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Niger, Latorre: daremo la caccia anche ai terroristi, i foreign fighters da lì non passeranno

Poco meno di 500 militari da impegnare nel Sahel. L’Italia va a rinforzare le frontiere nel Niger e ad addestrare le forze di polizia locali.

 

Senatore Nicola Latorre, politicamente cosa vuole dire questo nuovo impegno?

«La decisione risale a settembre, all’ultimo vertice avuto dal premier Gentiloni con gli altri Paesi europei, quando, finalmente, si è condivisa l’opportunità di una strategia che guardi all’Africa».

 

Quali le attività dei nostri militari sul territorio?

«Sono state contemplate una serie di iniziative di supporto allo sviluppo, e alla formazione delle forze armate e delle forze di sicurezza. Lo scopo sarà realizzare un’attività di training che non avrà l’obiettivo di contenere i flussi migratori, ma di governare i confini di paesi che sono di transito dei flussi».

 

Che differenza c’è tra governare e contenere?

«Le due cose sono strettamente collegate, è evidente, ma la finalità è quella di intensificare la lotta contro il traffico di esseri umani. E giunta da poco la notizia che i mercanti di uomini cominciano ad avvertire il peso del contrasto che viene fatto e hanno abbassato i prezzi per i viaggi sui barconi. Il nostro obiettivo è farli fallire sia da un punto di vista finanziario che da un punto di vista personale».

 

Perché finora non siamo intervenuti in un territorio strategico per il passaggio dei migranti?

«È finito il tempo in cui si poteva pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Siamo un paese che finalmente, non solo sulle questioni dell’immigrazione, ma in generale, ha una strategia che contempla un ruolo da protagonista, e però senza una diretta assunzione di responsabilità tutto questo, ovviamente, non era stato possibile. Stiamo parlando di territori dove ci sono situazioni molto delicate. A oggi, comunque, il nostro impegno sarà finalizzato a supportare la formazione».

 

Quindi sarà una missione diversa da Enduring freedom degli Stati Uniti, concentrata sulla lotta al terrorismo?

«Lavoreremo insieme con Francia e Germania, e sarà prioritario il contrasto al terrorismo. Da quelle frontiere possono passare anche i foreign fighter di ritorno».

 

La Libia come si inserisce in questo scenario?

«Stiamo agendo su più fronti. Ormai la strategia del ministro Minniti è considerata sempre di più un esempio per l’intera Europa. Grazie al lavoro che è stato fatto insieme con l’Unhcr, abbiamo creato dei canali umanitari per portare in Italia e in Europa, gruppi di persone che hanno diritto all’accoglienza. E’successo l’altro giorno con il primo nucleo di 160, continuerà a succedere. E tutto questo è avvenuto in accordo con le autorità libiche, perché, naturalmente, è contemplata la necessità di un loro accordo».

 

Il 17 dicembre è scaduto Skhirat, il trattato in base al quale è stato riconosciuto dall’Onu come unico governo legittimo quello guidato da Fayez al Serraj. Cosa succederà ora?

«La scadenza implica la definizione o l’aggiornamento di un nuovo accordo che naturalmente non è ben visto da molti all’interno della realtà libica. Si sta per aprire una fase nuova molto rischiosa, rispetto alla quale il ruolo che noi dobbiamo avere è di supportare l’attività che sta svolgendo l’incaricato delle Nazioni Unite. Questo ci permetterà di definire un accordo che, questa volta, contempli una funzione, un ruolo da protagonista, anche per Tobruk, anche per il generale Haftar. L’Italia sta svolgendo una funzione cruciale nel processo di stabilizzazione della Libia. Sebbene, quali saranno gli esiti, come diceva il buon Lucio Battisti, lo scopriremo solo vivendo».

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