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Gentiloni: “Ius Soli, una legge di civiltà, il Parlamento faccia presto”

Presidente, la maggioranza ha proposto la legge sulla cittadinanza per i figli di stranieri nati o cresciuti in Italia, con l’opposizione aperta della Lega e del M5S. Pensa che questa riforma arriverà in porto?

 

«È arrivato il tempo di considerare a tutti gli effetti questi bambini come cittadini italiani, glielo dobbiamo, è un atto doveroso di civiltà, e mi auguro che il Parlamento lo faccia molto presto, nelle prossime settimane. C’è una parte dell’opinione pubblica che guarda con diffidenza a questo provvedimento. A loro voglio dire che diventando cittadini italiani si acquisiscono dei diritti ma anche dei doveri legati alla cittadinanza. Stiamo parlando della possibilità di consentire a questi bambini non solo di sentirsi italiani ma di esserlo a tutti gli effetti, di imparare la nostra lingua, condividere le nostre leggi. Questo non significa sottovalutare l’importanza della nostra cultura e della nostra identità. Di fronte a chi agita lo spettro di minacce alla nostra sicurezza dico che la sola chiave per contenere tali minacce e ridurne i pericoli non è l’esclusione, ma il dialogo e l’inclusione. Per questo dobbiamo procedere e concedere questo diritto a chi se lo merita in modo così evidente».

 

A proposito di integrazione e muri da abbattere, venerdì è scomparso Helmut Kohl che ha ricostruito la Germania dopo la caduta del Muro di Berlino. Dovremmo ripartire dal suo sforzo europeista?

«Certo, la figura di Kohl, per quanto sia stata controversa all’inizio del suo mandato, resterà impressa nella storia del ‘900. Appartengo a una generazione che considerava il Muro di Berlino come un dato di fatto, sarebbe stato difficile per me negli anni ’70 e ’80 immaginare che si superasse la divisione della Germania. Tutto questo è cambiato, ed è stato fondamentale sia per la Germania che per l’Europa. Purtroppo quella illusione che si potesse arrivare a una pacificazione universale dopo la caduta del Muro è venuta meno: ci sono stati l’11 Settembre, la crisi economica, oggi il terrorismo internazionale. Ma che cosa resta di quel mondo? Innanzitutto l’Europa. Il progetto di Kohl di una “Germania europea e non di una Europa tedesca” ha funzionato. A un anno dalla Brexit la mia impressione è che la fiducia e la speranza verso l’Europa siano fortemente aumentate e la carta europea ci permette di stare oggi in questo mondo più difficile e pericoloso».

 

In questo mondo diventato più complesso e pieno di sfide è cambiato anche l’alleato americano. Donald Trump è il soggetto adatto per affrontarne le complessità?

«Adatto o non adatto Trump è il presidente americano e gli Usa sono il nostro principale interlocutore e alleato. È così da 70 anni ed è giusto che resti così. Di recente ho partecipato a un interessante vertice a Pechino, ma attorno a quel tavolo c’era uno strano disaccoppiamento tra gli ideali di crescita e sviluppo economico e gli ideali di democrazia. Per noi queste due cose stanno ancora insieme. Io continuo a credere in un mondo in cui la crescita sia importante ma alla democrazia e alla libertà non voglio rinunciare. L’America resta l’America, quale che sia il presidente. Certo noi sosteniamo con forza le nostre idee e diciamo a Trump che sarebbe un errore tornare indietro rispetto, ad esempio, alla storica intesa con Cuba avviata dal suo predecessore. O immaginare di potersi separare dall’accordo di Parigi sul clima».

 

L’altra sera in Piazza Maggiore migliaia di persone hanno seguito il nostro documentario su Giulio Regeni, “Nove giorni al Cairo”. C’erano i suoi genitori sul palco. Ci hanno raccontato degli sforzi investigativi della Procura di Roma. In Egitto c’è un muro di gomma sulle indagini, le chiedo che cosa può fare di più l’Italia per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni.

