idea diversa. Credo che il vero problema di questo governo non sia la finanziaria di oggi. Ma quella dell’anno prossimo. Non sarebbe in grado di affrontarla. E allora meglio votare subito. Magari con un election day».

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