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Minniti: “Chiudere i porti cancella le missioni comuni. Ora però in quel Paese la situazione è cambiata”

«Sono stati stracciati gli accordi con la Libia? Gli accordi internazionali non si stracciano, meno che meno in modo unilaterale, pena l’inimicizia. Però alcune cose sono cambiate». Marco Minniti, l’ex ministro dell’Interno, si è astenuto ieri alla Camera, come tutto il Pd, sul rifinanziamento della Guardia costiera libica. Un cambiamento che ha fatto cantare vittoria a Matteo Orfini e gli altri dem da sempre contro la linea Gentiloni-Minniti.

 

Minniti, la sua linea su Libia, migranti e motovedette è stata stracciata. E lei ha votato con il gruppo, per amore di partito?

«Non è stato stracciato nulla. E io non ho seguito le indicazioni di voto per disciplina di partito, ma perché ho condiviso. C’è stato in questi mesi un cambiamento sostanziale. Fino al maggio 2018 la Guardia costiera libica era inserita in un sistema complesso di ricerca e salvataggio in mare che aveva il coordinamento della Guardia costiera italiana e di cui facevano parte ong e navi italiane e europee delle missioni Themis e Sophia. Tutto questo non c’è più. La Guardia costiera libica non può più da sola svolgere il compito della ricerca e del soccorso in mare in un’ampia fetta del Mediterraneo centrale: lo abbiamo denunciato più volte. Questo governo si è disinteressato con l’unica risposta, inaccettabile, di chiudere i porti».

 

Quando Orfini e gli altri dissidenti dem dicono che hanno vinto, sbagliano?

«Io ho condiviso il documento del Pd. Ho ascoltato in aula le dichiarazioni di Fassino e ho letto sembra tutto molto chiaro. Vengo dalla vecchia scuola per cui nei momenti difficili di una democrazia è molto più importante il fronte esterno rispetto a quello interno . Gioisco se vinciamo sui nazional populisti, non se vinco sul compagno di banco».

 

La Libia non è più un porto sicuro, ma lo era ai tempi del suo governo?

«No. La Libia non è mai stata un porto sicuro, perché non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti umani. In 68 anni nessuno ha mai chiesto alla Libia in maniera ultimativa di firmarla. È stata l’Italia a porre per prima la questione attraverso l’accordo Gentiloni-Serraj sul contrasto ai trafficanti di esseri umani e sulle condizioni di vita nei centri di accoglienza».

 

Ma quell’accordo ha riempito i lager libici per ridurre gli sbarchi in Italia.

«Noi abbiamo impegnato il governo libico a fare passi avanti. L’Onu, l’Unhcr, l’Oim prima si occupavano di Libia da Tunisi, oggi sono presenti in Libia. E sono stati possibili i primi corridoi umanitari che il governo Gentiloni fece d’intesa con la Cei, contemporaneamente l’Oim ha fatto in pochi mesi 25 mila rimpatri volontari assistiti l’Onu ha un potere d’ispezione sui centri di accoglienza».

 

Ciò ha risolto tutti i problemi?

«No, tuttavia si era fatto un passo in avanti. Davanti a una guerra civile che ha avuto una ulteriore drammatica svolta, la comunità internazionale deve darsi l’obiettivo ora di svuotare i centri di accoglienza, di fare ripartire i corridoi umanitari e i rimpatri volontari. Questo lo si può fare perché c’è stato quel lavoro. Mentre l’attuale governo ha abbandonato tutto e ha fatto dell’immigrazione un elemento di chiusura dell’Italia e di conflitto dentro l’Europa, per un cinico calcolo politico. Mi fa piacere che David Sassoli nel discorso di insediamento abbia parlato del riforma del Trattato di Dublino, camicia di Nesso per l’Italia paese di primo approdo».

 

Sull’immigrazione, lei nel Pd è considerato un “falco”. Salva qualcosa delle politiche di Salvini?

«Non sono un falco, sono un subacqueo d’apnea. Il centrosinistra punta a tenere insieme libertà, umanità e sicurezza. Mentre Salvini fa passare l’idea che se vuoi più sicurezza devi rinunciare a un pezzo della tua umanità: solo che così si perde una democrazia. E i segnali dello slittamento democratico sono inquietanti. Il ministro dell’Interno deve essere garanzia per tutti gli italiani. In queste ore c’è una tensione senza precedenti con la magistratura. Il capo del Viminale non può richiedere né può fare arresti… in una democrazia. Verso i magistrati poi, c’è un approccio che viola in modo palese il principio di separazione dei poteri. Non spetta al ministro dare i voti al comportamento dei magistrati. Una rottura reiterata di principi fondativi. Con il rischio di un trauma democratico».

 

Sea Watch, la capitana Carola ha sbagliato?

«Ha fatto quello che voleva e doveva fare: il suo compito era salvare le vite. La responsabilità principale sta in coloro che hanno tenuto per 19 giorni in mare una nave con 42 migranti, un caso che una democrazia che si rispetti risolve in 5 minuti».

 

 

 

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