«L’Italia deve insistere nella ricerca della verità per Giulio Regeni in totale collaborazione e sintonia con la Procura di Roma. Io non dispero, il nostro Paese terrà il punto sulla ricerca della verità. L’ho detto sin dal primo terribile momento: ricordo la telefonata dell’ambasciatore al Cairo e della ministra Guidi che mi annunciavano quello che poi sarebbe stato confermato. Ho incontrato tante volte la famiglia di Giulio Regeni, un’altra delle straordinarie famiglie italiane. La collaborazione, che non si è interrotta, con le autorità giudiziarie egiziane spero produca passi avanti ulteriori».

 

A Roma ieri si è svolta una manifestazione dei sindacati che protestavano per la reintroduzione di voucher. Cosa ne pensa?

«Sarei matto a condividere una manifestazione che è contro le ragioni del mio governo. Quella promossa dalla Cgil contro la reintroduzione dei voucher non è una protesta dei sindacati ma di un sindacato, anche se il più importante e non solo dal punto di vista numerico. L’intero paesaggio sociale italiano non è sulle stesse posizioni della Cgil. Riepilogo che cosa è successo: uno strumento introdotto molti anni fa è andato via via degenerando. Noi abbiamo abrogato questa normativa e su questo c’era un anche referendum chiesto dalla Cgil. Ma negli stessi giorni abbiamo anche preso impegno a riempire il vuoto legislativo che si veniva a creare. Perché c’era un bambino in quell’acqua sporca: regolare senza alcun tipo di abuso forme di lavoro occasionale per microimprese e famiglie. Chi pensa che avremmo dovuto lasciare in nero le forme di lavoro occasionale è in errore. Il bersaglio di chi ha manifestato ieri è sbagliato».

 

Venerdì molte città italiane sono rimaste paralizzate da uno sciopero dei trasporti le cui ragioni sono parse oscure. È accettabile?

«Per quanto riguarda gli scioperi dei trasporti, non ho nulla in contrario a ipotesi di maggiore regolazione. Dobbiamo tutti fare uno sforzo per uscire dalla maledizione del venerdì nero e prendere le distanze -mondo sociale, politica e media da questi scioperi ideologici fatti da minoranze sindacali. Sarebbe bello se prendessimo un impegno qui a Bologna, daremmo un contributo positivo: poi ci saranno nuove regole, me lo auguro, ma è un argomento delicato da non affrontare con l’emotività».

 

La legge elettorale che si stava facendo con un accordo politico a quattro è fallita, l’ipotesi di elezioni anticipate è svanita. Pensa che il suo governo arriverà a fine legislatura? E, in caso di risposta positiva, che cosa deve fare prima della fine della legislatura?

«Il mio mantra, che ripeto fino alla noia, è che il governo durerà fino a che c’è la fiducia del Parlamento. E mi sembra che le condizioni adesso ci siano. Il mio governo è nato per rispondere a un’emergenza, a un momento di difficoltà dopo la sconfitta del 4 dicembre. Quindi è nato male, già fra-, Bile. Tuttavia tengo a dire che, per quanto fragile, questo esecutivo cerca di sviluppare un programma piuttosto robusto. Ci accusano di continuiamo, ma io invece lo rivendico e non solo per una solidarietà politica odi partito, ma per l’interesse del Paese. Smontare quel che di buono è stato fatto dai predecessori non è di nessun interesse per i cittadini. Le principali istituzioni internazionali hanno aumentato, e di molto, le loro previsioni sulla crescita italiana per quest’anno. L’Eurozona nel suo complesso sta andando positivamente e l’Italia riesce ad agganciare questa ripresa insieme alle riforme fatte. Non voglio rinunciare a dare un messaggio rassicurante: l’Italia è in grado di non perdere il treno della crescita europea. Il Parlamento ha le chiavi del destino del governo, ma mi faccio garante del fatto che l’Italia ha un governo in grado di lavorare».

 

Proprio perché le stime sul Pil sono in aumento, questo vi permette di intervenire nella prossima legge di bilancio con un taglio delle tasse? Pensate più a un intervento sull’Iperf o al cuneo fiscale?

