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Riforma della Costituzione: le nostre ragioni

E’sempre saggio cercare la condivisione su regole e istituzioni. Ma quando si tratta della Costituzione cercare un accordo largo diventa un dovere.
Ci si divide, anche con asprezza, sulle scelte di governo. Ma quando si cambia la Carta fondativa della Repubblica l’eredità di Padri e Madri costituenti dovrebbe illuminare la strada e ricordare che una riforma di quella Carta diventa meno longeva e autorevole se ottenuta coi voti di una maggioranza parziale.

Non è dunque un dettaglio e meno che mai il puntiglio di alcuni avere spinto dall’inizio verso il dialogo e il confronto con singole personalità e gruppi parlamentari.

Ancora oggi, giunti alla stretta finale, siamo impegnati ad aprire spiragli nel muro contro muro che pare alzarsi. Si tratta di costruire ponti pensando al giorno dopo.

Superare il bicameralismo era e rimane un traguardo giusto. Così come siamo convinti che serve ricostruire la fiducia tra elettori e rappresentanza. L’astensionismo mescolato alla condanna dei partiti innaffia la mala pianta che può distruggere la democrazia.
Allo stesso tempo è importante farsi carico della governabilità e dell’alternanza, tanto più se lo sguardo si allunga all’Europa dove la Spagna da mesi è priva di un governo mentre la nazione più potente, la Germania, rinnova la stagione delle “grandi coalizioni”.
Dare voce e rappresentanza al Paese, garantire legittimità ai governi e alternanza tra coalizioni: questa è la bussola per un cambiamento vero di cui un PD ancorato al centrosinistra sia protagonista senza ambiguità.

La riforma di un terzo della Costituzione che il Parlamento ha votato purtroppo non ha rispecchiato l’insieme di queste necessità.
Lo ripetiamo avendo condotto la nostra battaglia con lealtà, apertamente, fino alla scelta di alcuni tra noi di non votare la fiducia al governo sulla legge elettorale. Ma proprio per questo sappiamo che le responsabilità non sono solo del PD e chiamano in causa altri partiti e movimenti. A partire da chi, come Forza Italia, ha prima vigilato su un testo “blindato” negando ruolo e autonomia al Parlamento, salvo subito dopo abbandonare l’Aula denunciando un attentato alla democrazia.

Nel corso delle diverse letture, tra Camera e Senato, abbiamo sollevato questioni di merito e avanzato proposte migliorative.
Abbiamo chiesto più coraggio, innovazione. Tanto più dopo la fine del “patto del Nazareno” quando la dialettica parlamentare poteva dare buoni frutti.

Abbiamo difeso le prerogative del Parlamento e contestato un interventismo esagerato del governo.
Abbiamo ragionato di un modello simile al Bundesrat, con una revisione dell’assetto regionalistico attuale. Ma l’esito è stata la bocciatura anche dell’emendamento che associava alla composizione del futuro Senato i presidenti delle Regioni e i sindaci delle città metropolitane.
Abbiamo indicato la via per una legge elettorale meno squilibrata a favore di una maggioranza che potrà ottenere un potere enorme essendo solo la “minoranza più numerosa”.

Abbiamo chiesto più coraggio e linearità sulla riforma del Titolo V anche per eliminare incertezze e farraginosità che potranno alimentare contenziosi futuri come insegna la vicenda delle aree vaste e delle città metropolitane. Per altro il nostro è stato sempre un contributo costruttivo e di merito, come ci è stato riconosciuto accogliendo le nostre proposte sulla disciplina del voto a data certa (per risolvere l’abuso della decretazione d’urgenza), sul quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica fino all’introduzione del controllo preventivo sulla legge elettorale che, se in vigore nel passato, avrebbe evitato la pagina buia del “porcellum”.
Fino all’ultimo ci siamo spesi per non limitare il perimetro della riforma alla sola maggioranza che sostiene il governo.
Oggi siamo all’ultimo passaggio prima del referendum che l’articolo 138 prevede e che logica e forma imporrebbero fosse richiesto da quanti a questa riforma si oppongono, fuori e dentro il Parlamento.
Con tutte le nostre critiche e riserve oggi esprimiamo un voto a favore della riforma.

Siamo consapevoli che la bocciatura di questo testo nell’ultimo passaggio alla Camera segnerebbe quasi certamente il fallimento di una stagione trentennale durante la quale a più riprese, e con diversi protagonisti, si è cercato di riformare la parte ordinamentale della Carta.
Un epilogo simile scaverebbe un solco ancora più profondo tra l’opinione pubblica e le istituzioni.
Con la stessa lealtà solleviamo due questioni destinate ad assumere nei prossimi mesi un rilievo determinante.
La prima riguarda l’impegno politico e legislativo per ridurre le distanze che separano i sostenitori della riforma dai suoi oppositori. Chi è contrario al testo attuale esprime dei rilievi di merito in alcuni casi tutt’altro che infondati.
Quelle critiche vanno discusse, non insultate. Tanto più che tra quanti questa riforma contestano ci sono personalità che non avrebbe alcun senso iscrivere al “partito della conservazione”.

Per questo è importante che il Parlamento si impegni ad affrontare un pacchetto di misure capaci di offrire risposte a dubbi e criticità sollevate: dalla nuova normativa sui referendum al quadro di tutele e garanzie per le future minoranze, anche attraverso la modifica dei regolamenti, fino alla legge ordinaria che disciplinerà l’elezione dei senatori.
E riaprendo il capitolo della legge elettorale per la Camera. Legge da rivedere nel capitolo su consistenza e modalità di attribuzione del premio di maggioranza, sul nodo dei capolista plurimi a rischio di costituzionalità e su quelli bloccati. D’altronde è in corso una raccolta di firme per i referendum che chiedono di modificare l’Italicum.

Su queste basi pensiamo si debba riaprire un confronto e recuperare l’ascolto di costituzionalisti, studiosi, movimenti, partiti e di un’Associazione come l’Anpi.

La seconda questione investe il referendum dell’autunno. Lo ripetiamo: trasformare un confronto sul merito in un plebiscito su una politica, una leadership o una nuova maggioranza di governo troverà l’opposizione ferma di chi, come noi, si è fatto carico del bisogno di completare una transizione aperta da troppo tempo.

Con il voto di oggi, dunque, si apre l’ultima tappa di un processo che deve trovare nel primo partito del Paese la cultura della responsabilità, del rispetto delle opposizioni, della ricerca ostinata di un terreno condiviso sul fronte delle regole della democrazia.
La Costituzione della Repubblica è molto più di ciascuno di noi.
Sarebbe imperdonabile piegarla al vantaggio contingente di una stagione.
Su questo principio fonderemo le nostre scelte.

Gianni Cuperlo
Sergio Lo Giudice
Roberto Speranza

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