«Certamente se qualcuno descrive la prossima legge di bilancio come una passeggiata si sbaglia. L’Italia deve proseguire nel risanamento dei conti pubblici. Insomma non ci sono mandrie di vacche grasse in arrivo. Ma al tempo stesso abbiamo messo fieno in cascina, con la manovra correttiva, e abbiamo una discussione in corso con l’Ue: nel momento in cui c’è un vento di ripresa, bisogna essere molto attenti a non prendere decisioni generali o relative a singoli paesi che, invece di accompagnare tale vento, finiscono per deprimerlo. Per questo, quando abbiamo chiesto la correzione della matrice necessaria al calcolo del rapporto debito-Pil, lo abbiamo fatto con una lettera di sette Paesi, non come uno sconticino per l’Italia. Ci saranno margini per la riduzione del peso fiscale, sul lavoro e in particolare su quello dei giovani?

 

Me lo auguro e il governo ci lavorerà con tutte le sue forze». Non ha paura che con le prossime elezioni trasformino l’Italia in una nuova Spagna, senza un governo stabile e con il suo esecutivo dimissionario costretto a restare in carica?

«Dobbiamo lavorare perché si formi una maggioranza stabile e di centrosinistra. La legge elettorale è fondamentale, ma se ci diamo una prospettiva vincente possiamo vincere. La vittoria di Macron, con le sue dimensioni così rilevanti, è stata un fatto incredibile. La sua proposta è radicalmente innovativa e sconquassa i partiti tradizionali. In Germania invece si prospetta un confronto tra le forze tradizionali. In che direzione va la storia? In quella della rottura dei partiti storici o verso la loro riconferma?

Il Pd ha cercato di prevenire lo sconquasso rinnovando la sua forma politica. Dopodiché abbiamo tutti a che fare con un problema di grandi dimensioni e cioè il fatto che le nostre ragioni ideali, sociali e culturali non sempre si sovrappongono e non sempre sono condivise dalla parte della società più povera, più in difficoltà, che si sente più esclusa e cerca risposte nei venditori di paura odi illusioni. A me non piace la sinistra dei buoni perdenti, come Bernie Sanders e Jeremy Corbin. Preferirei una sinistra, un centrosinistra vincente».

 

Quindi pensa o no di poter restare a palazzo Chigi?

«No».

 

II Pd può affrontare elezioni da solo o deve ricostruire una coalizione? «Dico che è meglio vincere, poi vedremo quali saranno le regole elettorali e penso che lo sforzo di dialogo con diverse forze e componenti fatto dal segretario Renzi dimostra che ci stiamo ponendo il problema di vincere. Non sono indifferente alla possibilità che si creino assetti di governo del centrosinistra, dopodiché ora faccio un altro mestiere e cerco di tenere il governo al riparo da ogni tipo di tensione».

 

Finalmente l’Europa parla di procedure di infrazione verso Paesi che rifiutano la redistribuzione dei migranti. Che cosa ne pensa?

E poi come il governo può tenere insieme accoglienza ed esigenza di sicurezza? «Da un lato sono consapevole della difficoltà e delicatezza di questa questione, dall’altro ho fiducia negli italiani, dobbiamo aiutarci tutti a vicenda, partiti, responsabili di governo, sindaci, autorità locali, prefetti, media. Perché questo è un tema sul quale lo spaccio di paura è molto diffuso e può trovare facile accoglienza, e non ci rendiamo conto delle ferite sociali che può provocare nel nostro tessuto e anche nei confronti di queste comunità straniere. C’è bisogno di uno sforzo maggiore da parte dell’Europa. Bene la decisione sulla procedura di infrazione ad alcuni Paesi, perché non possiamo essere un’Europa a due rigidità. Nessuno ha la bacchetta magica, ma intravedo uno spiraglio per la gestione del problema. Si può passare dai flussi irregolari gestiti dagli scafisti a quelli regolari gestiti dai governi, perché questi sono destinati a durare».

 

Negli ultimi due anni il nostro sistema bancario ha avuto problemi. Il suo governo o quello precedente hanno fatto errori?

«Sulle banche è possibile che ci siano stati errori. Ma io credo che su questo argomento è meglio parlarne di meno e lavorare di più».

 

Un presidente del Consiglio ha tempo per leggere? Cosa sta leggendo ora? «A Palazzo Chigi non c’è tempo di leggere libri. Potrei bluffare, conosco titoli di libri in circolazione. Ma c’è sempre un’altra vita davanti e mi piace molto leggere».

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